Il soggetto non è in quello che dice
Il Soggetto dell'enunciazione e il soggetto dell'enunciato
Se per le discipline scientifiche che pongono l'uomo come oggetto di ricerca e di studio, vale a dire per le scienze umanistiche, e per le religioni, il soggetto coincide e si riduce alla propria coscienza, che lo rappresenta, per la psicoanalisi invece
il soggetto non vi coincide,
non è nelle sue manifestazioni di parola e di corpo, né in ciò che la coscienza gli mostra lasciandogli credere che si tratti di lui, né tanto meno in quello che pensa, poiché
egli è sempre altrove rispetto a quello che manifesta anche a sé stesso e rispetto a quello che presume di essere.
Sentiamo cosa dice Lacan: 𝐿’𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑐𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑒́, 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑝𝑎𝑟𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑎 𝑠𝑒 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑜, 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑎 𝑡𝑒𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑐𝑙𝑎𝑠𝑠𝑖𝑐𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑒 𝑎𝑙 𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑢𝑚𝑎𝑛𝑎, 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑒 [...] 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑢𝑛 𝑚𝑜𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑠𝑖𝑡𝑢𝑎𝑟𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑚𝑜𝑛𝑑𝑜 𝑑𝑒𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑑𝑒𝑠𝑖𝑑𝑒𝑟𝑖𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑡𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑠𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑡𝑎𝑙𝑒, 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑛𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑚𝑎𝑛𝑐𝑎𝑛𝑧𝑎 [...]. 𝐸 𝑙𝑢𝑖 𝑠𝑖 𝑖𝑚𝑚𝑎𝑔𝑖𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑢𝑛 𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑖𝑛 𝑝𝑖𝑢̀, 𝑝𝑒𝑟𝑐ℎ𝑒́ 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑒𝑑𝑒 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑎. 𝐷𝑖𝑐𝑒 – 𝐼𝑜 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑐𝑜𝑙𝑢𝑖 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑜𝑛𝑜. 𝑆𝑓𝑜𝑟𝑡𝑢𝑛𝑎𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒, 𝑠𝑎 𝑓𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀, 𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑎 𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑛𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑑𝑖 𝑐𝑖𝑜̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀. (Il Seminario, Libro II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi,1954-1955, Einaudi, p. 257)
Quindi, per
Lacan, il luogo da cui parliamo e da cui ci percepiamo nella nostra coscienza non è il luogo che noi occupiamo come soggetti, ma piuttosto
il luogo, esterno, della realtà che ci circonda, dove ci collochiamo come oggetti, ossia come... l'Altro! 𝐿'𝑖𝑜 𝑒̀ 𝑙'𝐴𝑙𝑡𝑟𝑜, dice Rimbaud, così come lo riprende Lacan.
Se non è lì dove ci cogliamo come un Io che sta il Soggetto, allora dove è che sta veramente? Dove è che noi veramente siamo?
Noi siamo in quel luogo altro, in quell'altra scena rispetto a quella della coscienza, che Freud ha chiamato inconscio. Il luogo cioè che viene a mancare alla nostra percezione cosciente, e, dunque, in effetti, il luogo dove scompariamo a noi stessi.
Il soggetto vero si ritrova, paradossalmente, lì dove esso sparisce per effetto della rimozione originaria (Aufhebung).
Per questo, per la psicoanalisi,
il soggetto vero e proprio è il soggetto dell'inconscio, non quello della coscienza. Quest'ultimo è solo il riflesso immaginario di noi stessi che collochiamo nel mondo degli oggetti, pensando di esser lì, prendendoci come un Io.
Va precisato che l'inconscio psicoanalitico non ha niente a che vedere con l'inconscio filosofico, né con quello romantico, delle passioni e dei sentimenti che ci attraversano e che teniamo lontani dalla coscienza.
L'inconscio psicoanalitico non è il contrario del conscio, ma
è ciò che alla coscienza viene a mancare in quanto ciò che non può esser detto. L'inconscio è un linguaggio detto in altro modo rispetto al linguaggio condiviso e di cui ci serviamo per comunicare e stabilire relazioni secondo codici convenzionali. Il linguaggio dell'inconscio è un linguaggio privato, soggettivo, del singolo, che dice di noi, ma che non può essere trasferito come tale nel linguaggio convenzionale.
L'inconscio è perciò strutturato come un linguaggio in quanto ha una sua grammatica e segue le leggi della linguistica, ossia della
metafora e della metonimia. Un linguaggio, però, che emerge in altro modo rispetto al linguaggio convenzionale, che emerge sotto forma di sogni, di lapsus, di atti mancati, attraverso cioè quelle manifestazioni comuni e spesso apparentemente banali della vita quotidiana che Freud ha chiamato formazioni dell'inconscio.
Freud prima e Lacan dopo hanno dimostrato che
il linguaggio dell'inconscio e quello della coscienza, benché strutturati allo steso modo, non sono gli stessi, essendo, il primo, il linguaggio dell'enunciazione e, il secondo, il linguaggio dell'enunciato, due linguaggi che per la psicoanalisi non coincidono, in quanto, benché in connessione, ma non necessariamente, si svolgono su due scenari diversi, rispettivamente quello dell'inconscio e quello della coscienza, per cui: 𝑣𝑜𝑙𝑒𝑣𝑜 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑒 𝑚𝑖 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑔𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒 ℎ𝑜 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑢𝑛'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎.
L'inconscio psicoanalitico è anche il luogo del nostro desiderio, anzi, possiamo dire, che per la psicoanalisi, inconscio e desiderio sono sinonimi in quanto strutture di mancanza: il desiderio si produce nel soggetto come effetto di quella rimozione originaria e di quella perdita che il soggetto subisce per il fatto di doversi costituire nel mondo della parola condivisa, fatto che Lacan descrive come
l'azione del Significante sul soggetto.
E' dunque dal luogo dell'inconscio, e non da quello della coscienza, dal luogo del desiderio soggettivo, che il soggetto parla al di là di quello che dice: 𝑄𝑢'𝑜𝑛 𝑑𝑖𝑠𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑒 𝑜𝑢𝑏𝑙𝑖𝑒́ 𝑑𝑒𝑟𝑟𝑖𝑒̀𝑟𝑒 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑠𝑒 𝑑𝑖𝑡 𝑑𝑎𝑛𝑠 𝑐𝑒 𝑞𝑢𝑖 𝑠'𝑒𝑛𝑡𝑒𝑛𝑑", dice Lacan ne "L'étourdit" per sottolineare che
il vero dire del soggetto rimane dimenticato dietro ciò che l'altro di lui intende, che il vero dire è cioè il dire dell'enunciazione, non quello dell'enunciato: è per questo che noi desideriamo che l'Altro ci dimostri di comprenderci nella nostra enunciazione e non nell'enunciato finale. In fondo,
il desiderio è proprio questo, che noi si possa venir riconosciuti attraverso la nostra enunciazione e non attraverso l'enunciato. E' quello che fa lo psicoanalista.
Per questo,
la psicoanalisi non può essere praticata se non da uno psicoanalista, vale adire da uno che che sappia occupare quel posto vuoto - il luogo dell'Altro - in cui il soggetto possa riconoscere l'articolazione del proprio desiderio attraverso quel dire "dimenticato" che l'analista può aiutare a recuperare, il che spiega anche perché è praticamente impossibile che ci si possa analizzare da soli.
E' in conseguenza di tutto ciò che
la psicoanalisi non può essere compresa se non all'interno di quella logica binaria che la costituisce - la logica del "dire tra" in cui il soggetto, nel "tra-dirsi", si "sorprende" nella sua enunciazione, anzi nello scarto tra l'enunciato e l'enunciazione - e che la distingue da tutte quelle altre discipline che, al contrario, fondano la loro "certezza" su quella logica unitaria che "confonde" - non distingue - il soggetto con quello che dice.

