Il desiderio come l'impossibile a dirsi

Egidio T. Errico • 9 gennaio 2022

Il desiderio è l'al di là della domanda

Il desiderio umano non è semplicemente una questione di volontà, né si riduce al decidere, al deliberare, all'agire, non coincide neanche e necessariamente con l'atto puro della scelta, né si riduce a mera spinta pulsionale.


E non è neanche, il desiderio, ciò che, pur cercandolo, trovi il suo oggetto da qualche parte. 


Non lo trova nella domanda che si rivolge all'altro, come l'isterica insegna: l'oggetto del desiderio non è mai l'oggetto della domanda, in quanto è proprio ciò che dalla domanda viene escluso. 


Né il desiderio - come illusoriamente si crede - sembra destinato a ritrovare il proprio oggetto nell'amore, nell'Altro dell'amore, che anzi - paradossalmente - oggetto amato e oggetto del desiderio - ed è questo lo scandalo del desiderio - non coincidono mai, tanto che - come gli amanti sanno - l'amore "manca" proprio di ciò che il desiderio cerca: il suo oggetto. Piuttosto, l'amore lo causa: l'amore mette in causa l'oggetto del desiderio facendolo mancare. 

 

Il desiderio allora, è piuttosto una "struttura" soggettiva di "mancanza" radicale, anzi è il soggetto stesso, preso dalla "mancanza" che lo costituisce e lo sostiene, ma che in quanto "mancanza" ("il desiderio è la metonimia della mancanza", dirà Lacan), in quanto "mancanza ad essere", lo destabilizza, lo rende incerto, vacillante, e soprattutto non garantito affatto sul soddisfacimento di un ritrovamento, perché quello che il soggetto trova non è mai quello che egli cerca.

 

Possiamo dire che il desiderio è quella condizione che cerca soltanto quello che non c'è, vale a dire niente. L'analista questo lo sa bene (o almeno si spera): sa che la domanda dell'analizzante - apparentemente di cura, o di aiuto, o di guarigione, o di ascolto, o di crescita, o di questo, o di quello - è la domanda in se stessa: "vengo qui perché devo domandare, ma non so cosa"


L'analista sa, dunque, che non può rispondere alla domanda, perché ciò che il paziente vuole non è mai quello che domanda. E sa anche che alla domanda deve invece fare da supporto, perché il soggetto si sostiene proprio sulla domanda, essendo in essa insiti i significanti che lo costituiscono. Per questo Lacan vede l'analista come "colui che fa da supporto alla domanda, non, come si dice, per frustrare il soggetto, ma perché riappaiano i significanti in cui è trattenuta la sua frustrazione" (Lacan, "La direzione della cura e i principi del suo potere", in Scritti, Einaudi, pag. 164).


L'analista dunque - a differenza di quello che avviene in tutte le altre psicoterapie - supporta la domanda, ma non vi risponde,  e il transfert ne è l'effetto, come Freud capì dall'Isterica.

 

In altre parole, il desiderio è il modo attraverso cui ci poniamo nei confronti della castrazione. E' dunque il desiderio una questione etica, che proprio per questo è anche ciò che ci rende singolari, unici e soli, perché rimanda il soggetto all'origine del suo dire soggettivo: "Chi sono?", "Cosa voglio?", ma ancor di più, giacché il desiderio cerca il suo oggetto nell'Altro, è dall'Altro che il soggetto vuole la risposta, e dunque la domanda che all'Altro egli rivolge è in effetti: "Cosa vuoi che io sia per te?"; "Cosa devo volere da te affinché tu mi voglia?"


Per questo il desiderio è ciò che si articola nel luogo dell'Altro e per questo, come dice Lacan, "Il desiderio dell'uomo è il desiderio dell'Altro", con il del in senso genitivo.

 

Il desiderio è dunque ciò da cui origina la domanda che si perde nella enunciazione, facendo del soggetto dell'enunciato un soggetto attraversato dall'enigma, dall'equivoco, dal perturbante, poiché il desiderio, al tempo stesso, sfugge alla domanda che pure determina: il desiderio è "l'al di là" della domanda, come insegna Lacan.

 

 In quanto all'origine di quel dire cui pure si sottrae, evidentemente è proprio al desiderio che Lacan si riferisce quando pronuncia quella famosa, enigmatica, frase che apre lo scritto de "Lo stordito": "Che si dica resta dimenticato dietro ciò che si dice in ciò che si intende" (in "Altri scritti", Einaudi, pag. 445): il desiderio è ciò che nel dire non può rientrare, ciò che al detto non arriva se non come "mancanza a dire", ciò che fa "resto" al dire nel soggetto, un dire che, non trovando le parole per il desiderio di cui pure vorrebbe dire, resta un dire girovago, errabondo e che trova nel suo continuo spostamento su altro la propria struttura. Perciò possiamo dire che se il desiderio è la metonimia della mancanza, la struttura del desiderio è per se stessa struttura metonimica. 


Per questo, per Lacan, il desiderio, se non entra nella parola, entra però nel Fantasma. E' solo nel fantasma che il desiderio trova il suo oggetto, come Freud capì quando ci dice che è nel sogno, e non nella realtà, che il desiderio può trovare il suo appagamento.  Il desiderio può dunque ritrovarsi e sostenersi solo nel fantasma, non nella realtà, e nell'Altro, incluso come è nel fantasma soggettivo.

 

 E se il desiderio serve all'amore, in quanto ritrova nell'amore la domanda del desiderio dell'Altro, la domanda di fare, come dice Lacan, esperienza del desiderio dell'Altro, dal proprio canto l'amore non è ciò che soddisfa il desiderio, anzi, lo lascia lo continuamente insoddisfatto, in quanto l'amore si serve delle parole, e nelle parole il desiderio non può trovare i il proprio posto, se non tra di esse. Il desiderio si insinua tra il dire del soggetto. Il desiderio è dunque sempre dell'ordine del  tra-dire.

 

 Se la struttura dell'amore è essenzialmente discorsiva, metaforica, di continuo accrescimento di senso, quella del desiderio è essenzialmente struttura a-discorsiva, di spostamento sempre su altro, è struttura metonimica, di continua sottrazione di senso.

 

 Se l'amore è unitivo, discorsivo, e pretende la certezza e la stabilità dell'ancora, il desiderio è divisivo, erratico, inquieto, fuori senso e fuori discorso. 

 

 L'amore è dell'ordine del dicibile, laddove il desiderio è invece dell'ordine dell'indicibile. Per questo, come abbiamo visto, non è l'amore il luogo della soddisfazione del desiderio, ma quello della sua continua causazione. 

 

In conclusione, il desiderio è il luogo della insoddisfazione radicale del soggetto, e l'amore il discorso che si intreccia e si sostiene proprio su tale insoddisfazione. Per questo il segreto dell'amore è quello di saper coltivare la propria insoddisfazione, di saper mantenere insoddisfatto il desiderio, anzi la domanda stessa, come sa bene l'isterica, poiché il paradosso dell'essere umano è che ciò che serve all'amore, ma anche alla salute mentale, alla vita stessa è l'insoddisfazione del desiderio, e non il suo appagamento a tutti i costi, come la Civiltà dell'ipermodernità sembra invece volerci imporre, secondo una logica che è di godimento e non di desiderio.


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Freud ha dimostrato che la perversione è un non volerne sapere nulla, ma proprio nulla, della castrazione. Una doppia negazione dunque: "non è vero che non c'è il fallo lì dove non posso fare a meno di volere che ci sia". Freud ha chiamato " Verleugnung " questo meccanismo di rigetto, di ripudio della realtà della castrazione. Lacan, riprendendo la questione dal punto di vista della " castrazione della madre ", mette in rilievo come il perverso non tolleri che l'Altro sia "bucato" , sia mancante cioè proprio di quello che gli serve per assicurarsi il proprio godimento, un godimento che egli deve necessariamente prelevare "nel luogo dell'Altro", e che non sopporta possa essere interdetto dalle ragioni dell'Altro, in buona sostanza, non tollera che il proprio godimento possa trovare un limite nel desiderio dell'Altro. Il perverso è dunque colui che si serve della "Verleugnung" (diniego, doppia negazione) per impedire che il desiderio dell'Altro interrompa il proprio godimento , come dire: "il tuo desiderio si oppone al mio interesse? Disturba la stabilità della mia posizione e la certezza delle mie convinzioni? Bene, neanche mi chiedo il perché, faccio prima a rigettarlo di sana pianta, non ne tengo alcun conto, per il semplicissimo motivo che esiste una sola posizione, la mia." In altre parole il perverso non riconosce la differenza dell'Altro , per questo è, appunto, "indifferente" alle ragioni dell'Altro - laddove invece il nevrotico ne soffre - è indifferente alla realtà. Non dice, all'Altro, "è vero che tu non sei d'accordo con me, ma non lo sopporto" - che è invece la posizione del nevrotico, ovvero sia il riconoscimento che l'Altro sta dicendo qualcosa di diverso che lui non sopporta, sia il riconoscimento che lui non lo sopporta, un "doppio riconoscimento", dunque, che aprirebbe comunque ad una dialettica - ma dice, più radicalmente: "non è vero che tu non sei d'accordo con me", confondendo e facendo spesso vacillare la realtà nell 'Altro! Una "doppia negazione", appunto, come a dire che nell'universo mondo non c'è che una sola verità, la sua! E' esattamente questa la posizione di godimento del perverso. Per questo, possiamo dire, che qualsiasi comportamento tendente a disconoscere le istanze altrui, quando queste costituiscono un limite al godimento soggettivo, può essere considerato un comportamento di perversità , come può esserlo, per esempio, in una coppia, quello di un partner che si rifiuti di prendere atto del desiderio dell'altro di volersi, per esempio, separare: si rifiuta di prenderne atto per continuare a farlo sussistere nel ruolo dì partner anche se questi se ne dichiara fuori. E' il caso dello stalking, che infatti è un comportamento perverso. In altre parole, il rapporto perverso non può essere interrotto , poiché si fonda sulla complicità inconscia, di distruggere la castrazione in ciascuno dei partner, di distruggere cioè il desiderio come causa del legame della coppia per sostituirlo con il godimento, in maniera da s congiurare il rischi, insopportabile per il perverso, di poter amare, il rischio, per i p due partner bloccati dal patto perverso, di innamorarsi l'uno dell'altro. Occorre cioè che il godimento nel plagiare l'Altro si incastri con il godimento dell'Altro a farsi plagiare. Da questo patto diabolico, dalla complicità perversa all'interno di una coppia - ma anche all'interno di un gruppo, di un'Associazione, di un'Istituzione, di una Setta - a collaborare attivamente per costruire e difendere la sola Verità possibile, ossia che non vi è nessuna castrazione in ciascuno, non è dunque possibile uscirne , prima di tutto perché l'angoscia che si scatenerebbe in seguito a una tale ipotesi entra a far parte sin dall'inizio dello stesso patto perverso, anzi ne costituisce il cemento, e poi anche perché il rischio di ritorsioni, terribili, anche omicide, è altissimo per chi voglia tirarsi fuori dal gioco, poiché rompere il patto perverso significa infliggere la pena insopportabile della castrazione. Molti femminicidi ne sono un esempio, e, nella Storia, la santa Inquisizione, i roghi, le Crociate ne sono altri. Quali azioni di stalking sistematici possono esserci piu delle "crociate" anche moderne contro tutte le posizioni discordanti da ciò che è ritenuta l'unica verità vera da imporre anche sotto minaccia di morte? In conclusione, è perverso ogni atteggiamento, posizione o comportamento che si basi sul disconoscimento di quella separazione tra gli esseri che di fatto è già data per avvenuta in qualsiasi contesto umano, e che è posta a fondamento dell'amore e della vita.
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