IL SOGGETTO ©

IL SOGGETTO

Chiariamolo subito: il soggetto che interessa alla psicoanalisi non è il soggetto che convenzionalmente conosciamo, il soggetto che esce, passeggia, va al bar, al cinema o al ristorante. Non è neanche il soggetto che pensa, che parla, che soffre o che fa l’amore. Il soggetto che interessa alla psicoanalisi è il soggetto dell’inconscio, il soggetto dunque rimosso, quello che manca all’appello, che si nega a sé stesso, ma che di sé parla e dice. Come? Attraverso quelle che Freud ha chiamato le “formazioni dell’inconscio”: il lapsus, gli atti mancati, il motto di spirito, i sogni, ma anche e, forse, soprattutto il sintomo. È attraverso questi modi che il soggetto dell’inconscio parla di sé, e per questo è a tali produzioni, oscure ed enigmatiche, che lo psicoanalista presta attenzione cercando di interpretarne il senso, per risalire al vero discorso che è nelle intenzioni originarie del dire (l’enunciazione) del soggetto, ma che in quello che alla fine egli dice, nel discorso che pronuncia, nel detto (enunciato) non arriva se non in parte. Lacan dirà infatti che il soggetto non sa quello che dice e dice sempre di più di quello che pensa di voler dire.

Ma perché il soggetto che interessa alla psicoanalisi è inconscio e, soprattutto, perché è proprio questo soggetto che interessa alla psicoanalisi? È inconscio perché, come ha scoperto Freud, è abolito dalla coscienza ad opera di quella che egli ha chiamato la “rimozione originaria” e che è il primo effetto della parola. La parola, infatti - farà notare Lacan - separa il soggetto dalla sua stessa natura originaria rendendolo diviso (barrato, dice): al di qua del taglio si confina, nell’inconscio, il soggetto rimosso, che mai potrà essere raggiunto se non attraverso il processo psicoanalitico. Il soggetto rimosso interessa alla psicoanalisi perché è lì che risiede la verità del suo essere, del suo dire e le ragioni vere anche del suo soffrire, in quanto è da tale rimozione che si origina il suo vero desiderio, vale a dire ciò che egli è destinato ad avvertire come la mancanza su cui sostenersi. Il soggetto dell’inconscio è fatto della sua stessa mancanza, e proprio per questo è il soggetto vero.





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NON C'E' ALTRO DELL'ALTRO

L'esperienza dell'altro che ci ritroviamo a fare è sempre un'esperienza di delusione, giacché l'altro manca sempre proprio di quello che ci aspetteremmo di trovarvi, e cioè di cosa? Del Fallo in quanto significante della mancanza di ciò che nell'altro vorremmo trovarvi, il Fallo stesso. Non esiste per questo - dice Lacan - Altro dell'Altro.

Per questo, possiamo dire, che, tanto per un uomo che per una donna, l'altro è sempre l'altro sesso, e, in quanto mancante di ciò che vorremmo trovarvi, tanto per un uomo che per una donna, l'altro sesso è sempre una donna.


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IL SOGGETTO E LA SUA DOMANDA

E' nella misura in cui il significante - con il suo potere - abolisce il bisogno - è questa la rimozione originaria di Freud - che si instaura la domanda che - dice Lacan - ora "abbozza" il desiderio come quel "pollone" che ne è l'effetto. 

Il desiderio, dunque, è l'effetto e non la causa della domanda, ne è condizione assoluta, ma al tempo stesso è sempre al di là della domanda stessa, nel senso che ne è condizione, ma da essa non si lascia mai "acciuffare": il desiderio non entra mai nella domanda.

La domanda si pone dunque tra il bisogno e il desiderio, facendo del bisogno la sua "incondizionalità" e del desiderio, invece, la condizione assoluta.

Per questo - sta qui il postulato fondamentale della psicoanalisi lacaniana - il soggetto umano non è più soggetto di bisogni, ma soggetto di domanda, di domanda di presenza/assenza dell'Altro, di quella domanda che pertanto produce sempre un al di là della domanda stessa e che alla domanda sfugge sempre: il desiderio.

In altre parole possiamo dire che se il significante abolisce il bisogno come particolare della specie, lo sostituisce con il desiderio che è il particolare del soggetto, essendo la domanda il tramite di questa trasformazione, "una trasformazione con conservazione", dice Lacan.

E' la domanda dunque, come intermedia tra il bisogno e il desiderio, che costituisce il soggetto umano, abolendolo come soggetto dei bisogni comuni alla specie e ricostituendolo come soggetto del particolare del proprio desiderio.

E' esattamente questo il soggetto della psicoanalisi: il soggetto privo di bisogni.

E' proprio questo soggetto, il soggetto che si costituisce a partire dalla domanda, e non il soggetto dei bisogni, che può accedere all'amore, in quanto l'amore è ciò che è determinato proprio da quell'al di là della domanda che è il desiderio.

Infatti, contrariamente a quello che si crede, il desiderio è il determinante dell'amore, che però dall'amore non è determinato: il desiderio è ciò che determina l'amore senza che però l'amore possa a sua volta determinarlo.

In altre parole è il desiderio che serve all'amore e non viceversa perché il desiderio è sempre l'al di là di ogni domanda attraverso cui si costituisce il soggetto

DOVE SI SOPRPRENDE IL SOGGETTO

Non è nel sapere in sé, ma nel poter assumerne la responsabilità, che mi costituisco come un soggetto: “Sono sul mare, capitano di una piccola imbarcazione. Vedo delle cose che si agitano nella notte in un modo che mi fa pensare che possa trattarsi di un segno. Come reagirò? Se non sono ancora un essere umano, reagisco con ogni sorta di manifestazioni, come si dice, modellate, motorie ed emotive, soddisfo le descrizioni degli psicologi, comprendo qualcosa…. Se invece sono un essere umano, registro nel giornale di bordo: alla tal ora, al tale grado di longitudine e di latitudine, abbiamo avvistato questo e quello. È questa la cosa fondamentale. Metto al sicuro la mia responsabilità.” (J. Lacan, Il Seminario - Libro III, le psicosi - 1955-56, pag. 216). 

Il che vuol dire che un essere umano non è chi si limita a osservare i fatti che accadono e a reagirvi secondo lo schema dello stimolo-risposta - come purtroppo oggi frequentemente accade - ma colui che sa assumersi la responsabilità della risposta, giacché sa che su ciò che osserva, o su ciò di cui viene a sapere, deve mettersi in funzione come soggetto e non come azione: deve appunto “mettere al sicuro la propria responsabilità” apponendo la propria firma su ciò che ha osservato o su ciò che ha saputo. 

In altre parole, un soggetto è tale solo se è in grado di assumersi la responsabilità del proprio atto, poiché è lì, nell'atto di assunzione della propria responsabilità - di assicurarla e di garantirla - che un soggetto può ritenersi tale, o, per meglio dire, può riscoprirsi tale, addirittura, come dice Lacan, sorprendersi in quanto soggetto. 

Ci si sorprende in quanto è nel sottoscrivere il proprio atto, o la propria parola, che paradossalmente il soggetto si rivela, si strappa, si scopre, dal significante che lo nasconde e che, come dice Lacan, lo rappresenta per un altro significante. L’atto della sottoscrizione della propria responsabilità è il taglio che il soggetto opera al significante per costituirsi lì dove egli già si trova, anzi per sorprendersi lì dove egli è sempre stato senza che lo abbia mai saputo. 

È questo il senso corretto della famosa frase di Freud, che Lacan riprende continuamente fino allo sfinimento: “Wo Es war, soll Ich werden”, nella quale l’Ich cui allude Freud non è l’Io della II topica, ma l’Io del Progetto, quell’Io che si articola come una ragnatela strutturandosi nella sequenza degli effetti più o meno elaborati degli stimoli energetici che, come impulsi, sollecitazioni, lo raggiungono e lo articolano, e che dunque corrisponde esattamente al soggetto lacaniano in quanto articolazione significante, in quanto, appunto, ciò che un significante rappresenta per un altro significante. Si tratta, dunque, dell'Io “soggetto”, del soggetto che si ritrova, si sorprende lì dove è sempre stato, lì dove è sempre stato come un Es, un S (esse) di soggetto - chiarisce Lacan - cui ora, l’atto che si compie, per esempio nella seduta analitica, produce il taglio che lo sbarra, il taglio tra il significante e il significato:

“Perché la nostra caccia non sia vana, vana per noi analisti, bisogna ricondurre tutto alla funzione di taglio, di ‘coupure’, nel discorso, e la più forte è quella che fa da sbarra fra il significante ed il significato. È qui che si sorprende il soggetto che ci interessa…” (J. Lacan, Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano. In Scritti, Einaudi, 1966 , pag. 803).

Il soggetto, dunque, non è colui che sa, ma colui che è in grado di sottoscrivere ciò che sa, di sapersene fare qualcosa. Detto in altri modi: non basta un sapere per costituirsi come soggetto, ma occorre sapere cosa farsene del proprio sapere. Non basta sapere, occorre saperci fare col sapere. Per dirlo ancora diversamente: è nel punto di intersezione della verticalità della funzione simbolica sulla orizzontalità delle coordinate dell’identità e dell’immaginario che si costituisce il soggetto. È esattamente qui che si produce il taglio tra il significante ed il significato: nel fading come soggetto significante, il soggetto si sorprende, poiché “annodandosi nella significazione, eccolo posto all’insegna del preconscio. Col che si arriverebbe al paradosso di concepire che il discorso nella seduta analitica non vale se non in quanto esso inciampa o persino si interrompe…” (J. Lacan op. cit, pag 803). 

Questo soggetto così inteso può riconoscersi un po’ di più nella particolarità del proprio desiderio, nella unicità della propria storia e nella assunzione di un progetto senza per questo sentirsi, nella solitudine del proprio essere, troppo smarrito nel mondo. 

Ora, quanti oggi possono dirsi in grado di assumere e mettere al sicuro la responsabilità di quello che vedono, di quello che sentono, di quello che dicono, di quello che credono di sapere? Quanti sono in grado di sorprendersi nell’atto del taglio che metta al sicuro la propria responsabilità, arrestando la ripetizione infinita dei soliti significanti entro cui si determina il soggetto che si aliena nel discorso prestabilito? 

In un'epoca dominata dalla proliferazione senza limiti di saperi praticamente su tutto e nella disponibilità di tutti, quanti sono veramente in grado di sapersene fare qualcosa? Di saperci responsabilmente fare col sapere? 

A questo punto noi analisti speriamo di poter condurre un soggetto, al punto in cui il sapere può diventare un saperci fare, dando parola a ciò che alla parola è stato sempre sottratto, a permettere insomma che il soggetto possa riorganizzare la trama del proprio discorso e trovarvi un posto in cui, riconoscendolo come il suo proprio, possa starci in maniera più sopportabile, e in modo maggiormente responsabile. 

A quel punto in cui, più che ritrovarsi, possa sorprendersi come soggetto su quella barra che, fratturandolo dal sapere che si suppone, gli permetta un riconoscimento di verità.

CHI SIAMO?

Siamo una successione di somiglianze e di rispecchiamenti, e un insieme di detti sparsi che altri ci hanno rivolto e che ci hanno segnati come "accidenti" (direbbe Lacan), e che abbiamo scambiato per verità su di noi: somiglianze e detti che non ci stanchiamo di intrecciare tra di loro, sforzandoci di darvi armonie e farne quella tela che chiamiamo "identità".

Vale adire quella finta verità su noi stessi in cui finiamo per credere che tratti di noi.

C'E' SEMPRE UN CHE DI PERVERSO IN CIASCUNO DI NOI

Per Lacan, se la cultura è la storia del rapporto dell’uomo con il Lògos, l’apporto psicoanalitico è la storia del rapporto del soggetto con il proprio desiderio.

Tra le due esperienze non ci aspettiamo scambi, ma intrecci, nodi problematici e beanze, che fanno dell’uomo un soggetto mai del tutto riconducibile - e riducibile - all’una o all’altra, in quanto sospeso tra le adesioni alla cultura e la ribellione del suo desiderio ad essa.

È in questa irriducibilità, nella beanza tra adesione e ribellione, tra identificazione e protesta, la condizione dell’apprensione fondamentale dell’essere umano. In questo senso c'è un che di perverso in ogni essere umano, in quanto mai del tutto assoggettato ad una legge. 

Ed è qui, nello scarto tra la cultura del Lògos e il desiderio del soggetto, che deve sapersi collocare l’analista, in quanto è solo nel luogo della sua apprensione che egli può incontrare il proprio analizzante.

Questo è il centro, e il luogo, dell’esperienza analitica, e che la distingue da tutte le altre psicoterapie praticate.

E' NEL MALE E NON NEL BENE CHE L'UOMO CERCA IL PROPRIO BENE

Per Lacan, la psicoanalisi freudiana non sarebbe praticabile, vale a dire non potrebbe tradursi in una pratica, se la questione del godimento non avesse trovato il suo posto nella scienza e nell'etica.

Infatti, nel suo famoso scritto "Kant con Sade", Lacan ritiene che: “se Freud ha potuto enunciare il suo principio del piacere senza neppure doversi preoccupare di segnalare quello che lo distingue dalla sua funzione nell’etica tradizionale […] possiamo renderne omaggio solo all’aumento insinuante, attraverso il XIX secolo, del tema della «felicità nel male»”.

Vale a dire - in altri termini - che, per Lacan, il punto di svolta che ha contribuito a rendere praticabile la psicoanalisi come clinica, è quel superamento della morale kantiana, poiché avrebbe permesso a Freud di accorgersi che l'uomo ricerca la propria felicità, non nel bene, ma nel male, per meglio dire che l'uomo ricerca il suo bene nel male e non, come riteneva Kant, in quel Bene (con la b maiuscola) in quanto garantito dalla famosa "legge morale in me".

In questo senso, per Lacan, è lungo la filosofia di Sade (la filosofia del boudoir), e non lungo quella di Kant (la filosofia della ragion pratica) che l'uomo cerca gli oggetti per procurarsi la felicità, vale a dire i mezzi per ottenere il proprio godimento.

LEI NON SA CHI NON SONO IO!

Il grande contributo della psicoanalisi freudiana, come ripresa in particolare da Lacan, sulla "nascita" del soggetto umano, è che questi si costituisce in quanto tale solo a partire da una negazione primordiale, vale a dire dal riconoscimento (Bejahung) di un'assenza originaria. 

Un'assenza originaria che, nella psicoanalisi lacaniana, è indicata come "la castrazione della madre": per poter diventare un "soggetto" il bambino deve attraversare l'esperienza - fondamentale per la sua futura salute mentale - che egli, diversamente da come "credeva", non è tutto per la propria mamma, non è il suo unico desiderio (non è il "fallo della propria madre", dice Lacan), ma che la mamma è attraversata anche da un "desiderio altro". Il bambino si ritroverà insomma, prima o poi, a fare i conti con il fatto che, oltre il "desiderio per la madre", esiste anche il "desiderio della madre".

La madre, dal canto suo, deve essere sufficientemente capace di favorire questa esperienza, che è possibile a condizione che ella abbia in mente anche un padre, il padre del proprio bambino, vale a dire che sia disposta a riconoscersi come desiderio del padre del bambino, in altri termini, come "causata" dal desiderio del proprio uomo e non solo dal desiderio del proprio bambino.

Ora, il riconoscimento della castrazione materna, lascia nel bambino un posto vuoto: un posto vuoto talmente importante, però, in quanto è proprio da questo che può emergere il soggetto che ognuno di noi sarà, vale a dire "quel significante che lo rappresenta per un altro significante" - come Lacan definisce il soggetto umano - poiché il soggetto si produce come effetto di quella simbolizzazione che prende le mosse proprio dal vuoto lasciato dalla castrazione, vuoto altrimenti non sopportabile, se non grazie al processo di significazione che produrrà un soggetto, nel Simbolico sotto l'insegna del Fallo. 

L'essere umano si costituisce dunque come esistente - e può continuare a mantenersi tale - solo in quanto originariamente vuoto, ragion per cui egli si trova nel paradosso di poter esistere pur essendo originariamente interdetto, di potersi manifestare se non sotto negazione, di essere tenuto, per poter sussistere come soggetto, a proteggere il proprio vuoto originario come tale, e non invece - come purtroppo oggi frequentemente accade - a cercare di riempirlo con tutto quello che può.

Per questo, lo statuto dell'esistenza del soggetto è la sua de-negazione: un soggetto può affermarsi, può riconoscersi esistente solo negandosi.

Il che significa, come ha dimostrato Freud, che il soggetto può dire quello che è solo a partire da quello che non è.

Di conseguenza, possiamo dire che un essere umano può sentirsi di essere tale solo attraverso un atto sovversivo: saper dire anche no alle sollecitazioni ad aderire troppo alle seduzioni provenienti dall'Altro, in quanto ogni atto seduttivo è tale perché tende a riempire il vuoto costitutivo dell'essere soggettivo.

In un'epoca allora in cui vige l'etica del "sì" a tutto, e in cui la Scienza, le Religioni e le Psicoterapie non analitiche promettono all'uomo che soffre di poter arrivare ad "essere" secondo i modelli di salute prestabiliti, illudendolo di trovare in essi finalmente ciò che lo colmerà, lo appagherà, lo soddisferà - vale a dire ciò che finalmente ne farà un soggetto pieno e non più "bucato", attraversato com'è dal suo vuoto originario - esiste ancora un futuro per il soggetto che sappia anche dire no a qualcosa? Che sia anche capace di tale atto sovversivo? Che sia capace di proteggere quel vuoto, attraverso cui potrà continuare a costituirsi come soggetto? 

E parimenti, esiste ancora un futuro per la psicoanalisi, in quanto pratica che si costituisce proprio attraverso l'etica della sovversione del soggetto ai modelli prestabiliti? In quanto pratica di quell'atto mirante a destabilizzare il soggetto da ogni identificazione che lo completi, per recuperarlo alla dimensione di quella mancanza-ad-essere, di quel vuoto originario, che è l'unica condizione dalla quale può prodursi un soggetto di sapere - e di desiderio - che siano i suoi e non quelli imposti dall'Altro?

CHI PARLA A CHI?

Il soggetto parlante non si coglie mai nel luogo in cui egli effettivamente parla, nel luogo in cui sorge il suo dire, ma nel luogo del proprio simile, l'interlocutore - diremmo - a cui si sta rivolgendo e in cui si "specchia", prendendosi lì, in quel luogo della propria alienazione, come un Io.

Solo attraverso il discorso con quell'Altro che gli possa rimandare chi è per lui in forma di messaggio rovesciato, o attraverso quelle analisi in cui l'analista sappia non farsi trovare nel luogo dell'alienazione dell'Io, il soggetto può arrivare a riconoscersi nel luogo in cui, al di là di quello che dice o che ritiene di essere, egli effettivamente è.

"il soggetto non sa quello che dice, e per le migliori delle ragioni, perché non sa quello che è". (Lacan)

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