Anoressia e bulimia

Negli esseri umani il cibo non ha solo il significato della nutrizione, ma riveste anche valenze di tipo affettivo e relazionale. Il cibo ha cioè anche un valore simbolico. I nostri stati d’animo risentono e condizionano al tempo stesso il nostro modo di mangiare, e in maniera del tutto soggettiva. Per esempio, quando si è tristi, in alcuni casi si

può sentire il bisogno di mangiare di più, spesso in maniera irrefrenabile e compulsiva, in altri casi invece il desiderio scompare ed espressioni come “mi è passata la fame” oppure “non ho nessuna voglia di mangiare” diventano molto frequenti.

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Il comportamento alimentare


Il comportamento alimentare può assumere dunque tanto un significato relazionale, comunicativo, per cui il rifiuto di mangiare è il rifiuto dell’altro, tanto il valore simbolico di compenso di ciò che ci manca o addirittura il significato di “cura” del nostro stato d’animo depresso.

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    Il cibo assume cioè la funzione di “farmaco”, e del resto è noto come la cioccolata sia anche una sorta di antidepressivo. Ma pure in condizioni di normalità il cibo non cessa di rivestire anche un carattere simbolico. Il pranzo e la cena rappresentano momenti conviviali, occasioni per stare insieme, modi per celebrare o festeggiare qualcosa piuttosto che il solo momento della nutrizione. 


    Accettare o rifiutare l’invito a cena non è certo una decisione presa sulla base della propria fame, ma un modo per comunicare gradimento o rifiuto nei confronti di una persona. Sappiamo bene come gli inviti a cena possano far parte delle modalità per esempio del corteggiamento. Esiste peraltro anche un collegamento tra cibo e sesso.


    L’anoressia, questo rifiuto spesso drastico, estremo e persistente, tenace e irriducibile di alimentarsi è in effetti il rifiuto della vita e di ogni legame con l’altro. Vuole essere il trionfo su ogni desiderio e la realizzazione di un unico, tragico, mortifero desiderio: quello di non avere più nessun desiderio. In effetti l’anoressia, prima che una malattia, è un tratto, uno stile, una condizione, è la posizione soggettiva che si assume nei confronti della vita e del desiderio, una posizione di rifiuto irremovibile, grazie al quale l'anoressica può trarre dal dire “no” a tutto, non solo al cibo, il proprio personale godimento. La posizione dell’anoressia è in fondo una posizione di intimo, irrinunciabile godimento. L’anoressica in effetti non soffre. Certo sta male, si ammala, fa ammalare il suo corpo di denutrizione, ma gode, e infatti non si lamenta, anzi dice che sta bene, benissimo e quindi non chiede aiuto. Chi soffre sono invece i suoi familiari, che infatti sono quelli che per lo più chiedono aiuto al posto suo; e se l’anoressica, talvolta, accetta di farsi curare, è solo per compiacere i genitori. L’anoressica - l’anoressia è infatti una condizione per lo più femminile - giustifica la sua scelta come motivata dal desiderio di dimagrire per ottenere una forma corporea ottimale: l’anoressia è femminile, prevalentemente femminile perché ha molto a che fare con l’angoscia che la donna può avvertire nei confronti del proprio corpo che, ancor più che nell’uomo, esprime la sessualità e il desiderio. Il corpo dell’anoressica infatti è un corpo che perde progressivamente tutte le caratteristiche e le manifestazioni della sessualità femminile. Perde le sue forme, diventa infantile, e progressivamente, ormai scarno, denutrito, scheletrico comincia a ad ammalarsi e a presentare gli stessi sintomi di una menopausa precoce: le mestruazioni scompaiono, gli organi genitali si atrofizzano, cadono i capelli e persino i denti. L’anoressica realizza in questo modo il suo sogno segreto, perverso e mortifero di passare direttamente dall’età dell’infanzia a quello della menopausa e della senescenza, fino a poterne morire, se non si interviene in tempo e come si deve. L’anoressica in effetti non muore giovane, anche se lo è anagraficamente, muore di vecchiaia, una vecchiaia che ha saputo tragicamente anticipare pur di evitare di vivere la stagione della sua giovinezza, e cioè di quella femminilità adulta, sana, sessualmente attiva e fertile. L’anoressica non può incontrare la donna, e la madre, che pur desidera essere o diventare, perché questo desiderio per qualche motivo, oscuro e segreto, è un desiderio proibito, un desiderio che ella tragicamente e ostinatamente si proibisce.


    Al contrario, la bulimica usa del cibo per riempirsi, al fine di compensare illusoriamente ogni vuoto interiore. La bulimia è un modo compulsivo di alimentarsi, di ingozzarsi per poi, procurandosi il vomito, svuotarsi altrettanto compulsivamente. Se l’anoressica “gode” nel dire “no” a tutto, il godimento della bulimica consiste invece nel dire, nello stesso tempo, “si” e “no” a tutto. Se l’anoressica esprime il rifiuto drastico e totale all’altro, alla vita, alla sua sessualità di donna e al desiderio, la bulimica sembra continuamente oscillare tra il desiderio di possedere del tutto l’altro e quello al contrario di rifiutarlo, altrettanto completamente. Mentre l’anoressia esprime la posizione del rifiuto irremovibile, la bulimia esprime la posizione dell’indecisione, della presenza e dell’assenza della domanda, dell’accettazione e del rifiuto, del pieno e del vuoto.



    La cura dei disturbi del comportamento alimentare non è semplice in quanto, come in altri disturbi del comportamento, il paziente, come abbiamo visto, ne trae un godimento inconscio. Il paziente, per come dire, “si affeziona” al proprio sintomo, al proprio comportamento alimentare, e, per quanto nocivo possa essere, diventa il suo stile di vita, il suo modo personale di essere, di tirare avanti e di “godere”. È proprio la psicoanalisi che ha permesso infatti di comprendere che in molte forme della sofferenza umana, all’interno del sintomo, del malessere, del soffrire esiste un nucleo di intimo godimento. Per quanto possa sembrare strano il paziente trae, anche inconsciamente, un godimento dal suo soffrire. Freud fu il primo ad accorgersene in quanto vide che spesso i malati che lui curava traevano anche dei vantaggi secondari dalla loro malattia, per esempio l’attenzione degli altri, o accudimento e cure. È proprio questo che rende spesso difficile la cura e soprattutto è proprio questo che porta molti pazienti a resistere, a opporsi, finanche, inconsciamente, a sabotare la propria cura.



    Per questo il trattamento dei disturbi del comportamento alimentare non è semplice, soprattutto all’inizio. Gli inizi non sono mai facili. Tuttavia oggi sono molti i casi di anoressia e di bulimia che vengono efficacemente curati attraverso l’analisi, dopo fasi iniziali di approccio e di cura che hanno dovuto, e potuto, includere anche l’apporto prezioso e imprescindibile di altre figure professionali. Il medico, e soprattutto il nutrizionista, sono infatti fondamentali nell’integrare la cura psicoterapica e anche quella analitica quando è possibile, perché l’attenzione al corretto regime dietetico, la cura medica del corpo, il ristabilimento dei giusti parametri nutrizionali e il supporto alla famiglia non possono essere in nessun caso esclusi dal trattamento dei disturbi del comportamento alimentare.


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