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DESIDERIO

Se, da una parte, l’uomo della ipermodernità sembra essere sempre più attraversato dall’angoscia, dall’altra sembra invece essere sempre più impossibilitato a reperire e a sostenere il proprio desiderio.

Perché? Perché la nostra epoca non sembra più sopportare che si possa mancare di qualcosa: la nostra è l’epoca del “pieno”, del “troppo”, del “tutto”, e invece il desiderio origina dal "non tutto", dalla mancanza, anzi è la mancanza stessa, vale a dire è la capacità di sapersi procurare sempre un po’ di “mancanza” e di sapersi sostenere in essa. 

“Il desiderio è la metonimia della mancanza” dice Lacan per intendere che il desiderio è una struttura di mancanza. E del resto, se non ci si sapesse rendere mancanti come si potrebbe desiderare? 

Saper coltivare la propria mancanza, la propria “mancanza a essere”, cioè il proprio desiderio, è il segreto, non della felicità, ma dell’eros, vale a dire della capacità di amare poiché è il desiderio che crea la possibilità della domanda d’amore. 

Il desiderio, quindi, è la condizione assoluta dell’amore, e dell’amore fa “l’incondizionale” del bisogno, finanche del bisogno di vivere.

E poiché l’essere umano si nutre di amore, il desiderio è anche il segreto della salute dell’uomo e dell’apertura alla vita.




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"HO AGITO SEGUENDO IL MIO DESIDERIO?"

La famosa domanda che Lacan invita chiunque a porsi nel corso della propria vita: "ho agito seguendo il mio desiderio?" non significa affatto che dovremmo vivere esaudendo tutti i nostri desideri, cosa del resto impossibile. Questi è, piuttosto, l'invito del Capitalista, il quale, in questo modo, spera di vendere tutti gli oggetti fasulli del desiderio che riesce astutamente ad indurre, e che niente hanno a che vedere col desiderio di cui parliamo.
Non a caso, infatti, Lacan parla del desiderio al singolare, in quanto il desiderio di cui si tratta è singolare, è Uno e va inteso nel senso della mancanza-a-essere, nel senso cioè che il vero desiderio umano consiste nella possibilità di tollerare - e coltivare - la propria mancanza radicale, e non di saturarla ad ogni costo, nell'illusione di poter arrivare a non sentirsi finalmente più mancanti di nulla.
Invece, l'essere umano è strutturalmente mancante e dunque strutturalmente desiderante: non può liberarsi del proprio desiderio, che è infatti, come ha scoperto la psicoanalisi, "inconscio e indistruttibile".
L'invito di Lacan a vivere allora in maniera conforme al proprio desiderio va visto come l'auspicio a sopportare la  propria mancanza-a-essere, anzi a proteggerla, ad evitare di saturarla ad ogni costo con i finti oggetti del desiderio - i gadget - avvertendola, non come un vuoto da riempire con qualsiasi cosa, ma come un bene prezioso da custodire e preservare dalle insidie della cultura dell'avere e del non rinunciare a nulla.
L'invito di Lacan è dunque quello di saper "rendersi mancante", saper non farsi mancare mai l'unica cosa che non dovrebbe mai mancarci, vale a dire la mancanza stessa, in altre parole sapersi mantenere come soggetti di desiderio, come soggetti desideranti.


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IL DESIDERIO IN FREUD E IL DESIDERIO IN LACAN

Se per Freud il desiderio è l'effetto dell'interdizione paterna del godimento incestuoso con la propria madre, se dunque - possiamo dire - in Freud è la Legge paterna che causa la castrazione e quindi di conseguenza, per Freud, il desiderio è il desiderio di ciò che è stato proibito, per Lacan le cose stanno esattamente all'opposto: il desiderio è causa e non effetto della Legge paterna, in quanto il desiderio non è, per Lacan, desiderio del proibito - questa semmai - fa notare Lacan - è la convinzione del nevrotico, per cui - fa notare sempre Lacan - Freud ragionava come il nevrotico -  ma, piuttosto, per Lacan, il desiderio, è la struttura stessa della mancanza, è - dice testualmente Lacan - metonimia della mancanza.

Di quale mancanza? Della mancanza del fallo materno, vale a dire della mancanza in quanto "castrazione della madre", da cui ne deriverà per il soggetto il fatto di recarne il marchio come mancanza nella struttura dell'essere.

In altri termini, per Lacan, diversamente da quello che sostiene Freud, la castrazione non è l'effetto della metafora paterna, non è cioè l'effetto della interdizione patera, della proibizione dell'incesto da parte della Legge paterna, ma, al contrario, è la castrazione della madre, il fatto cioè che la madre sia castrata, e dunque il riconoscimento di questa, che instaura il desiderio come mancanza, come struttura di mancanza, e quindi come luogo da cui può costituirsi la metafora paterna, in quanto Legge.

Dunque, per Lacan, la castrazione precede, non consegue, alla Legge paterna, anzi è ciò che la rende possibile, ciò che la determina: è il desiderio che, per Lacan, permette la Legge e non viceversa.

Ora, se il nevrotico ritiene invece che il desiderio che lo agita sia desiderio di ciò che gli è stato proibito, è solo perché - fa notare Lacan - la struttura della nevrosi è quella di velare la vera natura del desiderio in quanto struttura di mancanza: non sopportando, il nevrotico, che vi sia una mancanza nella struttura, "preferisce" organizzare le cose in maniera tale da potersi convincere che la mancanza, quindi il desiderio, non ha a che fare con la propria struttura, che lo riguarda in quanto parlessere, ma con ciò che il padre gli ha primariamente proibito.

Di qui l'atteggiamento rivendicativo dei nevrotici, spesso, come vediamo nella nostra clinica, veri "ribelli senza causa".



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ANALIZZABILITA' E DESIDERIO DELL'ANALISTA

Il concetto di "analizzabilità" di un paziente - soprattutto se collegato ad una diagnosi - è, in psicoanalisi, pericoloso, in quanto rischia di escludere molti di quei pazienti clinicamente riconosciuti come psicotici da un percorso di cura, come quello psicoanalitico, che potrebbe rivelarsi invece anche molto proficuo 

In psicoanalisi, piuttosto, si dovrebbe partire da una domanda e non da una diagnosi, dal riconoscimento soggettivo di un "trop de mal" - come dice Lacan - e non dalla identificazione con questa o quella categoria diagnostica. Anzi, spesso, è proprio l'identificazione del paziente con una diagnosi ciò che può rendere difficile l'avvio di quel discorso soggettivo su se stessi che è il cuore di ogni percorso psicoanalitico, e dunque, in psicoanalisi, di non analizzabile vi è solo chi non ne fa domanda o chi, per lui, ne faccia domanda un altro (il papà, la mamma , il coniuge, l'amante, l'amico, ma anche una diagnosi, poiché la diagnosi è sempre il discorso dell'altro sul soggetto e non il discorso del soggetto su di sé).

E' tendenza, perfino della cosiddetta "psicoanalisi classica" di "arretrare" di fronte alla psicosi, ritenendo che lo psicotico non sia "analizzabile", non sia idoneo ad una psicoanalisi, laddove invece, è piuttosto l'analista a non sentirsi idoneo a trattare uno psicotico, soprattutto se mette l'angoscia del paziente al posto del suo desiderio di analista. 

Se invece, anche di fronte all'angoscia psicotica, il desiderio dell'analista "tiene", allora anche il paziente può meglio "tenere" la propria angoscia e sostenere un'esperienza psicoanalitica della cura. 

Per questo Lacan ricorda con insistenza che non bisogna né "cedere sul proprio desiderio" né "arretrare di fronte alla psicosi". Si tratta della posizione etica fondamentale e irrinunciabile dello psicoanalista, un'etica resa possibile da quello che Lacan ha chiamato il "desiderio dell'analista."

In questo senso possiamo dire che l'etica e il desiderio dello psicoanalista sono sinonimi e sono alla base della corretta posizione dell'analista nella cura.



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SODDISFARSI DELLA MANCANZA

Mentre le psicoterapie e tutte le terapeutiche cui siamo abituati si fondano sulla logica della "riparazione" e della "compensazione" di ciò che il soggetto avverte come "mancanza", come "ciò che mi manca per sentirmi a posto", mancanza che spesso è avvertita come la causa di quella sensazione, anche dolorosa, che c'è "qualcosa non va", confondendosi così "la mancanza" (che è ontologicamente costitutiva dell'essere umano) con "il difetto", la psicoanalisi, invece, piuttosto che saturare ciò che il soggetto avverte come mancanza, si propone di aiutarlo a farsene correttamente quello per cui egli è costitutivamente mancante, vale a dire, a farne causa, non di malessere e di sofferenza, ma causa del suo stesso essere, e quindi causa di arricchimento e di realizzazione di se stesso, dal momento che è proprio la mancanza a costituire l'essere non solo come soggetto di desiderio, ma, anche, come chi può arrivare a soddisfarsi dell'atto stesso del proprio desiderare, quindi della propria mancanza, e non dell'illusione di realizzarne la scomparsa.

Del resto il soggetto non può che essere mancante ("mancante a essere" dice Lacan) poiché è proprio la parola, dalla quale non può sottrarsi, che, provenendo dall'Altro, da una parte, "segna" il soggetto come soggetto "separato" dalla sua natura originaria di non mancare di nulla, dall'altra lo rende mancante, ossia capace di desiderare (se non fossimo mancanti non potremmo desiderare e amare nulla e quindi saremmo soggetti "morti" in vita - e ce ne sono, infatti: coloro che riescono a non desiderare nulla!)

La divisione soggettiva ad opera della parola e che rende il soggetto mancante, e quindi desiderante, facendone un essere, è simbolizzata da quello che Lacan chiama il Fallo (con la F maiuscola) per intendere il marchio che il soggetto porta su di sé come effetto della sua castrazione. Per questo Lacan dirà che "se il desiderio è la metonimia dell'essere nel soggetto, il Fallo è la metonimia del soggetto dell'essere": solo in questo modo un essere umano può sostenere, da una parte, il limite del proprio essere, e dall'altra il vuoto abissale cui lo espone il suo desiderio.

A questa capacità soggettiva - quella di potersi soddisfare e non angosciare della propria mancanza costitutiva, della propria mancanza-a-essere - conduce un'analisi, a differenza delle psicoterapie che, in linea con lo scientismo contemporaneo e con le seduzioni del capitalismo, vogliono convincerlo che per poter stare bene, per ottenere la propria salute, bisogna arrivare a non sentirsi mancante di nulla.

"La psicoanalisi parte realmente da qualcosa che Freud ha scoperto nel sogno dell'iniezione di Irma, e che ha chiamato l'ombelico del sogno: un vuoto interno alla struttura del sapere, non la promessa di un sapere futuro, ma una struttura di mancanza all'interno del sapere che costituisce il reale del sapere. Come trasmettere questo alla scienza e alla pedagogia oggi è la scommessa della psicoanalisi: come trasmettere che l'esperienza della psicoanalisi è l'esperienza più prossima a una dimensione del sapere non come conoscenza, ma come elaborazione sulla mancanza (M. Bassols, Lezione I, in: Ciò che non inganna, p 26) 

Anche di questo parleremo nel corso del I incontro del gruppo di studio sulla pratica della psicoanalisi, il prossimo 26 novembre alle ore 10, online, cercando di tracciare le coordinate cliniche e strutturali, della differenza, spesso negata, tra psicoanalisi e psicoterapia. 

Mi aiuterà a moderare e vivacizzare l'incontro Andres Rivera Garcia

L'incontro è riservato a psicoterapeuti, psicoanalisti e allievi in formazione o studenti.

per aderire compilare il format al seguente link: http://eepurl.com/iaWFKr

Per informazioni scrivere a: eventi.egidioerrico@gmail.com

www.egidioerrico.com

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IL DESIDERIO DELLA MADRE

"Non sto in alcun modo dicendo che l'Edipo non serve a niente, né che non abbia alcun rapporto con quel che facciamo. Non serve a niente agli psicoanalisti, questo è vero, ma siccome non è sicuro che gli psicoanalisti siano psicoanalisti, ciò non prova niente. Sempre di più gli psicoanalisti si avventurano in qualcosa che, infatti, è eccessivamente importante, cioè il ruolo della madre. Queste cose, Dio mio, ho già cominciato ad affrontarle.

Il ruolo della madre è il desiderio della madre. È fondamentale. Il desiderio della madre non è qualcosa che si possa sopportare così, qualcosa che vi sia indifferente. Provoca sempre dei danni. Un grosso coccodrillo nella cui bocca vi trovate- questo è la madre. Non si sa cosa potrebbe all'improvviso venirle in mente, ad esempio di chiudere le fauci.

Ecco cos'è il desiderio della madre." (J. Lacan)



IL DESIDERIO E LA DOMANDA D'ANALISI

Per Lacan il soggetto desidera essere il desiderio dell'Altro e, al tempo stesso, desidera che l'Altro desideri il suo desiderio. Più tardi, lo stesso Lacan, si renderà conto che il soggetto desidera pure tagliarsi fuori dal desiderio dell'Altro per confinarsi nel godimento "autistico" di poter essere anche un Uno senza l'Altro.

Di conseguenza, una tale complessa articolazione del desiderio non può trovare la sua realizzazione nella vita cosciente del soggetto, poiché in effetti soddisfazione del desiderio e domanda di desiderio sono incompatibili.

Freud vede infatti nel sogno, e non nella realtà, il luogo della realizzazione del desiderio. Nella realtà, invece, il desiderio è destinato a rimanere insoddisfatto e il soggetto non può che sperimentarne la frustrazione. 

Ma è proprio questa posizione irriducibilmente insoddisfatta del soggetto circa il proprio desiderio a far sì che il desiderio - come dice Lacan - "incrociando la parola sulla linea del significante" diventi domanda e il soggetto possa incontrare l'Altro. 

Per questo, nel sogno, quando il desiderio tenta di incrociare la parola, che è sempre rivolta all'Altro, per farsi domanda, e sottrarsi alla sua soddisfazione allucinatoria, il sogno cessa e il soggetto si sveglia. Per dirla tutta il sogno si interrompe anche quando, al contrario, il soggetto incontra il reale del proprio godimento Uno, per cui possiamo effettivamente ammettere, come il genio di Freud intuì, che il sonno è protetto esclusivamente dal carattere essenzialmente allucinatoria della condizione onirica.

Insomma, là dove vi è soddisfazione del desiderio, l'Altro non potrà mai essere incontrato. 

La soddisfazione del desiderio è sempre dell'ordine dell'allucinatorio e dell'autoerotico. 

La frustrazione del desiderio ne consente invece la trasformazione in domanda e permette al soggetto l'incontro con l'Altro.

L'Altro, il vero Altro, l'Altro alloerotico, è dunque quello che, rispondendo alla domanda, frustra il desiderio. Come fa per esempio l'analista, in quanto non è possibile che si impianti un'analisi se non frustrando la soddisfazione del desiderio, affinché possa organizzarsi quella domanda di riconoscimento che è il motore vero e proprio di ogni analisi che non proceda lungo l'asse immaginario.

L'altro che invece accetti di essere il polo di soddisfazione del desiderio - come è il caso delle psicoterapie che ruotano intorno al "sostegno" o all' "empatia", o, come sembra essere di moda oggi, all' "uso del controtransfert" - evita la frustrazione, ma non risponde alla domanda, in quanto si costituisce come un altro autoerotico e dunque escludendosi dal poter arrivare ad essere 

 l'Altro della domanda di riconoscimento del soggetto. 

In analisi - come in amore - l'Altro si incontra, non lungo la via della soddisfazione del desiderio, bensì lungo quella della sua frustrazione.


Approfondiremo questo aspetto, cruciale per l'avvio di ogni processo analitico, nel prossimo Webinar del 31 ottobre, che sarà dedicato all'esperienza analitica. La partecipazione è libera e per tutti. Per prenotarsi scrivere a: conversazionipsi@gmail.com


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LA FRUSTRAZIONE DELLA DOMANDA

"Nell'analisi ogni risposta alla domanda, si voglia frustrante o gratificante, riporta il transfert alla suggestione." (J. Lacan)

Che significa?

Lacan parte dalla considerazione che ogni domanda è "domanda d'amore" e l'analista è tenuto a tacere l'amore, perché solo tacendo l'amore si può mettere in moto il transfert.

Vale a dire, l'analista non deve farsi trovare, in analisi, come l'Altro della risposta alla domanda, non deve cioè rispondere né per gratificare, né frustrare, bensì, costituendosi come un posto vuoto, permettere all'analizzante l'acquisizione della mancanza soggettiva (castrazione) come condizione per poter ritrovarsi nel proprio desiderio, sapendo - l'analista - che è nella domanda che si sostiene il soggetto e non nella risposta che riceve, tanto più che la risposta non è mai quella che egli cerca. 

Se infatti l'analista rispondesse alla domanda porterebbe l'analizzante lontano dal luogo dell'analisi. 

In altre parole, ad una cosa l'analista deve stare attento: a non confondere la domanda con il desiderio, come invece fa il nevrotico, che infatti vorrebbe risolvere il problema del desiderio sul piano della domanda, ritrovarlo lì, l'isterica attraverso una domanda che rimanga sempre insoddisfatta, l'ossessivo attraverso una domanda cui sia impossibile rispondere: desiderio di desiderio insoddisfatto, per l'isterica, desiderio di desiderio impossibile, per il nevrotico. 

Provate a rispondere alla domanda dell'isterica, vi accorgerete che la troverà sempre insoddisfacente, e dunque vi sospingerà a trovarne una più soddisfacente, ancora..., e provate a rispondere alla domanda di un ossessivo, vi accorgerete che è impossibile, che la risposta non lo tange minimamente, non gli arriva nemmeno, piuttosto, lo circonda per ritornare di nuovo a voi, e allora, pensando di non averla ben formulata, pensate di doverla riproporla, ancora...

Il nevrotico, dunque, confonde la domanda con il desiderio, trasforma la domanda in un oggetto, l'oggetto del desiderio.

Di qui "il cerchio infernale della domanda" cui allude Lacan per descrivere la dimensione di impasse che si verrebbe a creare se l'analista rispondesse alla domanda, l'impasse delle psicoterapie che procedono lungo l'asse immaginario. 

Ecco perché rispondere alla domanda ripristina la suggestione e fa da obiezione al transfert, perché impedisce all'analizzante di accedere al simbolico, per persistere nell'immaginario, vale a dire impedisce la via verso il desiderio.

Il desiderio non può infatti entrare mai nella domanda, in quanto, benché la determini, esso è sempre, come dice Lacan, l'al dilà (scritto proprio così, di e là attaccati: dilà) della domanda, in quanto la determina, il che permetterà a Lacan di dire che "il desiderio è articolato, per questo non articolabile". 

In altre parole, il soggetto del desiderio (il soggetto cioè che interessa alla psicoanalisi) sta nell'enunciazione, nell'inconscio, dove la domanda si produce in quanto determinata dal desiderio, e non nell'enunciato dove la domanda viene formulata e dove, attraverso la risposta che cerca, il soggetto non può mai ritrovarsi come soggetto di desiderio, anzi non può mai ritrovarsi come desiderio.



LO PSICOANALISTA COMPAGNO DI VIAGGIO.

La psicoanalisi lacaniana, soprattutto in relazione alla direzione della cura, sembra trovare il suo fondamento cardine nei due famosi assiomi enunciati da Lacan: “l’inconscio è il discorso dell’Altro” e “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”.

In primo luogo notiamo intanto che, in entrambe le frasi, sono proprio quei due aspetti che, pur attenendo alla particolarità del soggetto, l’inconscio e il desiderio, non possono, per Lacan, se non essere ricondotti all’Altro. Come a dire che nessun soggetto umano è concepibile se non in riferimento all’Altro. E del resto, il termine stesso di soggetto include il significante dell’assoggettamento: il soggetto è tale in quanto assoggettato, a chi? All’Altro. Un soggetto è ciò che un significante rappresenta per un altro significante, precisa infatti Lacan.

I due assiomi, dunque, mettono sia l’inconscio, sia il desiderio in relazione con l’Altro, anzi sembrano dire la stessa cosa, e cioè che tanto l’inconscio, quanto il desiderio sono dell’Altro, senonché è proprio questo “dell’Altro”, vale a dire la formulazione genitiva delle due frasi, che, pur rendendole solo apparentemente simili, le rende al tempo stesso anche ambigue, dal momento che, in entrambe, il genitivo può essere letto sia attraverso la struttura grammaticale del “de soggettivo” sia attraverso quella del “de oggettivo”: “l’inconscio è il discorso dell’Altro”, può essere letto sia nel senso che è l’Altro a parlare l’inconscio del soggetto (struttura soggettiva), sia che è l’inconscio a parlare dell’Altro (struttura oggettiva), e, analogamente, “il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro”, può essere letto sia nel senso che il desiderio del soggetto non è del soggetto, ma dell’Altro, cioè è l’Altro a desiderare il soggetto (struttura soggettiva), sia nel senso che il desiderio del soggetto è un desiderio rivolto all’Altro, cioè che è il soggetto a desiderare l’Altro (struttura oggettiva).

Ora, dal punto di vista delle ragioni per cui Lacan ha formulato i due assiomi, e cioè dal punto di vista sia della posizione del soggetto rispettivamente nell’inconscio e nel proprio desiderio, sia dal punto di vista della pratica analitica, in particolare della direzione della cura, le due frasi non possono essere lette allo stesso modo, bensì, la prima, tenendo conto della struttura grammaticale oggettiva, la seconda, di quella soggettiva, come mirabilmente lo stesso Lacan chiarisce: “Ecco ciò di cui soddisfa la nostra formula per la quale l’inconscio è il discorso dell’Altro, in cui «dell’» va inteso nel senso del de latino (determinazione oggettiva): de Alio in orazione (completate: tua res agitur).” Continuando, subito dopo: “Ma anche aggiungendo che il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro , in cui «dell’» è la determinazione che i grammatici chiamano soggettiva, cioè che egli desidera in quanto Altro (ciò costituendo la vera portata della passione umana).”

Una tale delucidazione dei due assiomi, che potete trovare a pag. 817 di “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano" (J. Lacan, Scritti, vol. II, Einaudi 1966), non lascia adito a dubbi sulla diversa posizione del soggetto inconscio in relazione all’Altro, a seconda di quando parla e di quando desidera: nel proprio inconscio è sempre il soggetto a parlare all’Altro, o meglio a parlare dell’Altro o sull’Altro, mente nel proprio desiderio è sempre l’Altro che desidera.

Il che significa che, mentre la struttura del linguaggio è quella del soggetto che parla, la struttura del desiderio è sempre quella dell’Altro che desidera. Quindi, si può dire che il desiderio è sempre Altro - dell’Altro - rispetto al soggetto, e che nessuno può considerarsi un io nel proprio desiderio: si desidera sempre dal luogo dell’Altro.

Per questo, come Lacan fa notare, del desiderio non si può avere disconoscimento, ma nescienza, vale a dire che non è che del proprio desiderio non se ne vuole sapere, come è il caso dell’inconscio rimosso, ma che non se ne può sapere: non c’è scienza possibile del desiderio, perché il proprio desiderio e sempre dell’Altro, e per saperne qualcosa bisognerebbe essere un Altro.

Da questa impossibilità di saperne del proprio desiderio, da questa nescienza del desiderio, ne conseguono due corollari fondamentali per la pratica della psicoanalisi e per la direzione della cura: il primo, se il desiderio è il desiderio dell’Altro, solo interrogando l’Altro messo nella posizione di Altro desiderante (che vuoi?) il soggetto può saperne qualcosa del proprio desiderio (che voglio?), il secondo, è matematicamente, logicamente, impossibile l’autoanalisi come clinica del desiderio.

È per questo che Lacan, sempre a pag. 817 dello scritto citato, sembra giungere alla seguente conclusione: “Ecco perché la questione dell’Altro, che ritorna al soggetto dal posto dove questi attende un oracolo, nella formulazione di un : Che vuoi?, è quella che meglio lo conduce alla strada del proprio desiderio, - a condizione che, grazie al savoir-faire di un partner che ha il nome di psicoanalista, si metta a riprenderla, sia pure senza saperlo bene, nel senso di un: Che vuole da me?”

Vale a dire, per concludere, che non è possibile percorre la strada del proprio desiderio se non insieme ad uno psicoanalista, che lungo questa strada si offre come compagno di viaggio.


DAL BISOGNO AL DESIDERIO:

LA VIA DELL'AMORE

«La domanda verte su altro che non sulle soddisfazioni che chiede. Essa è domanda di una presenza o di un'assenza. Ciò è manifestato dalla relazione primordiale con la madre, in quanto gravida di quell'Altro che va situato "aldiqua" dei bisogni che può colmare. Essa lo costituisce già come avente il "privilegio" di soddisfare i bisogni, cioè il potere di privarli della sola cosa da cui sono soddisfatti. Questo privilegio dell'Altro disegna così la forma radicale del dono di ciò che non ha, cioè quel che si chiama il suo amore.» (J. Lacan)

In questo passaggio de "La significazione del Fallo", che potete trovare a pag. 688 degli "Scritti", Lacan tratteggia in maniera esemplare, e con la sua consueta eleganza di stile, come - non c'è verso - la via dell'amore non può che muovere dal riconoscimento della castrazione - vale a dire del proprio limite - e passare attraverso la domanda.

Ora, in un'epoca come la nostra, in cui l'unica cosa che sembra interdetta è proprio la castrazione, avere un limite, poiché, al contrario, l'unico imperativo ammesso sembra essere invece il godimento senza limite, non possiamo più meravigliarci di quanto sia difficile consentirsi l'amore

Di quanto sia cioè difficile, per il soggetto di oggi, di accedere alla domanda e dunque di riconoscere quello che erve all'amore, vale a dire di poter riconoscere all'Altro dell'amore il privilegio di accordargli la sua presenza o la sua assenza, di fargli dono, come dice Lacan, di "ciò che non ha, cioè quel che si chiama il suo amore". 


LOGICA DEL DESIDERIO

(verso il Webinar di settembre)

Uno dei contributi più significativi di Lacan alla comprensione di come il soggetto si organizza intorno al proprio desiderio - che è poi anche l'ambito di azione della psicoanalisi - vale a dire alla comprensione di come e perché il campo del desiderio sia ciò che del bisogno non può entrare nella domanda - cosa che permetterà a Lacan di dire che "il desiderio è articolato, ma non articolabile" ("Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell'inconscio freudiano" in "Scritti") - consiste nell'averci dimostrato che la struttura della domanda non è data in sé e per sé a partire dal soggetto in maniera indipendente dall'Altro cui essa viene rivolta, ma, al contrario, si organizza come effetto della frustrazione del bisogno da parte dell'Altro, che ora si pone, non più come quello che soddisfa i bisogni del soggetto, ma come quello che lo soddisfa unicamente attraverso la propria presenza. In questo modo l'Altro assumerà il privilegio di poterla negare in ogni momento attraverso la propria assenza. 

L'Altro della domanda è però anche l'Altro che fornisce al soggetto le indicazioni, le chiavi, vale a dire i significanti che servono per formulare la domanda, per cui si può dire che il soggetto è dall'Altro che riceve il proprio messaggio, e l'Altro è per questo indicato da Lacan come "il tesoro dei significanti". Il famoso grafo del desiderio illustra bene come il soggetto riceva dall'Altro, in forme anticipatoria, retroattiva e metaforica - in modo cioè sia diacronico che sincronico - le indicazioni per formulare la propria domanda.

Possiamo dunque dire che il desiderio, essendo ciò che del bisogno non può entrare nella domanda, vale a dire quel resto già articolato che Lacan designa come oggetto piccolo a, articola però la domanda che il soggetto rivolge all'Altro sulla base delle "indicazioni" che egli dallo stesso Altro riceve, interpellato al momento del bisogno, quell'Altro che in genere è la madre. 

In altre parole, l'Altro della domanda è anche l'Altro che, in quanto "tesoro dei significanti", indica al soggetto come strutturare la domanda. 

L'Altro è cioè colui che permette al soggetto la scelta dei significanti più adatti a comporre la domanda in maniera tale da corrispondere al desiderio dell'Altro cui si rivolge. Per questo Lacan, dirà che il desiderio del soggetto è il desiderio dell'Altro e, attingendo al "diavolo innamorato" di Cazotte, sintetizzerà il concetto nel famoso appello con cui il soggetto interroga l'Altro: "Che vuoi?". 

Solo in questo modo, solo cioè interpellando l'Altro sul suo desiderio, solo potendo chiedergli "Che vuoi?", il soggetto può, retroattivamente, e sfruttando il "principio di commutatività" dei significanti, operare la scelta dei significanti più adatti a strutturare la sequenza significante della propria domanda. 

E' in tal modo che la domanda non solo acquista il senso "giusto", ma riceve anche effetti metaforici in quanto viene a costituirsi attraverso la sostituzione di un significante con un altro significante. Per questo non vi è domanda rivolta all'Altro che non sia anche metafora, non vi è demanda che oltre a dire del desiderio del soggetto, non dica anche qualcosa dell'Altro, che non dica anche del desiderio dell'Altro. E infatti, quando il significante fornito non funziona, o è particolarmente ambiguo, e non può adeguatamente indicare al soggetto come articolare la propria domanda, come "scegliere" cioè i significanti adatti ponendoli anche alla giusta distanza - e al giusto tempo - tra i punti di capitonaggio con i significati, è allora che il soggetto non riesce più a formularla correttamente non comprendendone il desiderio che la sottende, ed è allora che di conseguenza il soggetto va incontro, da una parte, all'angoscia, dall'altra all'impossibilità a domandare, non possedendo più le chiavi, le "password" potremmo dire, che l'Altro, la madre in primis, avrebbe dovuto fornirgli per poter strutturare la domanda: è quello che avviene, nei casi estremi, nello schizofrenico, che in assenza delle indicazioni del "tesoro dei significanti" sceglie i significanti alla rinfusa e quindi struttura domande senza senso, insensate appunto.

La famosa storiella della due cravatte è un esempio lampante della soluzione schizofrenica all'ambiguità dei significanti forniti, anticipatoriamente, retroattivamente e metaforicamente dall'Altro 

Dunque, se è, come abbiamo visto, il desiderio dell'Altro a orientare il desiderio del soggetto a come strutturare la domanda, ciò significa che il discorso dell'Altro sussiste nel discorso del soggetto, rimanendovi però dimenticato, e dunque inconscio. 

L'inconscio allora altro non è che questo: il discorso dell'Altro che nel soggetto si insedia strutturandosi come un linguaggio, per cui possiamo in effetti dire che noi parliamo in quanto parlati. Allo stesso modo possiamo dire che noi costituiamo il particolare del nostro desiderio se non in quell'al di là della domanda che è il desiderio dell'Altro.

UN DESIDERIO CONVINTO 

Cosa vuol dire Lacan quando dice che un'analisi non può che partire da un desiderio convinto dell'analizzante? Vuol dire che nessuna cura può avere luogo, e dare i suoi benefici, se non attraverso una rinuncia di godimento.

Ogni processo analitico che sia vero, e che funzioni, comporta sempre una perdita di godimento.




NON RIESCO AD AVERE QUELLO CHE DESIDERO

"Non riesco ad avere quello che desidero" è ciò di cui sentiamo spesso lamentarsi chi è in analisi.

Ci vuole del tempo affinché ci si possa render conto che il significato della frase è il suo rovescio, ossia: "Non riesco a desiderare quello che ho".

Non esiste insoddisfazione se non per quello che già si ha.

LA STRUTTURA DEL CEDIMENTO SUL PROPRIO DESIDERIO...

Cosa intende Lacan quando, nel suo Seminario VII, l'etica della psicoanalisi, a pag. 372, parla di quella che è "la struttura del cedimento sul proprio desiderio" descrivendola come quella condizione per cui "o il soggetto tradisce la propria via, tradisce se stesso, e lo sente anche lui. Oppure, più semplicemente, tollera che qualcuno con cui si è più o meno votato a qualcosa tradisca la sua attesa"? 


 Vuole evidentemente dire che il soggetto umano, in quanto desiderante, può trovarsi nella condizione di non riuscire a "stare" nel proprio desiderio, -a stare cioè nella propria mancanza-a-essere- o perché rinuncia a "seguire la propria via", tradendo se stesso, o perché accetta e tollera che qualcuno cui è legato tradisca l'impegno che aveva assunto di rispettare il suo desiderio, vale a dire di rispettare il fatto che sia mancante.


 Questo qualcuno, a parte il soggetto stesso, può essere un genitore, un parente, un insegnante, un amante, un partner, un terapeuta finanche, quando invita il soggetto a seguire il "bene" che gli sta indicando ("lo sai che io parlo per il tuo bene"), piuttosto che lasciare che egli segua il suo desiderio, o, per dirla in altro modo, piuttosto che tollerare che l'altro non possa dargli quello che si aspetta da lui, in quanto ne è logicamente mancante (non c'è infatti l'Altro dell'Altro), e introducendo di fatto, in questo modo, la disgiunzione tra la via del bene e la via desiderio. 


 Seguire la via del bene significa di conseguenza tradire la via del desiderio. Seguire la via del bene significa saturare ogni mancanza soggettiva ad essere, in quanto il Bene è ciò che, essendo stabilito come ex-sistente al soggetto, gli proviene sempre dall'esterno per prevenire ogni falla. Non vi è nulla di più saturante e riempitivo del Bene stabilito.


 Lacan lega dunque il cedimento sul desiderio al tradimento in nome di un Bene: il Bene di cui sa colui che tradisce. E qui Lacan è chiarissimo: il Bene in nome del quale si cede sul proprio desiderio sta sempre dalla parte di chi tradisce, non dalla parte del soggetto del desiderio. Il soggetto del tradimento dell'aspettativa di desiderio non coincide mai con il soggetto del desiderio. Questa a mio avviso la struttura del cedimento sul desiderio che qui illustra Lacan, il cui esempio è Antigone, la quale sceglie di seguire il suo desiderio e non il bene che le viene promesso. Sceglie dunque di essere soggetto di desiderio e non soggetto del tradimento in nome del bene di aver salva la vita. 


 Dovremmo sempre tener presente che l'etica soggettiva è quella di saper rispettare, e preservare, quel limite soggettivo che non dovremmo cercare di riempire con quello che riteniamo essere il bene stabilito, nostro e dell'altro, soprattutto quando l'altro è un bambino, un figlio, un partner, un paziente -se siamo il suo terapeuta- e soprattutto quando l'altro è noi stessi.


 Non dovremmo dunque mai cedere sulla struttura del desiderio. nostro e dell'altro nostro simile.



IL VERO OGGETTO DEL DESIDERIO E' L'OGGETTO PERDUTO

L'analista non può costituirsi come oggetto del desiderio del suo analizzante. Non può cedere su questo. Perché? Perché non può accettare di porsi come il polo della soddisfazione soccorrevole dei bisogni del paziente? Perché non può rispondere dal versante dell'empatia, pur essendone dotato, come è auspicabile che sia e come è in voga nelle psicoterapia cosiddette intersoggettive? Perché l'analista del campo freudiano non funziona neanche sul piano della risposta alla domanda e come agente della terapeutica della riparazione e della salvezza? 

Perché se funzionasse in questo modo non farebbe altro che porsi lungo l'asse immaginario e dunque in posizione di altro di una relazione duale, laddove l'analista deve porsi invece come "terzo", come colui che, non rispondendo sul piano del bisogno, risponde invece mediante una parola che è sempre altra rispetto a quella che il paziente si aspetta. 

E' la parola piena di cui parla Lacan, la parola testimonianza di un patto. 

Inoltre l'analista che rispondesse gratificando il bisogno e soddisfacendo la domanda non porterebbe intanto assolutamente nulla sul piano delle gratificazioni che pure pensa di assicurare, ma si disporrebbe soltanto come incentivo della alienazione del paziente nell'Io dell'analista, in quanto come Io in funzione l'analista si sarebbe costituito. Come un Io che non farebbe altro che sollecitare nel paziente le identificazioni idealizzanti e l'assunzione del desiderio dell'analista come oggetto del proprio desiderio, dal momento che l'Io non vuole sapere altro che trovare il proprio oggetto del desiderio nel desiderio dell'altro. 

In secondo luogo l'analista, lungi dal soccorrere alcunché, rivelerebbe inevitabilmente il proprio modo di godere, dal quale il paziente, se non riesce ad assumerselo attraverso l'imitazione, diventando così -come dice Lacan- un idiota, se ne sentirebbe escluso, il che, tutt'altro che favorire l'autonomia del paziente, ne favorirebbe piuttosto la infantilizzazione.

L'analista allora deve saper mancare come oggetto del desiderio per potersi invece, attraverso quel vuoto di sapere e quell'enigma sul proprio godimento che ne consegue, costituire come causa di desiderio, dal momento che il soggetto umano si costituisce non già attraverso l'oggetto del desiderio che gli viene assicurato, essendo questo inevitabilmente l'oggetto del desiderio dell'altro, ma facendo esperienza del fatto che il vero oggetto del proprio desiderio, lungi dall'essere l'oggetto che l'altro gli fornisce, è sempre un oggetto perduto, un oggetto perduto per sempre.


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L'ERRANZA DEL DESIDERIO 

Il desiderio umano non è semplicemente una questione di volontà, né si riduce al decidere, al deliberare, all'agire, non coincide neanche e necessariamente con l'atto puro della scelta, né si riduce a mera spinta pulsionale, anche se dalle pulsioni prende forza e carattere di ineludibilità. E non è neanche, il desiderio, ciò che, pur cercandolo, trovi il suo oggetto da qualche parte. Come l'Isterica insegna, il desiderio non trova il suo oggetto nella domanda che rivolge all'altro: l'oggetto del desiderio non è mai l'oggetto della domanda, in quanto è proprio il desiderio ciò che dalla domanda viene escluso.  Né il desiderio - come illusoriamente si crede - sembra destinato a ritrovare il proprio oggetto nell'amore, nell'altro dell'amore, che anzi - paradossalmente - oggetto amato e oggetto del desiderio - ed è questo lo scandalo del desiderio - non coincidono mai, tanto che - come gli amanti sanno - l'amore "manca" proprio di ciò che il desiderio cerca, il suo oggetto, essendone l'amore piuttosto la causa: l'amore mette in causa l'oggetto del desiderio facendolo mancare.   Il desiderio allora, è piuttosto una "struttura" soggettiva di "mancanza" radicale, anzi è il soggetto stesso, preso dalla "mancanza" che lo costituisce e lo sostiene, ma che in quanto "mancanza" ("il desiderio è la metonimia della mancanza", dirà Lacan), in quanto "mancanza ad essere", lo destabilizza, lo rende incerto, vacillante, e soprattutto non lo garantisce affatto sul soddisfacimento di un ritrovamento, perché quello che il soggetto ritrova non sarà mai quello che avrà cercato.  Possiamo tranquillamente dire che il desiderio è quella condizione che cerca soltanto quello che non c'è, vale a dire niente. L'analista questo lo sa bene (o almeno si spera): sa che la domanda dell'analizzante - apparentemente ora di cura, o di aiuto, o di guarigione, o di ascolto, o di crescita, o di questo, o di quello - non è domanda di questo o quello, ma è la domanda stessa, la domanda in sé: "vengo qui perché ho da domandare, ma non so cosa, la mia domanda è di domandare e basta. Non cerco niente e niente lei può darmi, se non ascoltarmi senza darmi niente, perché tanto quello che mi risponderebbe o mi darebbe, non sarebbe mai quello che cerco." L'analista è dunque impegnato su un niente da dare: proprio per questo è necessario che si faccia pagare, altrimenti il niente non troverebbe argine, e l'analista, attraverso la frustrazione di quel niente da dare, non sarebbe in grado di arrivare ad essere "colui che fa da supporto alla domanda, non, come si dice, per frustrare il soggetto, ma perché riappaiano i significanti in cui è trattenuta la sua frustrazione" (Lacan, "La direzione della cura e i principi del suo potere", in Scritti, Einaudi, pag. 164). L'analista dunque - a differenza di quello che avviene in tutte le altre situazioni di psicoterapia - supporta la domanda, ma non vi risponde, perché alla domanda dell'analizzante non vi è nulla da rispondere. Come Freud capì dall'Isterica.  In altre parole, il desiderio è il modo attraverso cui ci poniamo nei confronti della castrazione. E' dunque il desiderio una questione etica, che proprio per questo è anche ciò che ci rende singolari, unici e soli, perché rimanda il soggetto all'origine del suo dire soggettivo: "Chi sono?", "Cosa voglio?", ma ancor di più, giacché il desiderio cerca il suo oggetto nell'altro, è dall'altro che il soggetto vuole la risposta, e dunque è all'altro che rivolge la domanda: "Cosa vuoi che io sia?", che è domanda di riconoscimento dell'essere, dell'essere il desiderio dell'altro. Per questo la domanda del desiderio non vuole risposta, vuole essere solo "interpretata".  Il desiderio è qui ciò da cui origina la domanda che si perde nella enunciazione, facendo del soggetto dell'enunciato un soggetto attraversato dall'enigma, dall'equivoco, dal perturbante.   In quanto all'origine di quel dire cui pure si sottrae, è proprio al desiderio che Lacan si riferisce quando pronuncia quella famosa, enigmatica, frase che apre "Lo stordito": "Che si dica resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende" (in "Altri scritti", Einaudi, pag. 445): il desiderio è ciò che nel dire non può rientrare, ciò che al detto non arriva se non come "mancanza a dire", ciò che fa "resto" al dire nel soggetto. Un dire che, non trovando le parole per il desiderio di cui pure vorrebbe dire, resta un dire girovago, errabondo e che trova nel suo continuo spostamento su altro la sua struttura. Per questo possiamo dire che se il desiderio è la metonimia della mancanza, la struttura del desiderio è per se stessa struttura metonimica.  Per questo, il nostro desiderio, oltre che essere il desiderio dell'Altro - nelle due formule dell'Altro oggettivo e genitivo - è quella struttura metonimica che - traumaticamente - pone il soggetto sempre nella posizione di desiderare continuamente altro.   E se il desiderio serve all'amore, in quanto trova nell'amore la domanda del desiderio dell'Altro, la domanda di fare, come dice Lacan, esperienza del desiderio dell'Altro, dal canto suo l'amore lascia però continuamente insoddisfatto il desiderio stesso, in quanto l'amore si serve delle parole, e nelle parole il desiderio non può trovare mai il suo luogo.   Se infatti la struttura dell'amore è essenzialmente discorsiva, metaforica, di continuo accrescimento di senso, quella del desiderio è essenzialmente struttura a-discorsiva, di spostamento sempre su altro, è struttura metonimica, di continua sottrazione di senso.  Se l'amore è unitivo, discorsivo, e pretende la certezza e la stabilità dell'ancora, il desiderio è erratico, inquieto, fuori senso e fuori discorso.   L'amore è dell'ordine del dicibile, laddove il desiderio è dell'ordine dell'indicibile. Per questo, come abbiamo visto, non è l'amore il luogo della soddisfazione del desiderio, ma quello della sua continua causazione.  Il desiderio è invece il luogo della insoddisfazione radicale del soggetto, e l'amore il discorso che si intreccia per accoglierla e permettere agli amanti di arrivare ad amarsi pur scambiandosi quello che non hanno, mancanza, niente e a patto di tollerare il continuo errare del desiderio da un altro all'altro.


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IL DESIDERIO DELL'ANALISTA

L'atto analitico dipende dal desiderio dell'analista. [...] Il desiderio dell'analista è essenzialmente la sospensione di ogni domanda da parte dell'analista, la sospensione di ogni domanda d'essere: non vi si chiede di essere intelligenti, non vi si chiede di essere veridici, non vi si chiede di essere buoni, non vi si chiede di essere decenti, vi si chiede solo di parlare di ciò che vi passa per la testa e di dire la cosa più superficiale che viene in mente. Il desiderio dell'analista non è quello di rendervi conformi, di farvi del bene o di guarirvi. Il desiderio dell'analista è quello di ottenere il più singolare di ciò che fa il vostro essere e che voi stessi siate capaci di circoscrivere, di isolare ciò che vi differenzia come tale, di assumerlo, di dire: "Io sono questo, questo che non è buono, che non è come gli altri, che io non approvo, ma è questo".




- J.-A. Miller -

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