Il soggetto non è in quello che dice

DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO • 18 giugno 2025

Il Soggetto dell'enunciazione e il soggetto dell'enunciato

Se per le discipline scientifiche che pongono l'uomo come oggetto di ricerca e di studio, vale a dire per le scienze umanistiche, e per le religioni, il soggetto coincide e si riduce alla propria coscienza, che lo rappresenta, per la psicoanalisi invece il soggetto non vi coincide, non è nelle sue manifestazioni di parola e di corpo, né in ciò che la coscienza gli mostra lasciandogli credere che si tratti di lui, né tanto meno in quello che pensa, poiché egli è sempre altrove rispetto a quello che manifesta anche a sé stesso e rispetto a quello che presume di essere.

Sentiamo cosa dice Lacan: 𝐿’𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑐𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑒́, 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑝𝑎𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎 𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜, 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑐𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑙 𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑢𝑚𝑎𝑛𝑎, 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑒 [...] 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑖𝑡𝑢𝑎𝑟𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑡𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑠𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑡𝑎𝑙𝑒, 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑚𝑎𝑛𝑐𝑎𝑛𝑧𝑎 [...]. 𝐸 𝑙𝑢𝑖 𝑠𝑖 𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑢𝑛 𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑛 𝑝𝑖𝑢̀, 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑒𝑑𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝐷𝑖𝑐𝑒 – 𝐼𝑜 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑙𝑢𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜. 𝑆𝑓𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑎𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑠𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀, 𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀. (Il Seminario, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi,1954-1955, Einaudi, p. 257)

Quindi, per
Lacan, il luogo da cui parliamo e da cui ci percepiamo nella nostra coscienza non è il luogo che noi occupiamo come soggetti, ma piuttosto il luogo, esterno, della realtà che ci circonda, dove ci collochiamo come oggetti, ossia come... l'Altro! 𝐿'𝑖𝑜 𝑒̀ 𝑙'𝐴𝑙𝑡𝑟𝑜, dice Rimbaud, così come lo riprende Lacan.

Se non è lì dove ci cogliamo come un Io che sta il Soggetto, allora dove è che sta veramente? Dove è che noi veramente siamo?

Noi siamo in quel luogo altro, in quell'altra scena rispetto a quella della coscienza, che Freud ha chiamato inconscio. Il luogo cioè che viene a mancare alla nostra percezione cosciente, e, dunque, in effetti, il luogo dove scompariamo a noi stessi. Il soggetto vero si ritrova, paradossalmente, lì dove esso sparisce per effetto della rimozione originaria (Aufhebung).

Per questo, per la psicoanalisi,
il soggetto vero e proprio è il soggetto dell'inconscio, non quello della coscienza. Quest'ultimo è solo il riflesso immaginario di noi stessi che collochiamo nel mondo degli oggetti, pensando di esser lì, prendendoci come un Io.

Va precisato che l'inconscio psicoanalitico non ha niente a che vedere con l'inconscio filosofico, né con quello romantico, delle passioni e dei sentimenti che ci attraversano e che teniamo lontani dalla coscienza.
L'inconscio psicoanalitico non è il contrario del conscio, ma è ciò che alla coscienza viene a mancare in quanto ciò che non può esser detto. L'inconscio è un linguaggio detto in altro modo rispetto al linguaggio condiviso e di cui ci serviamo per comunicare e stabilire relazioni secondo codici convenzionali. Il linguaggio dell'inconscio è un linguaggio privato, soggettivo, del singolo, che dice di noi, ma che non può essere trasferito come tale nel linguaggio convenzionale.

L'inconscio è perciò strutturato come un linguaggio in quanto ha una sua grammatica e segue le leggi della linguistica, ossia della metafora e della metonimia. Un linguaggio, però, che emerge in altro modo rispetto al linguaggio convenzionale, che emerge sotto forma di sogni, di lapsus, di atti mancati, attraverso cioè quelle manifestazioni comuni e spesso apparentemente  banali della vita quotidiana che Freud ha chiamato formazioni dell'inconscio.

Freud prima e Lacan dopo hanno dimostrato che
il linguaggio dell'inconscio e quello della coscienza, benché strutturati allo steso modo, non sono gli stessi, essendo, il primo, il linguaggio dell'enunciazione e, il secondo, il linguaggio dell'enunciato, due linguaggi che per la psicoanalisi non coincidono, in quanto,  benché in connessione, ma non necessariamente, si svolgono su due scenari diversi, rispettivamente quello dell'inconscio e quello della coscienza, per cui: 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑒 𝑚𝑖 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑔𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒 ℎ𝑜 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑢𝑛'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎.


L'inconscio psicoanalitico è anche il luogo del nostro desiderio, anzi, possiamo dire, che per la psicoanalisi, inconscio e desiderio sono sinonimi in quanto strutture di mancanza: il desiderio si produce nel soggetto come effetto di quella rimozione originaria e di quella perdita che il soggetto subisce per il fatto di doversi costituire nel mondo della parola condivisa, fatto che Lacan descrive come l'azione del Significante sul soggetto.

E
' dunque dal luogo dell'inconscio, e non da quello della coscienza, dal luogo del desiderio soggettivo, che il soggetto parla al di là di quello che dice: 𝑄𝑢'𝑜𝑛 𝑑𝑖𝑠𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑒 𝑜𝑢𝑏𝑙𝑖𝑒́ 𝑑𝑒𝑟𝑟𝑖𝑒̀𝑟𝑒 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑠𝑒 𝑑𝑖𝑡 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑠'𝑒𝑛𝑡𝑒𝑛𝑑", dice Lacan ne "L'étourdit" per sottolineare che il vero dire del soggetto rimane dimenticato dietro ciò che l'altro di lui intende, che il vero dire è cioè il dire dell'enunciazione, non quello dell'enunciato: è per questo che noi desideriamo che l'Altro ci dimostri di comprenderci nella nostra enunciazione e non nell'enunciato finale. In fondo, il desiderio è proprio questo, che noi si possa venir riconosciuti attraverso la nostra enunciazione e non attraverso l'enunciato. E' quello che fa lo psicoanalista.

Per questo,
la psicoanalisi non può essere praticata se non da uno psicoanalista, vale adire da uno che che sappia occupare quel posto vuoto - il luogo dell'Altro - in cui il soggetto possa riconoscere l'articolazione del proprio desiderio attraverso quel dire "dimenticato" che l'analista può aiutare a recuperare, il che spiega anche perché è praticamente impossibile che ci si possa analizzare da soli.

E' in conseguenza di tutto ciò che
la psicoanalisi non può essere compresa se non all'interno di quella logica binaria che la costituisce - la logica del "dire tra" in cui il soggetto, nel "tra-dirsi", si "sorprende" nella sua enunciazione, anzi nello scarto tra l'enunciato e l'enunciazione - e che la distingue da tutte quelle altre discipline che, al contrario, fondano la loro "certezza" su quella logica unitaria che "confonde" - non distingue - il soggetto con quello che dice.

Autore: DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO 15 giugno 2025
Freud ha dimostrato che la perversione è un non volerne sapere nulla, ma proprio nulla, della castrazione. Una doppia negazione dunque: "non è vero che non c'è il fallo lì dove non posso fare a meno di volere che ci sia". Freud ha chiamato " Verleugnung " questo meccanismo di rigetto, di ripudio della realtà della castrazione. Lacan, riprendendo la questione dal punto di vista della " castrazione della madre ", mette in rilievo come il perverso non tolleri che l'Altro sia "bucato" , sia mancante cioè proprio di quello che gli serve per assicurarsi il proprio godimento, un godimento che egli deve necessariamente prelevare "nel luogo dell'Altro", e che non sopporta possa essere interdetto dalle ragioni dell'Altro, in buona sostanza, non tollera che il proprio godimento possa trovare un limite nel desiderio dell'Altro. Il perverso è dunque colui che si serve della "Verleugnung" (diniego, doppia negazione) per impedire che il desiderio dell'Altro interrompa il proprio godimento , come dire: "il tuo desiderio si oppone al mio interesse? Disturba la stabilità della mia posizione e la certezza delle mie convinzioni? Bene, neanche mi chiedo il perché, faccio prima a rigettarlo di sana pianta, non ne tengo alcun conto, per il semplicissimo motivo che esiste una sola posizione, la mia." In altre parole il perverso non riconosce la differenza dell'Altro , per questo è, appunto, "indifferente" alle ragioni dell'Altro - laddove invece il nevrotico ne soffre - è indifferente alla realtà. Non dice, all'Altro, "è vero che tu non sei d'accordo con me, ma non lo sopporto" - che è invece la posizione del nevrotico, ovvero sia il riconoscimento che l'Altro sta dicendo qualcosa di diverso che lui non sopporta, sia il riconoscimento che lui non lo sopporta, un "doppio riconoscimento", dunque, che aprirebbe comunque ad una dialettica - ma dice, più radicalmente: "non è vero che tu non sei d'accordo con me", confondendo e facendo spesso vacillare la realtà nell 'Altro! Una "doppia negazione", appunto, come a dire che nell'universo mondo non c'è che una sola verità, la sua! E' esattamente questa la posizione di godimento del perverso. Per questo, possiamo dire, che qualsiasi comportamento tendente a disconoscere le istanze altrui, quando queste costituiscono un limite al godimento soggettivo, può essere considerato un comportamento di perversità , come può esserlo, per esempio, in una coppia, quello di un partner che si rifiuti di prendere atto del desiderio dell'altro di volersi, per esempio, separare: si rifiuta di prenderne atto per continuare a farlo sussistere nel ruolo dì partner anche se questi se ne dichiara fuori. E' il caso dello stalking, che infatti è un comportamento perverso. In altre parole, il rapporto perverso non può essere interrotto , poiché si fonda sulla complicità inconscia, di distruggere la castrazione in ciascuno dei partner, di distruggere cioè il desiderio come causa del legame della coppia per sostituirlo con il godimento, in maniera da s congiurare il rischi, insopportabile per il perverso, di poter amare, il rischio, per i p due partner bloccati dal patto perverso, di innamorarsi l'uno dell'altro. Occorre cioè che il godimento nel plagiare l'Altro si incastri con il godimento dell'Altro a farsi plagiare. Da questo patto diabolico, dalla complicità perversa all'interno di una coppia - ma anche all'interno di un gruppo, di un'Associazione, di un'Istituzione, di una Setta - a collaborare attivamente per costruire e difendere la sola Verità possibile, ossia che non vi è nessuna castrazione in ciascuno, non è dunque possibile uscirne , prima di tutto perché l'angoscia che si scatenerebbe in seguito a una tale ipotesi entra a far parte sin dall'inizio dello stesso patto perverso, anzi ne costituisce il cemento, e poi anche perché il rischio di ritorsioni, terribili, anche omicide, è altissimo per chi voglia tirarsi fuori dal gioco, poiché rompere il patto perverso significa infliggere la pena insopportabile della castrazione. Molti femminicidi ne sono un esempio, e, nella Storia, la santa Inquisizione, i roghi, le Crociate ne sono altri. Quali azioni di stalking sistematici possono esserci piu delle "crociate" anche moderne contro tutte le posizioni discordanti da ciò che è ritenuta l'unica verità vera da imporre anche sotto minaccia di morte? In conclusione, è perverso ogni atteggiamento, posizione o comportamento che si basi sul disconoscimento di quella separazione tra gli esseri che di fatto è già data per avvenuta in qualsiasi contesto umano, e che è posta a fondamento dell'amore e della vita.
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Ma cos'è questo Fantasma di cui tanto si parla in psicoanalisi e non solo - anche se in altri ambiti per lo più declinato al plurale? Per dirla nella maniera più semplice possibile, il Fantasma, il Fantasma fondamentale per meglio dire, può essere immaginato come una sorta di griglia, di "schema" articolato, per lo più inconscio, attraverso cui affrontiamo, viviamo, interpretiamo la realtà che ci circonda, in particolare le nostre relazioni con l'Altro (e con noi stessi). Possiamo dire che il Fantasma è il modo attraverso cui il soggetto si suppone per l'Altro e come ritiene che l'Altro a sua volta lo supponga : una sorta di lente che interponiamo tra noi e il mondo e attraverso la quale filtriamo l'esperienza che ne facciamo. In altre parole, il Fantasma - che ognuno si costruisce a modo suo a partire sin dalle su più precoci esperienze di vita - è ciò che condiziona il modo attraverso cui ognuno di noi vive la propria vita, da quando è piccolo, fino a quando muore. Per Lacan, però, il Fantasma è almeno altre due cose: 1) una sorta di piattaforma "girevole" entro cui circola, si muove, "corre come un furetto", il desiderio , cercando continuamente dove collocarsi e soprattutto come uscirne; 2) una struttura che conferisce consistenza al soggetto , soprattutto quando deve affrontare ciò che non conosce, ciò di fronte a cui può sentirsi solo e perso, vale a dire il Reale , il reale soprattutto del proprio desiderio. Il Fantasma è dunque non solo ciò che ci condiziona e ci imbriglia, ma anche ciò che ci sostiene nei momenti decisivi. Lacan collega dunque il Fantasma al desiderio in quanto è attraverso di esso che il soggetto si illude di intravedere e acciuffare l'oggetto del proprio desiderio: " E' nelle maglie dell'articolazione del fantasma soggettivo che il desiderio compie i suoi giri senza trovarvi mai un punto di arresto: se è nel fantasma che il soggetto cerca da una parte l'aggancio del suo desiderio verso l'Altro, è nel fantasma stesso che vi trova dall'altra la difesa nei confronti dell'angoscia di precipitarvi del tutto ." (Lacan) Vuole dire che, se, da una parte, il Fantasma ci permette di tendere verso l'Altro , l'Altro del nostro desiderio, dall'altra, esso è anche ciò che ci permette di non "precipitarvi del tutto", per questo, nella famosa formula del fantasma ($◇⍺) , Lacan, tra il Soggetto ($) e l'oggetto del desidero (⍺) sceglie il "punzone" (◇) che indica una relazione di attrazione e di respingimento al tempo stesso. Ora, in conseguenza dell'esistenza del Fantasma soggettivo, il rapporto col mondo non può essere mai del tutto obiettivo e mai diretto, ma è sempre mediato, e dunque un po' "distorto" e "interferito" dal Fantasma stesso. E' soltanto attraverso l'esperienza psicoanalitica che si viene prima o poi a sapere di questo fantasma, e a riconoscerlo come proprio. Ed è soltanto in analisi che arrivare a riconoscere il proprio Fantasma, il poterci fare i conti, il poterlo "attraversare", come dice Lacan, ci aiutano a farci capire -e anche cambiare- molte cose di noi, il nostro modo di vivere, il nostro modo di amare e di godere, il nostro modo di stare al mondo, con i nostri simili, in maniera più sopportabile. #fantasmasoggettivo #fantasmafondamentale #desiderio #reale #esperienzasoggettiva
Autore: DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO 14 gennaio 2024
evo vedere l'osso
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