La psicoanalisi è stata scoperta da Freud proprio come metodo di cura delle nevrosi, dal momento che chi ne soffre ha bisogno di parlare e raccontare, perché nel raccontare si sente già sollevato, soprattutto se l’altro dimostra di ascoltarlo in maniera partecipe e di comprendere la sua sofferenza. Chi soffre ha dunque qualcosa da dire, ma anche qualcosa da chiedere: vuole sapere cosa gli stia succedendo, vuole sapere il perché dei suoi sintomi, delle sue angosce, del suo vivere male.
Freud seppe capire il valore enorme dell’ascolto, soprattutto se ad ascoltare fosse stato un dottore che ne avesse capito qualcosa su come siamo fatti e su come funziona la mente umana, se cioè fosse stato in grado di assicurare un ascolto “competente”, non improvvisato, e soprattutto un ascolto partecipe, discreto, rispettoso, “empatico”, come si dice oggi, con un termine forse anche un po’ abusato.
Nevrosi
Il paziente si aspetta però anche delle risposte, spesso dei consigli, dei rimedi, delle soluzioni. Chi soffre vuole essere aiutato a non soffrire più e, giustamente, nel minor tempo possibile. Freud però capì che dare semplicemente dei consigli, anche se giusti, pertinenti, finanche utili, se pure poteva consentire qualche effetto immediato dopo un po’ risultava inutile perché il paziente ricominciava punto e a capo con le sue sofferenze, i suoi lamenti e le sue richieste di aiuto. Freud allora si rese conto che i consigli non erano sufficienti: occorreva prima capire cosa stesse succedendo nella mente del paziente, come e perché soffrisse così tanto, e capì anche che questa comprensione era possibile solo se si invitava il paziente a parlare di sé, a raccontarsi, anzi a dire tutto quello che gli passava per la mente. Si accorse che in questo modo potevano affiorare ricordi dimenticati, o meglio, rimossi, e intorno ai quali il paziente poteva aver costruito convinzioni e idee che, senza saperlo, lo facevano soffrire.
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