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ANGOSCIA

Mai come nell’epoca attuale l’essere umano sembra attraversato dall’angoscia, quell’affetto particolarmente penoso misto di apprensione, di incertezza e di insopportabilità del vivere, attraversato dalla sensazione che qualcosa di catastrofico e di irreparabile stia per accadere. L'angoscia annichilisce, confonde, destabilizza e deprime finanche le difese immunitarie, getta scompiglio nell’essere, spingendo spesso a comportamenti impulsivi ed errati. 

Per questo, chi esercita il Potere, o si trova comunque in posizione di padronanza, può spesso usare l’angoscia come tecnica di controllo dell’altro: indurre l'angoscia è infatti il modo più semplice ed immediato per ottenere il dominio sul proprio simile. Indurre angoscia nell’altro per ridurlo a mero strumento del proprio godimento è anche la tecnica del perverso.

Ma l’angoscia è spesso anche un segnale di un possibile cambiamento in meglio, di una crescita soggettiva, di ciò che segna il passo di una crisi evolutiva, ed è un segnale preciso, inequivocabile, veritiero. Per questo Lacan dirà che l’angoscia, a differenza dell’amore, è “ciò che non inganna”. 



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L'ANGOSCIA E' REALE

La via di accesso al reale non è il Sapere, come ritiene la Scienza, ma l’angoscia, in quanto il reale non si dissolve nel sapere della scienza. 

Il reale non può neanche essere catturato del tutto dal significante, come vuol far credere il linguaggio, perché presenta un resto che sfugge ad ogni significazione. 

Lacan ha chiamato questo resto oggetto piccolo (a) ed è proprio lì che il soggetto incontra l’angoscia. 

Lacan affronta questo tema, dell'angoscia, nel suo famoso Seminario X, che è, come sottolinea Miller “una costante messa in causa del privilegio accordato dallo stesso Lacan alla dimensione speculare della psicoanalisi… che è la dimensione in cui l’oggetto a viene ridotto a zero”. 


L'ANGOSCIA DI SEPARAZIONE NON ESISTE

Alla nascita, non è il taglio del cordone ombelicare, ma l'improvvisa intrusione dell'aria nei polmoni a costituire il vero trauma: è in questo momento che infatti il bambino inizia il suo pianto, indicatore di angoscia e di vitalità al tempo stesso.

Analogamente, più tardi, non sarà l'allontanamento della madre -che il bambino infatti fronteggerà utilizzando il momento giubilatorio del suo ritorno- né lo svezzamento, ma la parola che lo raggiunge provenendo dall'Altro, e che lo cattura e lo imbriglia, come un pesce nella rete, per introdurlo nel linguaggio condiviso, separandolo da quello intimo/materno, che rimarrà in gran parte perduto. 

Dunque non è la separazione, dall'altro, bensì l'intrusione, dell'altro, a generare angoscia negli esseri parlanti.

Per questa ragione, diversamente da quello che comunemente si pensa, non esiste angoscia di separazione. L'angoscia è solo intrusiva: è quella che segnala l'avvicinamento dell'altro a noi, dell'altro estraneo e che implica la domanda: "che vuoi?"

Sarà per questo, allora, che è sempre l'immigrato, lo straniero, l'altro da noi che arriva e mai l'altro di noi che parte, la fonte dell'angoscia, individuale e collettiva.

Non è dunque un caso -come la cronaca dei nostri giorni ci mostra- che il problema per una comunità, o una Nazione, è sempre quello rappresentato dagli immigranti, da quelli che arrivano, e mai dagli emigranti, da quelli, i nostri, che partono.

E anche se i nostri che partono sono in numero notevolmente maggiore degli altri che arrivano, il problema da risolvere sarà sempre di quelli che arrivano e mai di quelli che partono, dei quali infatti non si parla mai non preoccupando minimamente i Governi.

Esiste un solo, drammatico problema, quello della immigrazione, e non quello della emigrazione: l'angoscia è sempre per lo straniero che arriva, e mai per il nostro che ci lascia.



LA VIA DELL'ANGOSCIA

L'angoscia è più scoraggiante della verità che si sa dire delle cose, del dare indicazioni corrette, e anche del dare speranze e ottimismo. L'angoscia annichilisce, confonde, deprime, anche le difese immunitarie, getta scompiglio e spinge a comportamenti impulsivi ed errati. 

Indurre l'angoscia nell'altro è la tecnica più semplice ed efficace per tenerlo buono, addomesticato, sotto controllo. E' la tecnica della perversione: infantilizza ed è l'arma di cui si serve una certa politica, con la complicità dei media, per ottenere una disciplina nel modo più semplice e immediato.

Come quei genitori che preferiscono ottenere l'ubbidienza dei figli attraverso il terrore piuttosto che tramite il dialogo e la pedagogia. 

La via che si serve dell'angoscia è più sbrigativa e poco impegnativa, ma la meno efficace e la più dannosa.


QUANDO LA DOMANDA DELL'ALTRO GENERA ANGOSCIA.

Se la domanda proveniente dall'Altro diventa particolarmente insistente e pervasiva, se cioè essa arriva a occupare il posto della pulsione - come è il caso di certi genitori molto apprensivi - può giungere al bambino come incontrollabile ed essere generativa di angoscia: il bambino può percepirsi cioè di essere tutto quanto nel desiderio dei suoi genitori, di dover essere del tutto il loro desiderio, e di non avere di conseguenza margine alcuno di soggettività sua propria.

Condizione questa che il bambino può mantenere spesso anche da adulto, e continuare a percepirsi tutto nell'Altro.

Ora la percezione di essere tutto quanto nel desiderio dell'Altro è insopportabile, in quanto genera angoscia: un'angoscia paralizzante e tale da impedire che il soggetto possa invece organizzare un discorso suo proprio, una domanda sua propria, un "sintomo" suo proprio. 

Il soggetto si ritrova nell'angoscia, e per questo sarebbe difficile anche un lavoro analitico, perché, con l'angoscia non si può lavorare, se non tentando di far sì che essa arrivi ad organizzarsi almeno in un sintomo. 

Per curare mediante la psicoanalis occorre che ci sia almeno un sintomo.


L'ANGOSCIA

L'angoscia insorge là dove il soggetto sparisce, essendo stato ridotto ad oggetto pieno dell'apprensione dell'Altro.

Per questo essa non è un sintomo, ma ciò che vi si oppone


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