Il rapporto tra Io e Soggetto nella dialettica del desiderio e nell'articolazione della nevrosi ossessiva
Relazione presentata alla Psicomed Spring School "Desiderio e gratificazione tra Neuroscienze e Psicoanalisi" 30 maggio - 1 giugno 2025 - Parco tecnologico e Polo didattico IRCCS Neuromed -Pozzilli (IS)
L’essere conscio di sé, trasparente a se stesso, che la teoria classica pone al centro dell’esperienza umana, appare [...] come un modo di situare nel mondo degli oggetti questo essere di desiderio che non potrebbe vedersi come tale, se non nella sua mancanza [...]. E lui si immagina come un oggetto in più, perché non vede altra differenza. Dice – Io sono colui che sa che sono. Sfortunatamente, sa forse che è, ma non sa assolutamente nulla di ciò che è.
Lacan Il Seminario, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi,1954-1955, Einaudi, p. 257
Gratificazione e Soddisfazione
L’accostamento, nel titolo di queste giornate, del termine gratificazione con quello di desiderio mi ha portato ad interrogarmii su quale fosse la possibile relazione tra di essi, ossia se il desiderio umano possa essere pensato come ciò che si gratifica, o se non dovesse essere piuttosto visto come ciò che il soggetto, gratificando il proprio Io, s’illude di soddisfare, riservando così il termine di gratificazione all’Io, e quello di soddisfazione al desiderio.
Una distinzione a mio avviso importante, dal momento che, essendo il desiderio irriducibilmente insoddisfatto in quanto struttura di mancanza, evidentemente è proprio gratificando l’Io mediante oggetti sostitutivi dell’oggetto del desiderio, che il soggetto può sostenersi sulla propria mancanza, ossia sul proprio desiderio.
Ho ritenuto perciò di muovermi oggi proprio a partire dall’opportunità di tenere distinti i termini di gratificazione e di desiderio, in quanto ciò mi permette di introdurvi ad un’altra importante distinzione, fondamentale nella psicoanalisi lacaniana, ossia quella tra Io e Soggetto, distinzione, anche questa, a sua volta utile, se non necessaria, per la comprensione della clinica psicoanalitica della nevrosi ossessiva, che sarà il tema del mio intervento di oggi. Per questo, vi propongo di considerare la gratificazione dell’Io come un modo per mascherare l’insoddisfazione del soggetto, dal momento che, nello stesso soggetto, un Io gratificato può coesistere con un desiderio insoddisfatto. In altri termini potremmo dire che un tale annodamento, come vedremo, può arrivare a costituire il tratto fondamentale della struttura del soggetto ossessivo, vale a dire la necessità di assicurare continue e ripetitive gratificazioni al proprio Io, pur di non accorgersi dell’insoddisfazione del proprio desiderio.
Soddisfazione e realizzazione del desiderio
Il soggetto, dunque, s’illude di poter soddisfare il proprio desiderio attraverso oggetti sostitutivi, peraltro ampiamente disponibili e gratificanti nella realtà (i cosiddetti gadget), ma che in effetti nel gratificare l’Io, lasciano il soggetto sempre più insoddisfatto nel suo desiderio, poiché l’oggetto del desiderio non è l’oggetto di soddisfazione, ormai perduto, ma è un oggetto causa. Non è un oggetto che, in quanto perduto, possa essere rappresentato simbolicamente, ma una funzione reale di causa del desiderio[1]. Come oggetto perduto e ritrovato esiste, illusoriamente, soltanto nel fantasma soggettivo - che Lacan designa con la formula $◇⍺ - su cui il soggetto nevrotico si sostiene, sostituendo in esso l’oggetto piccolo ⍺ con la domanda rivolta all’Altro, riscrivendo la formula del fantasma come $=⍺, che è precisamente il fantasma del nevrotico. Ecco perché - come vedremo - il nevrotico, isterico o ossessivo, dipende dall’Altro: per poter avere qualcuno cui rivolgere la domanda, che è poi quello che il nevrotico veramente desidera. Possiamo dire che il nevrotico viene in analisi unicamente per domandare a quell’Altro della domanda per definizione che è l’analista: il nevrotico si gratifica sul piano dell’Io nel fare quella domanda che lo lascerà sempre insoddisfatto come soggetto di desiderio.
È proprio per questo che l’analista deve frustrare la domanda, perché, se vi rispondesse, darebbe al soggetto l’illusione di poter soddisfare il suo desiderio. Non esiste Altro dell’Altro - ricorda Lacan - per intendere che invece l’Altro manca proprio dell’oggetto che il soggetto nevrotico cerca e dal quale dipende, temendo la castrazione dell’Altro più della propria!
Se l’Altro non può darci l’oggetto della soddisfazione del desiderio, può invece causarlo, come avviene nell’amore, e nell’analisi. In altri termini, se Il desiderio non può essere soddisfatto, può essere però causato, e dunque realizzato, nel senso di essere messo in essere come mancanza nel reale.
È esattamente questa la funzione dell’analista: far si che si realizzi un desiderio come mancanza, come mancanza-ad-essere nel soggetto. L’analista stesso si pone in funzione di oggetto causa e non di soddisfazione del desiderio, cambiando in tal modo la posizione dell’oggetto nella topologia del fantasma: non più innanzi al soggetto, come mira del desiderio verso cui tendere ( $◇⍺ ), bensì alle sue spalle, come causa del desiderio. In tal modo la formula del fantasma e riscritta ⍺ ◇ $, vale a dire la formula della fine dell’analisi, ossia la formula del desiderio realizzato nel soggetto.
L’Io e il Soggetto
La distinzione su cui ci siamo finora soffermatiti tra gratificazione dell’Io, soddisfazione e realizzazione del desiderio, ci conduce, come accennato all’inizio, ad un’altra importante distinzione, ossia quella tra Io e Soggetto.
Tenere presente che, da Freud in poi, Io e Soggetto non sono la stessa cosa è fondamentale, non solo per la comprensione della struttura psichica dell’uomo, ma anche per orientarci correttamente nella pratica della psicoanalisi e della direzione della cura, al punto che possiamo ritenere questa, e non l’inconscio, la vera scoperta freudiana. È in questa irriducibile frattura tra Io e Soggetto, nello stesso luogo quindi in cui si produce il sintomo, che possiamo collocare la nascita della psicoanalisi. Il sintomo e la psicoanalisi hanno la stessa origine.
Prima di Freud Io e Soggetto erano invece tutt’uno: il soggetto coincideva con il suo Io, era collocato interamente nell’Io, il luogo primo e ultimo nel quale il soggetto poteva trovare la propria realizzazione, la propria coesione e la propria sintesi. Tutta la psicologia ottocentesca ruotava intorno alla centralità dell’Io nel soggetto e alla concezione unitaria di quest’ultimo.
Bisognerà giungere alla fine del 1800 perché, con la scoperta dell’inconscio e della psicoanalisi, Freud potrà dare alla centralità dell’Io quella vigorosa spallata dalla quale prenderanno avvio le riforme radicali della nozione di Soggetto e dello statuto dell’Io, il quale, ”sfrattato” da quel posto di centralità che aveva finora occupato nel soggetto, dandogli struttura e presiedendone le funzioni, non sarà più padrone in casa propria. Esso si ritrova ora, piuttosto, ridotto ad una delle tre istanze psichiche, costretto a barcamenarsi tra le contrapposte pressioni delle altre due: quelle pulsionali e inconsce dell’Es e quelle morali del Superio. È proprio in questa detronizzazione dell’Io che consiste la terza grande umiliazione inflitta all’Uomo della modernità, dopo quelle, rispettivamente, di Copernico e d Darwin.
Non è più nell’Io che il soggetto può ritrovare il luogo della sua realizzazione, non è dal cogito cartesiano che può trarre la prova della propria esistenza: con Freud il cogito ergo sum si traduce piuttosto nel cogito ergo quis sum? Il cogito fonda ora, non più la certezza di sé, ma apre alla domanda su di sé.
È proprio questa crisi del soggetto cartesiano che, covando da tempo - dice Carmelo Licitra Rosa -, ha permesso allora la nascita di un nuovo Soggetto, che possiamo riconoscere come il Soggetto della verità, ossia il Soggetto della psicoanalisi. Si tratta del soggetto che Lacan racchiude nel matema ($), S barrato, vale a dire quel soggetto che si produce per l’azione del significante che ricade su di lui indiviso, e ne fa un soggetto diviso, diviso irriducibilmente dall’Io, che si aliena nell’ Altro.
È in questa divisione soggettiva che si articola il desiderio e il soggetto si costituisce come soggetto di desiderio, il soggetto di cui si occupa la psicoanalisi, il soggetto della verità, di quella verità soggettiva che il sintomo rivela tra le bugie che ci raccontiamo.
L’Io è un Altro, dice Lacan, facendo propria la frase del poeta Rimbaud, ossia l’Io è l’illusione che noi siamo lì dove pensiamo di essere, senza sapere che invece lì siamo solo l’immagine riflessa che l’Altro ci rimanda di noi stessi. Perché, se il soggetto, rimosso, è il luogo della verità di ciascuno sul proprio desiderio, l’Io è invece quello del suo misconoscimento e del suo occultamento.
Le nevrosi, in particolare la nevrosi ossessiva, costituiscono quelle particolari condizioni psichiche attraverso le quali il soggetto può articolare, nel simbolico, il sistema dei rapporti col reale del proprio desiderio e, nell’immaginario del proprio Io, i modi attraverso cui cerca di difendersene.
La clinica lacaniana della nevrosi ossessiva
È dunque nell’ossessivo che possiamo cogliere la complessa articolazione del rapporto tra l’Io e il soggetto, tra la coazione compulsiva a gratificare il proprio Io e l’illusione di poterlo così soddisfare una volta per tutte.
Basti pensare, per esempio, ai rituali ossessivi, così gratificanti per l’io e al tempo stesso così spossanti invece per il soggetto, mai soddisfatto dei risultati che ne ottiene, giacché essi si realizzano sempre lì dove non gli servono, sulla scena della realtà e mai su quella del desiderio. E tuttavia l’ossessivo ricava un godimento segreto nello sfinirsi pur di evitare il proprio desiderio. Freud se ne accorse nel caso dell’Uomo dei topi, scorgendo nel suo sintomo ossessivo un godimento a lui stesso ignoto.
L’ossessivo cerca, dunque, di far coincidere il soggetto con l’Io, di racchiuderlo tutto quanto nell’ Io, di farsi Io assoluto, in maniera tale che, cancellandosi come soggetto, possa rendere impossibile il suo desiderio. Un desiderio che tuttavia è indistruttibile, che non può essere né assorbito interamente dal significante, né liquidato del tutto nell’immaginario - come invece vorrebbe l’ossessivo - ma che torna sempre, allo stesso posto e nello stesso modo, in quanto il desiderio è dell’ordine del reale e dunque, come tale, non può mai esaurirsi nel simbolico o nell’immaginario. Solo la parola, il Logos, può bordeggiare la voragine del reale del desiderio, senza mai colmarla, una parola che l’esperienza analitica cerca di ristabilire al posto del sintomo!
I
Allo scopo di approfondire gli aspetti più salienti che l’approccio psicoanalitico permette di cogliere nella clinica della nevrosi ossessiva, mi sono rifatto soprattutto alla lettura che ne fa Lacan nel capitolo XXIII, l’ossessivo e il suo desiderio, del Seminario Libro V, le formazioni dell’inconscio (1957-1958) pag. 414 – 432.
Lacan inizia il suo discorso sull’ossessivo chiarendo subito che l’ossessivo è quello che si deve costituire di fronte al proprio desiderio evanescente (pag. 414). Dunque, la finalità prioritaria dell’ossessivo è quella di liquidare il proprio desiderio, di svuotarsene come soggetto, di renderlo appunto evanescente. Il compito è evidentemente affidato all’Io, che lo svolge nei modi che vedremo e che, mi sembra, spieghino molto bene l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche della nevrosi ossessiva.
Per esempio, in alcuni casi, l’ossessivo è maggiormente impegnato sul piano del pensiero, un pensiero rimuginato, ripetitivo, in altri casi più sul piano dell’azione, attraverso gli infiniti rituali, le diverse manovre, le svariate azioni cui si costringe, in quanto, non potendo mettere sotto controllo il proprio desiderio, mette sotto controllo la realtà che lo circonda, vale a dire, prima di tutto, l’Altro.
La cura per gli aspetti formali, più che per i contenuti, è uno dei modi attraverso cui l’ossessivo si serve per tenersi lontano dall’investimento libidico su qualsiasi oggetto possa avvicinarlo all’esperienza del desiderio:
Nella psicologia di un ossessivo, più qualcosa ha il ruolo di oggetto, fosse pure momentaneo, del desiderio, più la legge di approccio del soggetto rispetto a questo oggetto si manifesterà letteralmente con un abbassamento di tensione libidica. […] Il problema per l’ossessivo è dunque quello di dare un supporto al desiderio – desiderio che per lui condiziona la distruzione dell’Altro, dove il desiderio stesso sparirà (pag. 413).
In altri termini, proprio quando l’ossessivo si avvicina a qualcuno di quegli oggetti che possono mobilitare il suo desiderio, allora deve abbassare quella che Freud chiama la libido di investimento oggettuale, affinché il desiderio sparisca nell’oggetto ormai disinvestito, affinché possa renderlo, appunto, evanescente.
È così che l’ossessivo, facendo sparire il desiderio, in sé stesso e nell’Altro, s’inaridisce fino a ridursi ad un puro significante, a scheletro devitalizzato di se stesso, poiché dove non c’è afflato di desiderio lì non può esserci vita.
In altri termini, l’ossessivo, svuotato del proprio desiderio, deve sottomettersi a ciò che può servire a ravvivarlo, e che trova nel Fallo, in quanto, come dice Lacan, è il significante per eccellenza del rapporto dell’uomo con il significato, e perciò in una posizione privilegiata (pag. 416).
L’ossessivo, dunque, è destinato a dipendere dalla presenza dell’Altro in quanto significante Fallo giacché ciò che rivitalizza l’ossessivo è ormai il Fallo e non l’amore, il che spiega il ricorso di molti ossessivi alla pornografia o a saltuarie esperienze omosessuali.
L’Altro da cui l’ossessivo dipende, alla cui domanda si sottomette, l’Altro a cui l’ossessivo, essendosi abolito sul piano della domanda d’amore, deve chiedere il premesso per poter sussiste, l’Altro con il quale l’ossessivo articola il suo rapporto di desiderio è l’Altro immaginario incarnato nell’Altro reale, nel proprio simile e che, non avendo niente a che fare con l’Altro che l’ossessivo nel proprio fantasma interpella, è sempre l’Altro che delude, poiché la sua risposta non avviene mai là dove l’ossessivo se l’aspetta.
L’articolazione del rapporto dell’ossessivo con l’Altro immaginario serve all’ossessivo per situare il suo desiderio nel luogo dell’Altro, nel luogo dove cioè, pur di distruggere il proprio desiderio, pur di impedirsi di riconoscerlo come proprio, può dirsi che è l’Altro, non lui, ad interdirlo.
L’ossessivo risolve la questione dell’evanescenza del suo desiderio facendone un desiderio interdetto. Egli lo fa sostenere dall’Altro, precisamente tramite l’interdizione dell’Altro (pag. 425).
Tuttavia, siccome - come dice Lacan continuando il suo discorso su questo punto - desiderio interdetto non significa desiderio soffocato, la posizione dell’ossessivo nei confronti del desiderio in rapporto all’Altro è ambiguo, nel senso che lo camuffa. In altre parole, affinché il suo desiderio venga interdetto, l’ossessivo deve pur mostrarlo, e lo mostra come ciò che non vuole. Il desiderio si presenta all’ossessivo come quello che non vuole, e poiché il desiderio è metonimico, ecco che l’ossessivo è sempre alla ricerca di altro in alternativa a ciò che già possiede, quell’altro il cui desiderio verrà poi nuovamente interdetto non appena ne entrerà in possesso. Per questo, l’oggetto dell’ossessivo è sempre un po’ degradato. Nessuno come l’ossessivo è esposto a quella degradazione della vita amorosa, di cui ci ha parlato Freud.
A quest’Altro dell’interdizione del desiderio l’ossessivo - come un servo al proprio padrone - si sottomette per dipenderne, poiché un rapporto mediato, non dal desiderio dell’Altro, ma basato sulla interdizione dell’Altro può evidentemente reggersi solo sulla dipendenza dall’Altro e non costituirsi attraverso la dialettica della domanda. Il fine dell’ossessivo sottomesso all’Altro in un rapporto di dipendenza è quello di volere dall’Altro sia la domanda che il permesso sul proprio desiderio: muoversi autonomamente a partire dal proprio desiderio senza prima interpellare l’Altro getta l’ossessivo in un’angoscia insostenibile, l’angoscia della ritorsione dell’Altro.
Al fine di assicurarsi la presenza e il permesso dell’Altro, il soggetto ossessivo fa di tutto per conquistare la sua ammirazione, dando prova delle sue eccezionali qualità. Si tratta di quelli che Lacan descrive come gli exploit dell’ossessivo.
Non sono rari gli ossessivi che sono soliti riportare nelle sedute il resoconto dettagliato delle loro performances, alle quali l’analista deve limitarsi a fare da testimone silenzioso, certificando in tal modo che non esiste alcuna castrazione nel soggetto. Peccato però che - come sottolinea Lacan - la soddisfazione che [l’ossessivo] cerca di ottenere non si classifica affatto sul terreno dove l’ha ben meritata (pag. 428), poiché il vero testimone che deve convincere non è mai colui che dirà del soggetto – “Decisamente […] è proprio un tipo in gamba! (pag.429), il quale, invece, in verità se ne infischia, preso com’è dalle sue faccende. E infatti, l’ossessivo, in cambio delle sue prestazioni, finisce sempre per ricevere, invece del premio che si aspetta, solo le briciole.
L'exploit assume dunque un ruolo centrale nella comprensione della dialettica del desiderio dell'ossessivo, che oscilla sempre tra l'affermazione della propria potenza e il continuo rinvio dell'incontro con il proprio desiderio, sentito, in quanto mancanza, come ciò che smaschera l’impotenza e la castrazione del soggetto.
L’ossessivo oscilla anche tra bisogno di dipendenza e rivendicazione di autonomia, un’autonomia di cui non sa però poi che farsene, come pure spesso brama quelle vacanze che poi non riesce a godersi.
Un paziente, che nel luogo di lavoro, non si sottraeva mai a farsi carico anche degli impegni destinati ai colleghi, rinunciava volentieri alle pause lavorative per evitare di ritrovarsi sopraffatto da un opprimente senso di vuoto e di inutilità. Poteva stare bene solo se impegnato nel lavoro, anche, e soprattutto, quello che faceva per gli altri.
Il permesso sul proprio desiderio, che l’ossessivo chiede all’Altro, consiste anche, evidentemente, nel permesso di potersi soggettivare su di esso, perché, in fondo, l’ossessivo desidera avere un desiderio, un desiderio che, tuttavia, gli si presenta come impossibile, in quanto il desiderio accordato dall’Altro è al tempo stesso un desiderio interdetto. Per l’ossessivo, infatti, è impossibile - riprendo l’espressione di Lacan - non cedere sul proprio desiderio perché questo significherebbe sostenersi sulla sua mancanza strutturale, sulla castrazione. L’ossessivo, dice Lacan, preferisce la morte al desiderio e dunque preferisce rinunciare alla propria libertà pur di mettersene al riparo, disponendosi sotto l’ala protettiva della domanda dell’Altro. Quando Freud pronunciò la famosa frase l’uomo ha sempre barattato la propria felicità per un po’ di sicurezza in più evidentemente pensava proprio all’ossessivo.
Per questo, la posizione dell’ossessivo nei confronti della scelta è sempre amletica, ossia quella dell’indecidibilità e della rinuncia. L’ossessivo procrastina all’infinito la scelta che deve compiere, pur di evitare l’incontro con il proprio desiderio. Decidere tenendo conto del proprio desiderio, senza chiedere il permesso dell’Altro, significa per l’ossessivo assumersi il rischio della morte, perché non si può - come invece pure vorrebbe - sapere in anticipo quello che sarà dopo l’atto della scelta. Per l’ossessivo il momento di scegliere arriva sempre troppo presto e la scelta è stata fatta sempre troppo tardi.
E tuttavia, il soggetto ossessivo non è solo quello che procrastina all’infinito la scelta, ma anche quello che, paradossalmente, può ritrovarsi a prendere decisioni improvvise e impulsive. Un giovane, che aveva rimandato per mesi l’acquisto di un telefonino, studiando meticolosamente le caratteristiche di ogni modello senza mai sceglierne uno, un giorno, passando per caso davanti ad un negozio di telefonini, entrò e ne comprò uno a caso, o meglio acquistò quello che gli consigliò il commesso. Aveva fatto scegliere all’Altro. Aveva fatto decidere all’Altro quale dovesse essere il proprio desiderio. Ovviamente, la conclusione fu che, insoddisfatto di quella scelta, dopo pochi giorni rimise in vendita il telefonino come usato.
Lacan sottolinea quanto l’ossessivo possa essere esposto al rischio di commettere veri e propri acting out, soprattutto in analisi, perché è soprattutto l’esperienza psicoanalitica che consente, come dice Lacan, il cammino verso il proprio desiderio, vale a dire la possibilità reale che il soggetto possa incontrare il proprio desiderio. L’acting può essere allora visto come un modo per interrompere questo cammino, o per deviarlo mettendo l’azione al posto della domanda. Quel giovane, pur di evitare l’incontro col proprio desiderio, aveva lasciato che fosse il desiderio del commesso, e non il proprio, ad orientarlo nella scelta del telefonino. L’acting si configura dunque come un appello rivolto all’Altro evitando la domanda, come un modo per trasferire dal fantasma alla realtà l’oggetto del desiderio (l’oggetto piccolo a), per collocarlo lì, di fronte al soggetto, dove, come in un miraggio, può avere l’illusione di raggiungerlo, e non alle sue spalle, dove esso sparisce.
Così, possiamo dire che l’ossessivo vuole le risposte evitando di fare la domanda, come l’isterica fa la domanda senza volere la risposta.
A mo’ di sintesi vorrei richiamare, in conclusione, quelli che Lacan individua come i quattro punti cardinali attorno ai quali si orienta e si polarizza ciascuna difesa del soggetto (pag. 430): il fantasma, la presenza dell’Altro, gli exploit e gli acting out, che, come abbiamo visto, rappresentano gli architravi su cui si regge la struttura ossessiva allo scopo di evitare il contatto con il proprio desiderio.
Ai quattro punti cardinali di Lacan, vorrei aggiungere quelli che, a mio avviso, possono essere ravvisati come i tre paradossi della fenomenologia dell’ossessivo: scegliere il nuovo mantenendo al tempo stesso il vecchio, scegliere pretendendo di sapere in anticipo come sarà il dopo, fare la propria scelta lasciandola decidere all l’Altro,
È così che l’ossessivo cerca l’impossibile, ossia di risolvere una volta per tutte la questione del proprio desiderio.
Mi fermerei qui, sperando di avervi dato spunti utili per ripensare, alla luce dell’insegnamento di Jacques Lacan, la clinica della nevrosi ossessiva e gli intricati rapporti, nel soggetto, tra domanda e desiderio cui questa clinica rimanda.
[1] Lei si preoccupa di quella che chiama "perdita dell'oggetto" eppure quello che ho cercato di mostrare non è la perdita, ma la funzione: l'oggetto non è rappresentato, causa. (Risposta di Lacan ad A. Green. Ringrazio il collega M. Mattioli per avermi fornito la citazione).

