IL TRANSFERT ©

IL TRANSFERT  

La psicoanalisi è la pratica dell’ascolto. Non è Freud che l’ha inventata - semmai lui l’ha scoperta. La psicoanalisi l’ha inventata l’isterica che chiese a Freud di ascoltarla. Chi soffre nell’animo, il nevrotico in particolare, vuol essere ascoltato e cerca risposte perché vuole sapere del proprio inconscio e del proprio desiderio. Freud permise allora all’isterica di raccontare e scoprì che il modo di raccontare che permette all’inconscio di fare la sua apparizione tra le righe del dire è quello delle libere associazioni: il paziente è invitato allora a dire tutto quello che gli passa per la mente. Parlare liberamente, associando liberamente, è la regola fondamentale della psicoanalisi.

Ma Freud si accorse anche che, ad un certo punto, il dire del paziente si arrestava e capì che questa interruzione del discorso era dovuta al fatto che il paziente, invece di continuare a ricordare di sé e del proprio passato, di cui pure voleva ricordare, tendeva a riattualizzarlo nel presente, investendo - trasferendo - sulla persona dell’analista - dunque nel presente della sua relazione analitica - affetti, rappresentazioni e significati che invece riguardavano le figure proprie della sua vita privata, soprattutto dei propri genitori. Freud chiamò transfert questo fenomeno: dapprima lo vide come un ostacolo alla cura perché si opponeva al ricordo, ma poi capì che invece era il suo miglior alleato, in quanto si rese conto che attualizzare nel presente della scena analitica il proprio passato è più efficace che ricordarlo, perché, farà notare Freud, nessuno può essere curato in absentia o in effige.

Per Lacan il transfert inizia quando il paziente, durante la cura, mette in scena la propria realtà psichica inconscia, assumendo la figura dell’analista come una formazione simbolica del proprio inconscio. In questo modo il paziente può arrivare ad avvertire nei confronti del proprio analista sentimenti di amore vero e proprio, ai quali però l’analista non risponde direttamente, per rivelargli invece verso quali figure è in effetti rivolto il suo amore. Anche per Lacan il transfert è fondamentale per l’analisi, anzi ne è la condizione fondamentale - l’analisi avviene sotto transfert - poiché è proprio l’amore di transfert che può aiutare il paziente a rinunciare al godimento - autoerotico - che gli deriva dal proprio sintomo, per aprirsi all’amore - allo erotico - per altri, per il mondo, per la vita, e uscendo, in questo modo, dall’isolamento e dalla ripetizione infinita della propria sofferenza nevrotica. 

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LA PRESENZA DELL' ANALISTA

Cosa si intende per presenza dell'analista? Per Lacan non è certo qualcosa che si possa ridurre, come dice, ad una sorta di "predicheria lagrimevole" o di "carezza appiccicosa".

Piuttosto, dal momento che l'analista, in quanto destinatario del transfert, è in fondo "una manifestazione dell'inconscio", e poiché l'inconscio si manifesta attraverso ciò che dal discorso dell'analizzante viene a mancare, ecco che la presenza dell'analista si costituisce come ciò che, nell'orizzonte del transfert, viene a mancare, viene a scomparire. 

Viene a scomparire perché l'analista sa che non è lui, la sua figura, la sua persona, che il paziente veramente cerca. 

Anche se è all'analista che l'analizzante indirizza la parola che proferisce, anche se è a lui che si rivolge e su di lui si sostiene nel proprio dire - ed è qui, nel luogo della parola, che l'analista deve infatti saper farsi trovare - quella del paziente è sempre una parola "trasferita", poiché è sempre altro ciò che egli cerca, ed è ad un Altro, non all'analista, che egli si rivolge veramente, in quanto è sempre ad un Altro che l'analizzante indirizza il proprio desiderio, sia pure attraverso una parola solo apparentemente destinata all'analista: l'analista - come lo fu Socrate per Alcibiade - è solo il "mezzano", non il vero destinatario, del desiderio del proprio analizzante, dice infatti Lacan.

In altri termini, se l'analista deve essere presente sul luogo del dire, non lo è, non può esserlo, su quello del desiderio, del quale è piuttosto "oggetto causa" e non oggetto di soddisfacimento.

Ecco perché la parola dell'analista, come dice Lacan, è sempre "la parola che non ci si aspetta", in quanto parola che giunge da un luogo altro, e cioè dal luogo dell'Altro, dunque non una parola che "dice", ma una parola che "sorprende".

La presenza dell'analista è quindi una controfigura dell'assenza, in quanto il campo in cui egli opera è quello dell'inconscio freudiano, "un campo che, per sua natura, si perde", e la cui causa è sempre una causa perduta, poiché l'oggetto in questione è un oggetto perduto e mai ritrovato.

L'analista, allora, è il testimone di una perdita (non può esservi guadagno, in analisi, se non si perde qualcosa) e di un incontro che è sempre un incontro mancato: l'incontro con il desiderio soggettivo, un incontro che può avvenire solo a partire da una perdita e sostenersi solo attraverso un analista che sappia mancare quando serve.


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QUANDO INIZIA UN'ANALISI?

Possiamo dire che ogni analisi inizia sempre da un inciampo nella relazione di parola che si stabilisce tra colui che parla (analizzante) e colui che ascolta (psicoanalista), un inciampo dovuto all’incidenza di quel particolare singolare dell'analizzante nello scenario del discorso, e che fa da obiezione a qualsiasi suggestione di relazione intersoggettiva che si possa immaginare funzionale ad una cura basata sulla parola.

Questa incidenza fu scoperta da Freud come interruzione del discorso, come interruzione del fluire delle libere associazioni, interruzione che egli chiamò transfert, poiché pensò che fosse dovuta alla ripetizione del passato del paziente trasferito sulla persona dell'analista: il passato più che raccontarsi si ripete nel presente e investe lo psicoanalista, ritenne allora Freud.

Lacan si rende conto, invece, che l'interruzione del discorso del paziente in analisi, questo inciampo della parola ("ora non mi viene più niente in mente"), il transfert, dunque, non fosse dovuto al disturbo del discorso del paziente da parte del suo passato che si ripete nel presente, ma al disturbo della parola da parte dell'inconscio. 

Il transfert è l'incidenza dell'inconscio come impossibile a dirsi e dunque come ciò che fa obiezione al dire.

È da qui allora, da questa incidenza, da questo inciampo del discorso, dal transfert, che comincia un’analisi in quanto lavoro dell'inconscio: dal transfert che, piuttosto che di ripetizione, è invece di interruzione del discorso, di interruzione della "sfilata dei soliti significanti", per aprire ad altro, all'inconscio in quanto "altra scena", nella quale è "altro" a dire e l'analista è destituito come soggetto e ridotto a mero significante, ad "un significante qualunque" - dice Lacan - lasciandosi solo supporre, supporre come soggetto di sapere.

Qual è la portata clinica di questo aspetto? Che in qualsiasi psicoterapia, anche non psicoanalitica, non può non darsi, prima o poi, che il discorso di parola si interrompa per la necessità dell'inconscio di farvi il suo ingresso e per la necessità che la relazione di suggestione ceda a quella di transfert, producendosi qualcosa di psicoanalitico che può essere accolto come tale solo se dall'altra parte vi è uno psicoanalista.

Se uno psicoterapeuta è anche uno psicoanalista è meglio.



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L'ANALISI E' LA MESSA IN CAUSA DEL SOGGETTO

In analisi, come si sa, l'analista opera sotto transfert, vale a dire che solo se l'analizzante può indirizzare al proprio analista, non più una qualsiasi richiesta di aiuto, ma una domanda di riconoscimento di sé come di chi soffre di qualcosa che chiede di essere riferita a qualcuno affinché l'ascolti e possa interpretarla - è esattamente questo il transfert psicoanalitico - allora possiamo dire di trovarci all'interno dell'esperienza di una psicoanalisi vera e propria.

Ora, che in una stanza si ritrovino un paziente e uno psicoanalista non basta a che quello che tra di loro possa avvenire è scontato che sia un'analisi, cioè non basta a che si attivi un transfert.

Affinché un transfert possa impiantarsi, occorre che l'analista lo permetta, ma non attraverso un "fare", o un'operazione di "tecnica" attiva, ma, al contrario, attraverso la rinuncia a qualsiasi azione che non sia quella di mettersi in posizione di ascolto e lasciare che a dire sia il paziente.

La posizione di ascolto di cui si tratta, però, non ha niente a che vedere con l'ascolto qualunque da parte di un soggetto qualunque nei confronti di un altro soggetto qualunque, ma ha che vedere col fatto che chi ascolta, l'analista, lo faccia destituendosi proprio come soggetto.

Cosa significa? Come è possibile ascoltare un proprio simile destituendosi, o addirittura - ancora meglio - annullandosi come soggetto, senza confondere questa posizione con quella dell'indifferenza a ciò che l'altro dice?

E' possibile solo nella misura in cui l'analista non permette a se stesso di farsi tirare in causa come soggetto dal discorso che il paziente gli rivolge.

Il discorso dell'analizzante è il discorso che deve mettere in causa un solo soggetto, l'analizzante stesso, pur essendo rivolto ad un Altro, l'analista, che opera però in funzione di destituzione soggettiva, vale a dire, non come interlocutore dialettico di una relazione speculare (l'altro), ma come funzione simbolica, cioè come un "terzo", un Altro, ossia come un Significante, un "significante qualunque" dirà Lacan. 

 L'analista non opera dunque in funzione di soggetto, e men che meno opera in funzione di un Io. 

Ora, se l'analista, in analisi, sotto transfert, come abbiamo visto, non opera in funzione di soggetto, allora significa che opera in funzione di "oggetto", in particolare di un oggetto "scarto", di un oggetto cioè che sa farsi da parte al fine di poter essere piuttosto un "oggetto-causa", causa della soggettivazione del paziente (o del suo desiderio, il che è poi la stessa cosa). 

In sintesi, l'analista non si costituisce come soggetto, bensì come quell'oggetto - l'oggetto piccolo (a) lo chiama Lacan - che causa un soggetto.

Tant'è che, come Lacan scrupolosamente dimostra nel suo famoso "Intervento sul transfert", fu proprio quando Freud, senza accorgersene, entrò, nella scena dell'analisi con Dora, come soggetto - quando cioè intervenne su Dora a partire dalle proprie convinzioni e dai propri pregiudizi, dunque dal proprio controtransfert, senza invece averlo messo da parte - che Dora interruppe la propria analisi con Freud.

Concludendo, laddove si stabilisce una relazione cosiddetta di "intersoggettività", è allora che non si è in analisi, o non si è ancora in analisi, in quanto il paziente si trova ancora sotto l'effetto della suggestione operata su di lui tramite la soggettività dell'analista, in quanto il sol fatto che l'analista sia lì in funzione di soggetto fa sì che quello che si impianta sia una "suggestione" e non un transfert.

 Diversamente, l'analisi può avviarsi solo quando l'analista è in grado di potersi ecclissare come soggetto per lasciarvi quel "posto vuoto" su cui possa venire ad impiantarsi, e insistere, il transfert: quel transfert cui solo la destituzione dell'analista, in quanto soggetto di suggestione, ha potuto cessare di farvi da ostacolo, per permetterne la messa in movimento e affinché un'analisi possa di conseguenza prodursi.



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IL TRANSFERT DELLA PAROLA

Nel Seminario XVI, che si intitola non a caso "D’un Autre à l’autre" ("Da un Altro all’altro"), Lacan riprende in un certo senso la funzione della parola e in particolare quello che possiamo chiamare la struttura del detto.

La parola, in quanto rappresentante il soggetto, in quanto significante, viene prelevata dal luogo dell’Altro, che Lacan definisce il tesoro dei significanti, per dire qualcosa che attiene ad altro, all’oggetto, a quell'oggetto che è l'oggetto del desiderio. 

Cosa vuol dire? Vuol dire che la parola non viene utilizzata solo per comunicare, ma soprattutto per dire altro rispetto a ciò di cui si parla, e che è il detto che rimane implicito, quel detto che, come dirà lo steso Lacan ne "L'étourdi" (Lo stordito), viene dimenticato in ciò che si intende. 

La parola è dunque una parola "trasferita", ma questo non riguarda qualunque parola, riguarda soprattutto la parola delle relazioni affettive, delle relazioni significative, riguarda in particolare il dire in analisi in quanto il dire in analisi è il dire che si struttura come transfert. 

Per questa ragione in analisi non si bada al contenuto, ma si bada al detto, cioè a quello che ruota intorno all'altro, ossia non si bada ai termini usati, ma al fatto che questi termini sono usati per dire qualcosa che attiene ad altro, cioè al desiderio. 

Possiamo dire che nascosto nel soggetto che parla esiste un soggetto che desidera, un soggetto desiderante che viene dimenticato e che l'analisi permette di ritrovare.



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LACAN E IL TRANSFERT

Quale dovrebbe essere, per Lacan, la funzione dell'analista rispetto al transfert? 

Non di favorire quel transfert classicamente inteso come la ripetizione dei soliti significanti, e dunque anche la loro "riedizione" sulla figura dell’analista - transfert questo che procedendo da sé non porterebbe "nulla di nuovo" - ma quel transfert che invece interrompe tale ripetizione, che fa fallire, come dice Lacan, l'incontro con i soliti significanti, che dunque si costituisce come un non incontro, come una ripetizione di altro segno che taglia quella della parola dell'analizzante mediante una "parola altra", impossibile a dirsi in quanto fuori significante, un indicibile che può entrare in scena solo attraverso l'arresto del discorso e il silenzio che provoca. 

Occorre cioè accogliere quel transfert che Freud vide prima di tutto come resistenza, con la differenza - rispetto a come faceva Freud - di non interpretarlo.

Un transfert dunque che opera non dal lato del congiungimento alienante con l’Altro, ma dal lato della sua separazione, quel transfert in virtù del quale l’analista da Grande Altro di investimento della parola dell'analizzante, transita verso l’oggetto piccola a causa del suo desiderio

TRANSFERT NEVROTICO E TRANSFERT PSICOTICO.

Se nel transfert nevrotico l'analista è riconosciuto come l'Altro di quella domanda intransitiva - la stessa che costituisce la domanda d'amore - in quanto mossa dal desiderio che colloca l'analista come "essere (supposto) di sapere", e dunque complementare al sintomo nevrotico in quanto "essere di verità" (J-A Miller), se, in altri termini, il transfert nevrotico va da sé in quanto può articolarsi attraverso la parola lungo quella catena significante che mantiene i suoi effetti di senso, nel transfert psicotico, invece, l'analista non può essere riconosciuto come l'Altro della domanda, in quanto lo psicotico non può accedere all'uso della parola da incardinare nella trama significante di un discorso che abbia effetto di senso, di un discorso che mantenga il suo potere di significazione, e possa di conseguenza costituirsi come domanda rivolta all'Altro.

In altri termini, lo psicotico non può servirsi della parola significante, della parola in quanto "essere di verità", perché il suo discorso è un discorso "fuori senso", un discorso "fuori discorso" in quanto - a differenza del nevrotico - non muove dal ritorno del rimosso nell'inconscio. Di conseguenza, sintomo psicotico - a differenza di quello nevrotico - non può ritenersi una formazione dell'inconscio: non muove dal rimosso, ma ha funzione di riparazione del forcluso, e come tale, non ritornando dal rimosso, non può che giungere dall'esterno, dal reale, perché, come dice Freud, tutto ciò che è espulso dalla realtà psichica ad essa ritorna dall'esterno. 

Lo psicotico dunque non può che collocare l'analista nel reale, a differenza del nevrotico che non può collocarlo se non nell'inconscio rimosso, e dunque nel simbolico.

In conseguenza di ciò, allora, lo psicotico, più che del significante, si serve della pulsione per articolare una catena significante costituita dalla pulsione e non dalla parola. 

L'effetto del discorso psicotico non può produrre dunque un effetto di senso, ma solo un effetto di godimento, e il transfert dello psicotico non rappresenta l'investimento dell'analista come Altro della domanda, quanto piuttosto il tentativo di raggiungerlo come Altro dell'investimento pulsionale, l'Altro del godimento. 

Ora, dal momento che, come ci ha insegnato Freud, la pulsione cerca il proprio oggetto senza mai raggiungerlo, ma vi gira continuamente intorno, (ecco perché la pulsione deve servirsi della ripetizione), a differenza del nevrotico il cui transfert convoca e raggiunge l'analista come Soggetto supposto essere di Sapere, il transfert dello psicotico, essendo, come abbiamo visto, un transfert pulsionale, non raggiunge mai l'analista, ma lo circonda, lo accerchia facendone non un Soggetto supposto essere di Sapere, ma un essere di godimento.

Mentre il nevrotico dunque interroga l'analista per interrogare se stesso, lo psicotico invece non interroga, ma accerchia il proprio analista.

Sul piano della cura ne discende allora che se, nell'analisi del nevrotico, l'analista può dare un "senso", in quella dello psicotico l'analista, più che un senso, non può che dare piuttosto un "segno".


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