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INCONSCIO

È il fatto che l’uomo sia abitato dall’inconscio che rende possibile la cura psicoanalitica, dal momento che una caratteristica dell’inconscio è quella di essere interpretabile attraverso le manifestazioni che produce, come per esempio i sogni, ma anche i sintomi psichici, quelli cioè che ci fanno soffrire nell’anima e che ci spingono a chiedere l’aiuto dello specialista, soprattutto dello psicoanalista. Ma cos’è l’inconscio? Diciamo che l’inconscio che interessa alla psicoanalisi in quanto dimensione da cui il soggetto “parla e soffre” senza sapere di essere lui a parlare e a produrre la propria sofferenza, non è l’inconscio dei filosofi o dei poeti, non è cioè il calderone oscuro e profondo in cui ribollono emozioni e passioni inconfessabili, ma, come lo definì Freud, “l’altra scena”, intendendo per scena il luogo in cui si dipana il discorso umano. L’inconscio è dunque un discorso, un altro discorso rispetto a quello che si serve della parola condivisa, un discorso altro che, pur appartenendoci, conosciamo solo in parte e che si produce in maniera spesso incomprensibile, per esempio sotto forma di lapsus, o di sogni o, appunto, sotto forma di simboli. È un altro discorso perché si produce per il fatto che quando, da piccoli, la mamma ci insegna la lingua, non tutto del linguaggio che ci proviene da lei, dall’altro, entra nel discorso convenzionale, vale a dire nella parola, ma ne rimane fuori, andando a costituire quell’altro discorso che è appunto l’inconscio. Non tutto entra nel discorso convenzionale perché noi rimuoviamo parte di quel discorso fatto delle parole attraverso cui comunichiamo. 

L’inconscio è dunque il rimosso, e tra il rimosso vi è anche ciò che non accettiamo, che ci fa stare male, vale a dire i significati spiacevoli e dolorosi attraverso i quali interpretiamo le esperienze della nostra vita. Rimuoviamo, ma il rimosso può produrre sintomi perché abbiamo comunque il bisogno di comunicare all’altro il disagio che, in quanto rimosso, non riusciamo a mettere in parola. Per questo, la psicoanalisi riconosce il sintomo come un discorso che va ascoltato, capito e interpretato.


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PERCHE' L'INCONSCIO NON PUO' AVERE UN SUO CORRISPETTIVO NEUROFISIOLOGICO.

Se è ovvio che senza il biologico non può esservi l'inconscio, non può esser ritenuto altrettanto ovvio che l'inconscio possa in qualche modo coincidervi, ridursi ad esso o trovarvi la base che ne permetta la dimostrazione.

Il biologico non può fornire in alcun modo la prova dell'esistenza dell'inconscio e dunque non può neanche dimostrarne l'insussistenza, né tanto più sostituirvisi.

Perché? Perché l'inconscio, come dice Lacan, è etico, non ontico.

Vale a dire che l'inconscio non è una sostanza, un sacco, un serbatoio dove vanno a finire ricordi, traumi, oppure i desideri respinti dalla coscienza, cioè il rimosso, e che dunque come tale può avere un suo corrispettivo neuronale sottocorticale.

L'inconscio è una manifestazione dell'essere, un possibile diverso modo attraverso cui un soggetto parla e dice di sé in un modo "altro" rispetto al linguaggio condiviso, e per lo più attraverso un "vuoto", un "intoppo", un "mancamento" nella struttura del linguaggio.

L'inconscio è ciò che al linguaggio viene a mancare per essere detto in altro modo.

E cos'è che fa intoppo, inceppo al linguaggio? Cos'è che al discorso viene a mancare per esser detto in altro modo, per esempio con il sogno, con un lapsus, o con il sintomo addirittura? Freud lo ha scoperto ascoltando l'isterica: è il desiderio, vale a dire il sessuale, che infatti, come fa notare Lacan, è ciò che "fa buco della verità nel discorso".

Dunque il rapporto tra l'inconscio e la struttura neuronale è lo stesso che può esserci tra questa e il senso di un discorso: occorre un neurone perché si articoli la parola, ma quello che la parola vuol dire non lo si può trovare nel neurone, esattamente come il senso di un film trasmesso dalla televisione non lo si può trovare nella scheda video del televisore, che pure è indispensabile per poter vedere il film.

Analogamente se l'inconscio è ciò che viene detto in altro modo, o ciò che al linguaggio viene a mancare, questo "inceppo" del discorso, ciò che fa buco nel discorso perché non può esser detto, non può essere attribuito ad un presunto "disfunzionamento" del neurone, esattamente come una interruzione della sequenza delle immagini di un film voluta dal regista, oppure, ad esempio, il senso della l'inserzione di un flashback non lo si trova in un difetto della scheda video, ma nelle intenzioni del regista.

Ecco, i neurocognitivi vorrebbero sdoganare un errore logico di questo genere: pretendere di trovare nel neurone le intenzioni di senso che un soggetto esprime o fa mancare nel modo di mettere in parola il suo discorso.

In altri termini l'inconscio non sussiste se non attraverso quel dire -le libere associazioni- che un soggetto, in analisi e sotto transfert, indirizza al suo analista.

DELUCIDAZIONI SUL SOGGETTO DIVISO IN RAPPORTO ALL'INCONSCIO E ALL'ANALISI

Il paziente, attraverso le libere associazioni e l'interpretazioni delle cosiddette "formazioni dell'inconscio" (sogni, lapsus, ecc.) scopre, in analisi, il soggetto inconscio che egli è senza saperlo: il soggetto dell'enunciazione, il soggetto da cui origina il discorso, il soggetto della intenzione vera del suo dire, in altre parole quello che veramente voleva dire al di là di quello che - come soggetto dell'enunciato - effettivamente dice. E del resto la prova dell'esistenza di un soggetto altro che parla all'insaputa del soggetto che dice quello che dice, e che i due soggetti non coincidono, l'abbiamo quando magari diciamo: "ma non è veramente questo che volevo dire", oppure "hai capito quello che ho detto?", oppure, ancora, "non so che dire", o anche "mi sembra di non essere stato sufficientemente chiaro" . Ecco, questo è l'effetto della divisione soggettiva operata dal fatto che siamo raggiunti dal linguaggio, che vi siamo dentro come "un topo in trappola" (Lacan). Questo è precisamente il significato della castrazione.


L'INCONSCIO NON SI VEDE, SI ASCOLTA

La Neurofisiologia ritiene che sia possibile individuare un supposto "centro neurologico dell'Inconscio", localizzato evidentemente nella regione sottocorticale, del pulvinar e dell'amigdala, strutture cerebrali deputate alla elaborazione delle emozioni. 

Come se l'inconscio freudiano avesse qualcosa a che vedere con le emozioni. 

L'idea alla base della supposizione neurofisiologica - e anche di molti psicoanalisti "moderni" - è che l'Inconscio sia una struttura destinata a raccogliere tutto ciò che non affiora alla coscienza, una sorta di "contenitore", di serbatoio contenente "cose": pensieri, emozioni, passioni ecc., che non avrebbero - per ragioni "neurofisiologiche - nessuna possibilità di accedere alla coscienza.

L'inconscio della Neurofisiologia rimarrebbe dunque precluso alla coscienza, sarebbe "covert", come dicono, pur entrando in funzione in determinate circostanze, ma senza poter mai affiorare alla coscienza, e dunque "dimostrabile" ed "esplorabile" soltanto attraverso tecniche di indagine neurofisiologica.

Per i neurofisiologi l'Inconscio si "vede", non si "ascolta".

Tutto il contrario per la psicoanalisi: l'Inconscio si ascolta, non si vede.

Due posizioni radicalmente capovolte. E allora? Perché Psicoanalisi e Neuroscienze ritengono di dover dialogare tra di loro se hanno visioni così contrapposte dell'Inconscio? Anzi, dovrebbero, le neuroscienze e la psicoanalisi, piuttosto tenersi ben distinte e separate tra di loro, inaccettabili, e proprio intorno alla questione dell'inconscio, essendo questo analizzabile per la psicoanalisi, inaccessibile alla coscienza per le neuroscienze. Perché allora Neuroscienze e Psicoanalisi dovrebbero interagire? Cosa avrebbero in comune tra di loro?

Eppure esiste una corrente della psicoanalisi che ritiene che l'Inconscio debba essere dimostrato dalla Neurofisiologia, perché acquisti "credibilità" scientifica. Alcuni ritengono cioè che solo la Neurofisiologia, mediante le sue ricerche ed i propri mezzi di indagine, sia in grado, oggi, di dare forza di validità scientifica alla psicoanalisi, dimostrando l'esistenza della "base neurofisiologica dell'Inconscio", come se una struttura neurofisiologica, dimostrata in funzione mentre un soggetto sogna o dice, avesse qualcosa a che fare con quello che il soggetto sta dicendo, o anche sognando, in quel momento.

Come se, mediante, per esempio, la RMN, si potesse "vedere" il linguaggio e quello che un soggetto sta dicendo, il discorso che sta producendo, la catena dei significanti che sta mettendo in fila. 

A differenza della Neurofisiologia, per la Psicoanalisi Freudiana, invece, l'inconscio non è una funzione, ma un discorso, appartiene dunque ad un soggetto e non ad una struttura neuronale. 

Per questo l'inconscio si ritrova tra le righe di ciò che il soggetto dice, e dunque si ascolta, implicandosi nel discorso che egli produce, e non che si "veda" mediante strumenti, per giunta a sua insaputa. 

l'inconscio è "strutturato come un linguaggio", dice infatti Lacan: è dunque un discorso e non una sostanza, si ascolta, implicandovisi, anche se in modo diverso da quando si ascolta un linguaggio, ed implicarsi nel discorso del proprio paziente tramite un particolare modo di ascoltarlo, è esattamente quello che fa lo psicoanalista.

Le neuroscienze invece vogliono fare dell'inconscio una struttura indagabile con mezzi strumentali, in maniera da poterlo "dimostrare" ed "esplorare", a prescindere e al di là di quello che il soggetto dice, anzi, per evitare che possa dire la propria verità singolare, e per essere, all'opposto, informato della verità che l'altro della tecnica, con le sue macchine, ha scoperto, cioè deciso, su di lui. 

Per questo possiamo dire che la verità che le neuroscienze ritengono di dimostrare del soggetto "preso in esame" è il rovescio della verità del soggetto "ascoltato in parola".

Le Neuroscienze partono dall'assunto che il soggetto non sia in ciò che egli dice e dimostra, dell'esistenza dell'inconscio, attraverso le sue produzioni (sogni, lapsus, sintomi), ma sia in ciò che è suscettibile di una dimostrazione "terza" che lo prescinda e lo superi, una dimostrazione oggettiva, strumentale, neurofisiologica appunto, altrimenti egli "direbbe quello che gli pare", senza sapere che è proprio in quello che "gli pare" la verità - e dunque la dimostrazione - dell'inconscio, in quanto ciò che "pare" a lui e non all'altro. 

l'elettronica può dimostrare che una trasmissione televisiva abbia un substrato nei microchip che rendono possibile il funzionamento del televisore, ma non può dire nulla, l'elettronica, di che trasmissione si tratti, il suo messaggio, o gli effetti che produce in chi la stia seguendo. 

Allo stesso modo, la neurofisiologia può dimostrare l'esistenza del centro del linguaggio, e anche del centro sottocorticale delle emozioni, ma non certo cosa una persona stia dicendo, o quali emozioni stia provando, quando questi centri appaiono in funzione alle indagini più o meno sofisticate della neurofisiologia.

L'inconscio non è dunque dimostrabile dalla scienza dei laboratori, ma solo attraverso l'implicazione nel discorso del soggetto che dice.

In conclusione, dunque, L'inconscio freudiano, l'inconscio degli psicoanalisti, non ha niente a che fare con il sistema neurofisiologico, non è una funzione o una manifestazione neurovegetativa, né di qualsiasi altra struttura sottocorticale del cervello, non è costituito dal calderone delle emozioni o delle passioni inammissibili alla coscienza, non coincide con una struttura, non è una sostanza, né si riduce necessariamente a ciò di cui un soggetto può non essere consapevole: l'inconscio non è una questione che attiene ad un "non conoscere", ma concerne "un sapere", un sapere in altro modo, un sapere di cui il soggetto non sa. Si tratta di un fenomeno mentale effetto della parola.

L'inconscio freudiano è la parola che viene rimossa, che incespica, che cade, che farfuglia, oppure la parola interferita da un'altra parola (lapsus); è il fenomeno onirico, che Freud ha dimostrato si organizza seguendo le leggi della linguistica, ed è anche il sintomo psichico, in quanto è tutto ciò che è in relazione al cosiddetto rimoso, a ciò che, essendo dell'ordine del desiderio, non può entrare nel linguaggio condiviso. 

In altre parole, l'inconscio è tutto ciò che, non potendo essere detto attraverso la struttura discorsiva socialmente condivisa, viene detto in altro modo, poiché, appartenendo alla sfera del particolare soggettivo, è incondivisibile: può essere solo comunicato, ma in altro modo, e interpretato. 

Questo è l'inconscio freudiano. 

Cosa c'entra con tutto ciò la neurofisiologia?

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