REALE, SIMBOLICO, IMMAGINARIO ©

REALE, SIMBOLICO, IMMAGINARIO

Reale, Simbolico e Immaginario (RSI) sono le tre dimensioni dell’esperienza umana, i tre registri su cui si inscrivono, in ogni momento e nello stesso tempo, i diversi modi attraverso cui il soggetto si organizza nel proprio modo di essere, con sé stesso e nel mondo in cui vive. 

Il Simbolico è il registro che si costituisce come effetto della parola, il registro del significante la cui cellula fondamentale è la “lettera”, a partire dalla quale si articola il linguaggio condiviso. Il Simbolico presiede all’ordine sociale e alla significazione. Tutti gli esseri umani - tranne lo schizofrenico - sono, per così dire, trasferiti, grazie alla parola, dal registro dell’Immaginario - proprio della relazione materna - a quello del Simbolico.

L’Immaginario, invece, come detto, è proprio della diade materna, del Narcisismo originario, si oppone al Simbolico e, tuttavia, ogni essere umano deve necessariamente sapersene servire, in quanto l’Immaginario è la base della capacità di rispecchiarsi nel proprio “simile”, di provare empatia e di innamorarsi, nonché il luogo delle identificazioni attraverso cui ognuno struttura il proprio Io e la propria personalità, vale a dire l’immagine di sé in cui il soggetto si riconosce e attraverso la quale si presenta agli altri. Anche gli altri sono riconosciuti attraverso l’immaginario. Per Lacan, l’Io e la “personalità” - che l’Io organizza per lo più come l’insieme delle caratteristiche che il soggetto ritiene lo riguardino - sono funzioni dell’Immaginario che servono a dare all’essere l’illusione di essere qualcosa. Servono a dare struttura di esistenza all’essere. L’immaginario costituisce dunque l’ossatura dell’essere, è perciò importante, a patto che non prevalga sul Simbolico, ma sappia farvi posto e a patto di non essere il rifugio assoluto dal reale.

Il Reale è invece ciò che non entra nella parola, che non vuole saperne di entrarvi, che non è docile al significante e che è anche fuori dall’Immaginario. È l’impossibile a dirsi e l’impossibile ad immaginarsi, ma non ad avvertirsi come ciò che turba, che inquieta, proprio perché non può essere “significantizzato”. L’angoscia può esserne il segnale. Se il reale angoscia non è detto che non vi si possa e non sia utile farci i conti. Difendersene in maniera assoluta significa negare che qualcosa non possa essere anche non normale, fuori posto, e comporterebbe il rischio di rifugiarsi eccessivamente nell’Immaginario con tutte le drammatiche conseguenze che questo può comportare.

Lacan ci presenta i tre registri RSI come tre anelli annodati tra di loro mediante quella modalità di annodamento detta del “nodo Borromeo”: un nodo labile perché, se anche uno solo dei tre si sciogliesse dal nodo, anche gli altri due verrebbero meno. Per questo occorre un quarto anello che rinforzi il nodo, e il quarto anello può essere dato da quella funzione che Lacan designa come il Nome-del-Padre, ma anche da un sintomo, che, in questa funzione di tenuta, Lacan chiama sinthomo. Il sintomo, per questo, nella concezione lacaniana, non è solo ciò che, assumendo un significato simbolico, vuole dir qualcosa, ma anche ciò che non vuole dire nulla, svolgendo solo una funzione di tenuta dei tre registi, al posto del Nome-del-Padre quando, come nello psicotico, esso è forcluso. 



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IL REALE E LA REALTA'

In psicoanalisi - e non solo - la realtà e il reale non sono affatto la stessa cosa. 

La realtà, potremmo dire, è addirittura ciò che si oppone al reale, ciò che del reale non vorrebbe saper nulla: la realtà si costruisce, il reale no, esiste in sé, a prescindere da quello che possiamo farne, e torna sempre allo stesso modo e allo stesso posto.

Come il desiderio, che è appunto dell'ordine del reale e non della realtà: non ci possiamo fare niente, è indistruttibile, ineludibile, e torna sempre, anche quando pensiamo di averlo finalmente soddisfatto.

La realtà è il prodotto dell'immaginario e l'effetto dell'azione del significante, vale a dire dell'ordine simbolico. 

Il che non significa che essa non esista, ma che esiste solo per come la immaginiamo e per come ce la raccontiamo, in quanto gli umani non possono avervi un accesso diretto, ma - come diciamo - solo mediato dal fantasma.

In questo senso la realtà è un discorso condiviso da tutti, o quasi, e dunque è più vicino all'ordine del delirio, quel delirio condiviso che abbiamo deciso di chiamare verità. 

La verità infatti è agganciata alla parola e non alla cosa in sé, per questo, dice Lacan "la verità ha la struttura della finzione", perché ha sempre un che di immaginario, è sempre "confezionata" in un dire, ed è per questo, dunque, che "la verità mente". 

Tuttavia serve: la realtà che, scambiandola dunque per verità assoluta, ci costruiamo ogni giorno, in maniera condivisa, e che stabilizziamo finanche nelle "scoperte" scientifiche - che anche queste hanno sempre un che di immaginario, in quanto "non vi è discorso che non sia del sembiante" (Lacan), serve a tranquillizzarci, e a convincerci che finalmente abbiamo messo il reale al suo posto, vale a dire in quella realtà che pensiamo di controllare.

 "Tutto a posto?" è la domanda che più frequentemente ci scambiamo per tranquillizzarci che la realtà con la quale costruiamo il mondo in cui viviamo funzioni e ci protegga dal reale, che nella realtà invece proprio non vuole saperne di rientrare.

Per esempio, tanto per limitarci ad un argomento di "moda", il famoso "green pass", che indubbiamente è dell'ordine della realtà, di una realtà "scaricabile" e diffusa dall'Altro della Scienza e della Politica che insieme stanno dimostrando di funzionare molto bene, siamo sicuri che attesti di una verità che non abbia la struttura della finzione? Siamo sicuri che davvero possiamo distinguere - e discriminare - tra due classi di individui, i puri che possono essere ammessi dovunque, e gli impuri che invece ne sono esclusi? 

Siamo sicuri che non stiamo pericolosamente entrando nell'ordine di un nuovo delirio di cui non ci rendiamo conto, perché condiviso in quanto sostenuto dall'immaginario e da quel dire "scientifico" di cui abbiamo bisogno per sentirci, finalmente, al sicuro da un reale che invece continua a terrorizzarci?

Il "green pass", piuttosto, dice solo che esistono i vaccinati e i non vaccinati, a seconda di chi detenga o meno questo lasciapassare. E con ciò? 

Con ciò continuerà ad esistere una realtà stabilita ed un reale che continuerà a non volerne sapere di entrarvi.


REALE E REALTA' DI UN VIRUS

"Un virus non ha una sua vita, tutt'al più una "semi vita" che deve servirsi di altre vite per sopravvivere. Niente quindi come un virus si presta, pur nella sua realtà di esistente, a presentarsi come quel "reale" orrido che che ci insidia con il suo contagio, ma che sfugge ad ogni tentativo di catturarlo in quella presa che lo metta in scacco. Il virus ingaggia un corpo a corpo con il suo ospite ed è su questo terreno che si gioca il suo destino. Nel corpo. Si tratta di un sapere nuovo del corpo che deve prodursi e non di un nuovo saper sul corpo che, in verità, possiamo solo supporre.

Quando il reale non viene arginato e circoscritto nella realtà, quando cioè si ha difficoltà ad affrontare questo virus come una realtà che esiste eccome in termini di epidemia e di malattia sul terreno della realtà vera e propria, ma si gestisce "da lontano" sul registro del reale, e del fantasma che evoca, è allora che l'immaginario galoppa perché su questo registro non vi è il virus in quanto tale ma un buco, che va allora riempito con ogni sorta di "delirio", dalle narrazioni che se ne fanno continuamente alla ridda di teorie "virologiche", dai saperi costruiti alle suggestioni del tutto immaginarie, dalle ordinanze spesso bizzarre e incomprensibili alle misure improvvisate dai "si dice" e "dai secondo me".

 Questo spiega perché, paradossalmente, come ricordava anche Marisa Fiumanò nel suo bel seminario di appena una settimana fa, sono molto meno angosciati i medici impegnati nelle corsie delle terapie intensive, e a vero rischio, che non tanti di noi pur al sicuro nelle nostre case: loro hanno la possibilità di lavorare sulla "realtà" palpabile e quindi percepita come affrontabile, la realtà vera e propria della malattia, e della morte, noi ce la dobbiamo vedere invece con il "reale", e dunque con una narrazione - un simbolico - e un immaginario che vorrebbero arginarlo, senza però, ovviamente, riuscirci mai! I più a rischio, paradossalmente, siamo noi. Ma dal punto di vista del contagio psichico del reale del virus, più che dal suo corrispettivo di realtà.

È sul terreno della realtà che si argina il virus, non su quello del reale, o meglio dell’immaginario in quanto difesa dal reale del virus e non dalla sua realtà. L’immaginario serve a difendersene, non ad affrontare la realtà. Sono solo i corretti comportamenti umani, non le ordinanze, che possono avere la meglio sul virus. E i comportamenti, per essere efficaci, devono fondarsi sull’etica, sul senso di responsabilità, e sull'amore, l'amore per la vita umana, che è cosa diversa da una mera lotta per la sopravvivenza."

Dal Webinar "L'amore ai tempi del coronavirus" del 2 maggio 2020

IL COVID E IL REALE

Il covid - che, secondo i dati presentati ufficialmente, esiste nella realtà, contagia, in alcuni casi fa ammalare e talvolta perfino morire - si impone come quel "reale" che buca la trama simbolica e fugge da tutte le parti. 

Per questo angoscia.

Le molteplici narrazioni cui assistiamo ogni giorno, e il proliferare di decreti con ogni risma di regole e restrizioni - spesso del tutto fantasiose - sono, evidentemente, il tentativo di inseguire un virus che non sta mai dove lo si cerca e non vuol saperne di non esserci più. 

Sono il tentativo di ricucire il buco nel simbolico per evitare l'angoscia, ma che finisce però per angosciare ancora di più, e all'infinito, perché nel ricucirla da una parte, la trama si buca da qualche altra parte. 

Il Covid è una contingenza che non vuole saperne di cessare di scriversi


LA VERITA' MENTE

La verità non entra nella parola, non si può dire, o almeno non può entrarvi del tutto e per la ragione semplicisissima che, negli umani, che hanno il dono della parola, la verità viene trasferita dalla cosa in sé (il reale) alla cosa detta tramite la parola (il simbolico o l'immaginario), e dunque, siccome la parola mente, perché, catturata appunto nel simbolico o nell'immaginario, lascia dietro di sé sempre un resto (il reale o desiderio: l'enunciato è solo parte -anche distorta- dell'enunciazione), ecco che la verità mente. 

Al massimo, come dice Lacan, può esser detta solo a metà. Tranne in analisi, dove infatti conta, rispetto a quello che si dice, quello che non si dice, o che si dice in altro modo (sogno, lapsus).

L'ALTRO NON PUO' CHE MENTIRE

Se, come dice Lacan, un significante rappresenta il soggetto per un altro significante, allora non possono che derivarne due conseguenze: 1) la dipendenza del soggetto dall'Altro; 2) l'Altro non può che mentirci.


VERITA' E REALTA' NON COINCIDONO

San Tommaso D'Aquino sosteneva che la verità si congiunge alla cosa, che si arriva cioè ad avere una sovrapposizione tra verità è realtà (Adaequatio rei et intellectus).

La psicoanalisi ci indica invece che tra verità e realtà esiste una irriducibile divisione, perché la verità, in un essere parlante, si congiunge alla parola e non alla realtà, come invece continua ad essere per gli animali che, non avendo la parola, ma essendo orientati dall'istinto, conoscono la verità della natura, in quanto è l'istinto, e non la parola, che permette di congiungere le cose alla loro verità.

In altri termini la parola di cui l'essere umano è dotato separa irrimediabilmente la verità dalla cosa.

Da questo ne deriva che:

1) la verità è ciò che mente;

2) la verità non può essere mai detta tutta, al limite "a metà", come ricorda Lacan;

2) la verità che si ritiene di conoscere, e di dire, anche oggi, sulla attualità che ci riguarda, non fa eccezione a questa regola.

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