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L’esperienza della soggettività nella cura psicoanalitica

Egidio T. Errico • gen 12, 2022

Webinar del ciclo “Conversazioni psicoanalitiche” del 22/11/2021 sulla piattaforma Zoom

Bisogno-domanda-desiderio


 Quando fu chiesto a Lacan di spiegare in cosa consistesse la psicoanalisi e chi fossero gli psicoanalisti, egli, con il suo solito stile provocatorio ed enigmatico, rispose che la psicoanalisi è la pratica degli psicoanalisti, e gli psicoanalisti coloro che la praticano, con ciò intendendo, da una parte, che la psicoanalisi, in effetti, per l’oggetto stesso di cui si occupa, non può che sfuggire ad ogni definizione che sia data una volta per tutte, che sia cioè circoscrivibile in un concetto compiuto, e, dall’altra, che essa è essenzialmente una prassi, una pratica che, in quanto tale, non può considerarsi, a differenza delle altre discipline, come esistente per sé stessa, come esistente cioè a prescindere da chi la richiede (il paziente) e da coloro che la praticano (gli psicoanalisti).

Questo perché la psicoanalisi, anche se oggi può essere a ragione riconosciuta come un metodo affidabile di cura del disagio psichico e, dunque, come una teoria del funzionamento della mente e dei suoi disturbi - il che impedisce che essa possa essere considerata una pratica terapeutica improvvisata - si configura al tempo stesso come una cura che risponde unicamente a chi la richiede, che si costituisce cioè come una risposta ad una interrogazione soggettiva, con ciò intendendo che si tratta di una cura che può essere messa in funzione solo dalla domanda del paziente, il quale, stando male si rivolge ad uno psicoanalista poiché s’interroga sul proprio sintomo, s’interroga cioè su cosa il proprio sintomo voglia dire, su cosa egli, in quanto soggetto, sta cercando di dire attraverso il proprio sintomo.

Il sintomo psicoanalitico, infatti, a differenza di quello medico, non è dell’ordine del segno, non è segno  di qualcosa che non va nel corpo a prescindere dalla posizione del soggetto, ma rappresenta invece il modo attraverso cui il soggetto dice di sé e di “quello che non va” in quanto soggetto: il sintomo psicoanalitico è perciò dell’ordine del  simbolo, anche se ha effetto di segno. In altre parole, possiamo dire, che il sintomo psicoanalitico è messaggio e non codice, come è invece il caso del sintomo medico. Il sintomo è un discorso, per questo lo ascoltiamo,  dice Lacan, conducendoci così all’essenza della pratica della psicoanalisi in quanto pratica dell’ascolto e non dell’osservazione.

Uno psicoanalista è allora chi è in grado di accogliere la domanda del paziente su sé stesso, e di intenderla come il desiderio del soggetto di saperne di più, senza ritenere che possegga lui, in quanto dottore, la risposta che il suo paziente cerca. In altri termini, è il paziente, e solo questi, che, con la sua domanda di cura, può mettere in funzione sia la psicoanalisi in quanto cura, sia lo psicoanalista in quanto colui che la dirige.

Trovo questa descrizione della psicoanalisi, della pratica della psicoanalisi, o meglio, come preferiva definirla Lacan, dell’esperienza psicoanalitica, particolarmente pregnante perché ci conduce direttamente al cuore dell’essenza della psicoanalisi: la domanda.

Ciò su cui ruota infatti l’esperienza dell’analisi non è l’inconscio, non è neanche il desiderio, ma è la domanda, poiché né l’inconscio, né il desiderio, sarebbero possibili senza la domanda. Per questo, dice Lacan, l’inconscio è etico, non ontico: non si dà se non all’interno della logica della domanda, e la logica della domanda è etica non ontica.

Non vi può essere dunque psicoanalisi se non vi è una domanda intesa come la intende Lacan, e cioè come quella posizione soggettiva in relazione all’Altro e che è “intermedia” tra un al di qua - che è il bisogno - e un al di là di essa - che è il desiderio.

Se la psicoanalisi, allora, sussiste solo come risposta alla domanda, essa ha luogo soltanto in quell’al di là della domanda che è il campo del desiderio.

Possiamo dire perciò che mentre la psicoterapia si dispone dal lato del bisogno, la psicoanalisi si dispone invece sempre dal lato della desiderio.

La psicoanalisi è dunque una cura che si costituisce e si sostiene sulla domanda, e per questo, essendo la domanda sempre rivolta all’Altro, la psicoanalisi è una cura che si articola sempre nel luogo dell’Altro. In questo senso la psicoanalisi può essere considerata  la cura per eccellenza, in quanto è impossibile curarsi da soli, è impossibile l’autoanalisi.

E d’altra parte, non esiste cura psicoanalitica che sia del tutto “obbediente” ad un metodo di cura standardizzato,  ad una tecnica prestabilita una volta per tutte e che possa prescindere dalla contingenza della domanda del paziente, “colto” nella singolarità del suo essere e nella particolarità del suo “accadere” come soggetto.

Anche se, come si sa, riconosciamo l’esistenza di una teoria psicoanalitica, una teoria della cura, anzi - se teniamo presente l’attuale panorama delle molteplici offerte di cure psicoanalitiche - di più teorie della cura, non può aversi nessuna cura fino a quando lo psicoanalista riterrà che il suo compito sia quello di mettere in pratica i canoni previsti da una determinata “teoria della tecnica psicoanalitica”, ritenendo, magari, di averli per giunta bene appresi, piuttosto che, distaccandosene, di riuscire a costituirsi, più che come Altro della cura, come luogo dell’Altro, vale a dire fino a quando non lascerà subentrare alla figura del dottore che sa, la funzione simbolica di colui che, non sapendone, è pronto a saperne dal paziente, riducendosi ad un puro significante della cura, di un significante qualunque, come dice Lacan. Per questo, in analisi, colui che parla è il solo a saperne qualcosa, il paziente, essendo, l’analista, colui che, non sapendone, ascolta. Insomma, lo psicoanalista, anche se tenuto ad un sapere sulla psicoanalisi, si muove sempre a partire da un non saperne del proprio paziente, un non sapere che deve riprodurre ogni volta di nuovo all’inizio di ogni seduta. Per questo la pratica dello psicoanalista, più che essere funzione di una presunta passione per la cura, è funzione - come dice Lacan - della sua "passione per l'ignoranza".


La psicoanalisi, come abbiamo detto, si costituisce e si sostiene sulla domanda poiché è il soggetto umano che si costituisce e si sostiene attraverso la domanda, e precisamente attraverso l’articolazione della triade bisogno-domanda-desiderio, in quanto tale articolazione è l’effetto del significante, vale a dire della parola che l’Altro (la madre) rivolge al bambino, parola che assume funzione di domanda in grado di frustrare i bisogni e mettere in gioco il desiderio.

Infatti, per Lacan, la parola, non solo è sempre rivolta all’Altro (si parla sempre a qualcuno), ma al tempo stesso ha sempre funzione di domanda, e la domanda, per Lacan, mira a frustrare i bisogni per causare il desiderio. Per questo scriviamo la domanda come intermedia tra il bisogno e il desiderio: il soggetto si costituisce proprio qui, nel luogo intermedio tra il bisogno e il desiderio, nel luogo in cui lo raggiunge la domanda, la domanda che, privandolo dei suoi bisogni, fa del soggetto un soggetto mancante-a-essere, un soggetto di desiderio.

Dunque, nella misura in cui il soggetto umano è un soggetto che si sostiene sulla sua mancanza, sulla propria mancanza-a-essere, la clinica della psicoanalisi è la clinica della frustrazione del soddisfacimento immaginario dei bisogni, una clinica della mancanza-a-essere, una clinica della domanda, vale a dire la clinica degli effetti del significante presso il soggetto.

Insomma, nella triade bisogno-domanda-desiderio i tre termini non sussistono se non nella loro articolazione, essendone la domanda l’elemento chiave in quanto, intermedia tra bisogno e desiderio, stabilisce la continuità, ma anche che la discontinuità tra i due fissandosi il bisogno al di qua e il desiderio al di là di essa.

La domanda è intermedia tra bisogno e desiderio poiché, da una parte, produce un effetto di annullamento (aufhbeith) dei bisogni, e dall’altra il loro ritorno dal luogo dell’Altro, dunque alienati, sotto forma di desiderio, dal momento che ciò che è strutturale alla domanda, ciò che la rende possibile, è il fatto che il soggetto riceve il proprio messaggio dall’Altro. Per questo, nel grafo del desiderio, il luogo del messaggio s(A) è lo stesso in cui si produce la domanda.

Per Lacan, dunque, la frustrazione dei bisogni, in quanto effetto della domanda, corrisponde alla rimozione primaria, poiché l’annullamento dei bisogni non significa che essi scompaiano nel soggetto, ma che vi ritornano come desiderio: il desiderio è perciò il bisogno che è annullato e conservato al tempo stesso in quanto bisogno che ritorna come desiderio dal luogo dell’Altro, come bisogno alienato nel desiderio, che ritorna dall’Altro come desiderio dell’Altro:


ciò che nei bisogni si trova quindi alienato costituisce una Urverdrängung, perché non può, per ipotesi, articolarsi nella domanda, ma appare come un pollone che, è ciò che nell’uomo si presenta come desiderio (das Begehren).[1]


La domanda assume dunque il significato della frustrazione e il desiderio umano è il desiderio dell’Altro.

(Figura 1: il grafo 1)


Il Soggetto.


L’articolazione bisogno-domanda-desiderio può essere vista anche come l’articolazione dell’Edipo, dal momento che possiamo considerare l’Edipo come quella sorta di  laboratorio nel quale il bambino entra come soggetto di bisogni e ne esce come soggetto di desiderio, per cui possiamo allora dire che il soggetto che ci interessa, che interessa alla psicoanalisi, è il soggetto che si costituisce attraverso la triade bisogno-domanda-desiderio, il che significa che il soggetto che interessa alla psicoanalisi è il soggetto diviso, dal momento che, come abbiamo visto, la domanda divide il soggetto dai suoi bisogni e lo priva dell’oggetto particolare del bisogno che, d’ora in poi, perduto per sempre, sarà l’oggetto-causa del desiderio, l’oggetto che Lacan chiama l’oggetto piccola a.

Il soggetto, dunque, è strutturalmente mancante, mancante-a-essere, come dice Lacan, nel senso che il suo essere si costituisce a partire da una perdita, da una mancanza, e che, quindi, egli esiste solo nella sua mancanza, vale a dire nel suo desiderio, poiché il desiderio è mancanza, è la metonimia della mancanza,  come dice ancora Lacan, mancanza su cui egli si sostiene solo attraverso la domanda che continuamente rivolge a se stesso: “Chi sono io? Cosa voglio?”, la stessa che porta in analisi. Una domanda che però non trova risposta poiché egli, dove si aspetta di trovarla, lì trova invece il buco della sua mancanza-a-essere. Freud lo aveva capito e ne fece uno scritto fondamentale che folgorò Lacan: “La Negazione”. Freud capì che il soggetto non è in ciò che ammette, ma in quello che nega, che può definirsi, non attraverso quello che ritiene di essere, ma solo attraverso quello che non è.


Possiamo allora affermare che l’esperienza soggettiva della cura psicoanalitica è un’esperienza di perdita e di mancanza.


Vediamo più in dettaglio questo passaggio.


Non dobbiamo dimenticare che il soggetto si costituisce nella sua mancanza-a-essere solo per effetto della domanda che l’Altro gli rivolge, e che, come abbiamo visto, frustra i suoi bisogni e causa il desiderio, per cui possiamo dire che il soggetto umano si costituisce attraverso l'annullamento dei bisogni che però vengono convertiti in desiderio.

Attraverso la domanda l’Altro dona al soggetto il significante che lo divide, ed è per questo che Lacan designa l’Altro con la lettera A maiuscola, definendolo il tesoro dei significanti, dove il termine tesoro non è scelto a caso, in quanto Lacan vuole indicare il luogo dell’Altro come luogo, non solo prezioso in sé, ma anche come ricchezza poiché contiene i significanti che valgono come scambio e come legame sociale.  Il dono dei significanti che servono comporta il prezzo della frustrazione dei bisogni, ma con la contropartita di riaverli sotto forma di desiderio.

Il primo grande Altro è la madre, che sa quando frustrare, mediante la domanda, i bisogni del suo bambino per permettergli l’accesso al desiderio, e dunque per permettergli la possibilità di domandare: la domanda è sempre reciproca ed è sempre una figura della frustrazione dell’Altro cui è rivolta: “che vuoi?”, “Dimmi tu cosa devo volere affinché tu mi voglia”. La domanda è dunque determinata dal desiderio che si instaura in seguito alla frustrazione dei bisogni. Per questo il desiderio è l'al di là della domanda, l'al di là nel senso che la determina. Questa l’essenza della comunicazione tra la madre e il bambino, tra il grande Altro e il soggetto, per cui, come fa notare Lacan, l’Altro si trova così collocato nel luogo del "potere assoluto", poiché ora il bambino non ha più bisogno di un oggetto, ma desiderio della presenza e del riconoscimento materno: la madre si trova così, di fatto, nella posizione del potere assoluto, il potere che deriva dal privilegio che ella ha di concedere o negare la propria  presenza al suo bambino.

La struttura della domanda sta in questo passaggio, in questa frustrazione del bisogno, nel senso che la madre opera l’azione significante quando “interpreta” il grido del bambino non più come espressione del bisogno, ma come significante e dunque il grido diventa ora domanda. Di cosa? Non di questo o quello, ma di riconoscimento del desiderio di presenza o di assenza materna.

Soffermiamoci un attimo sulla madre: molto si dice su di lei e del rapporto madre bambino, dello scambio che avviene tra i due e della comunicazione che si stabilisce fin da quando una madre porta in grembo il proprio bambino.

Ma è di un bambino che una donna è incinta? Se riduciamo una donna al rango di una femmina sì: una femmina è incinta di un bambino. Lo dimostra ogni ecografia, capace di dirci anche il sesso. Ma una donna? Di cosa è incinta una donna? Una donna è gravida dell’Altro che contiene il tesoro dei significanti ed il linguaggio. 


In sé stessa la domanda verte su altro che non sulle soddisfazioni che chiede. Essa è domanda di una presenza o di un’assenza. Ciò è manifestato dalla relazione primordiale con la madre, in quanto gravida di quell’altro che va situato al diqua dei bisogni che può colmare. Essa lo costituisce già come avente il «privilegio» di soddisfare i bisogni, cioè il potere di privarli della sola cosa da cui sono soddisfatti. Questo privilegio dell’Altro disegna così la forma radicale del dono di ciò che non ha, cioè quel che si chiama il suo amore. [2]


È così che, per azione del significante, ogni essere umano è svuotato dei bisogni, ma attraversato dal desiderio, che è desiderio di presenza o di assenza dell’Altro. 

Noi pensiamo di avere bisogni, ma i bisogni sono sostituiti dal desiderio incondizionato. È per questo che Lacan riconosce al grande Altro un privilegio e un potere assoluti, quelli di poter dare o negare la propria presenza. Vale a dire negarsi al desiderio del soggetto, il che significa privare i bisogni dell’unica cosa di cui si soddisfano: la presenza e non l’oggetto.

“È questo privilegio dell’Altro che disegna così la forma radicale del dono di ciò che l’Altro non ha, cioè quel che si chiama appunto il suo amore.”

Capirete perché Lacan ci dice che l’unica cosa che il bambino può chiedere all’Altro è la prova d’amore, e capirete anche perché questo passaggio apre a cosa è per la psicoanalisi l’amore, vale a dire dare quello che non si ha, cioè la mancanza che causa il desiderio e non la soddisfazione dei bisogni, che, invece, ha a che fare con il godimento.

Bisogna perciò distinguere l’amore dal godimento, tanto più che, oggi, il godimento è spesso scambiato per amore.

E ora capite anche perché all’amore si può accedere soltanto a partire dalla frustrazione dei bisogni – da una rinuncia pulsionale, da una rinuncia di godimento – e quindi solo dal desiderio che si è in grado di causare nell’amato, o nell’amata.

Siamo ora al punto in cui nel trittico bisogno-domanda-desiderio, al termine amore possiamo sostituire quello di godimento: godimento-domanda-desiderio.

Ritorniamo alla madre, anche a costo di ripeterci. Come abbiamo visto, ella frustra il bisogno, privandolo del suo oggetto particolare (per esempio il latte), ma glielo restituisce sotto forma di desiderio. In questo senso, dice Lacan, il desiderio è il bisogno che ritorna alienato, cioè dall’Altro, dopo che questi lo ha frustrato.

Desiderio di cosa? Non più dell’oggetto particolare del bisogno - che rimane irrimediabilmente perduto - ma della presenza/assenza della madre, alla quale il bambino non chiederà più l’oggetto particolare dl bisogno, ma quella che Lacan chiama la prova d’amore. Vale a dire che il buon latte perde ora la caratteristica di essere l’oggetto particolare del bisogno di nutrimento nel reale, per acquistare il significante di prova d’amore della madre. Da oggetto reale a oggetto simbolico. Il che significa che ora il bambino lo rifiuterà fino a lasciarsi morire di fame se, pur disponendone in abbondanza, non lo avvertirà come la prova d’amore, come prova della capacità della madre di saper donare la propria presenza, o anche la propria assenza, e non più l’oggetto del bisogno.  

Qui possiamo cercare la causa, per esempio, dell’anoressia: un nutrimento ridotto a mero oggetto di soddisfazione del bisogno, e non elevato a simbolo dell'amore materno, a prova d'amore, può essere solo rifiutato.

Il bambino perde l’oggetto particolare del bisogno, ma per ritrovarlo come oggetto particolare del desiderio. Si tratta di una perdita che permette un ritrovamento in altro modo. È così che il bambino può accedere al simbolico.


L’esperienza cruciale della cura psicoanalitica è esattamente questa: l’esperienza di una perdita che consente un ritrovamento, un ritrovamento che non potrebbe aversi senza quella perdita.


Questo vuol dire dunque Lacan quando dice che la frustrazione dei bisogni fa sì che questi ritornino alienati dal luogo dell’Altro. Ritornano come il pollone del desiderio: vi è un cambiamento ed una conservazione al tempo stesso.

Il modello freudiano di ciò che perdendosi ritorna in altro modo è la rimozione.

Ciò che si annulla sul piano del bisogno, come domanda condizionata dal bisogno, ritorna, si ritrova, come domanda incondizionata della prova d’amore.

Vale a dire che la domanda d’amore non è condizionata da alcun bisogno, neanche dal bisogno di vivere, e dunque, mentre i bisogni ne saranno ora l’incondizionale, il desiderio sarà condizione assoluta della domanda d’amore.


Vi è dunque una necessità che la particolarità così abolita riappaia al dilà della domanda. E vi appare infatti, ma conservando la struttura celata del carattere incondizionato della domanda d’amore. […]. All’incondizionato della domanda, il desiderio sostituisce la condizione «assoluta»: questa condizione, infatti, libera quanto la prova d’amore ha di ribelle alla soddisfazione di un bisogno[3].


Se, dal luogo dell’Altro, la madre può, sul registro del desiderio, donare al bambino l’unico oggetto di cui egli, su quello del bisogno, non si soddisfa, vale a dire se stessa, negando o concedendo la propria presenza, allora ella assume, di conseguenza, come la definisce Lacan, quel potere, quella oscura autorità, in virtù della quale il suo detto, il suo primo detto che - sottolinea Lacan - legifera e aforizza, avrà il potere di introdurre il bambino alla Verità, ma una Verità ora collegata alla Parola  e non più alla Realtà[4], conferendogli, al tempo stesso, quel tratto unario - per questo la sua autorità può essere solo oscura, in quanto dell’Uno[5] - che serve a coprire la divisione soggettiva, dal momento che, in tal modo, lo avvia all’identificazione all’ideale dell’io:


Dunque, la Verità trae garanzia non dalla Realtà che concerne ma da altrove: dalla Parola. Così come è da questa che riceve quel marchio che la istituisce in una struttura di finzione.

Il primo detto decreta, legifera, aforizza, è oracolo; esso conferisce all’altro reale la sua oscura autorità.

Basta che prendiamo un significante come insegna di questa onnipotenza, cioè di questo potere tutto in potenza, di questa nascita della possibilità, perché abbiate il tratto unario che, colmando l’invisibile marchio che il soggetto riceve dal significante, aliena questo soggetto nella prima identificazione, quella che forma l’ideale dell’io. [6]


Il luogo dell’Altro diventa dunque il luogo in cui il soggetto gli conferisce il potere assoluto e tutta la sua onnipotenza: nel rapporto primario madre-bambino, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, l’onnipotenza che serve sta tutta dal lato dell’Altro, della madre, e non da quello del bambino. 


Il Significante


Quella di significante è una nozione fondamentale per Lacan dal momento che, come abbiamo visto, il soggetto è l’effetto dell’azione del significante, e di conseguenza, come dice Lacan, "il significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante".

Possiamo sintetizzare gli effetti dell’azione del significante sul soggetto attraverso i seguenti punti:

  1. La divisione soggettiva, che va considerata come una divisione discontinua, e corrispondente alla Negazione (Verneinung) di Freud: un soggetto - come abbiamo visto - si può definire solo a partire da ciò che non è, si può affermare solo a partire da una negazione, ci si può costituire come soggetti solo a partire da una divisione radicale;
  2. Se il significante è ciò che rappresenta Il soggetto per un altro significante, ne consegue che il soggetto è sempre dipendente dall’altro, suo simile;
  3. Il soggetto non si conosce se non attraverso il significante che lo rappresenta;
  4. Il soggetto è alienato non solo nell’immagine speculare in cui si identifica, ma anche nel significante che lo rappresenta;
  5. Il soggetto si coglie - anzi si sorprende - “nella sua ineffabile e stupida esistenza”[7] (Lacan) solo nella interruzione, nel taglio, nella coupure, della catena significante, nella interruzione della sfilata dei soliti significanti.
  6. Il soggetto, per questo, possiamo dire, è sempre almeno tra due significanti, è dunque un soggetto intermedio. Ecco come a proposito si esprime Lacan:


Perché la nostra caccia non sia vana, vana per noi analisti, bisogna ricondurre tutto alla funzione di taglio, di coupure, nel discorso, e la più forte è quella che fa da barra fra il significante e il significato. È qui che si sorprende il soggetto che ci interessa perché, annodandosi nella significazione, eccolo posto all’insegna del preconscio. Col che si arriverebbe al paradosso di concepire che il discorso nella seduta analitica non vale se non in quanto esso inciampa o persino si interrompe […][8].



E dopo un po’ aggiunge:



Solo questo taglio della catena significante verifica la struttura del soggetto come discontinuità nel reale. Se la linguistica propone che si veda nel significante il determinante del significato, l’analisi rivela la verità di questo rapporto col fare dei buchi del senso i determinanti del discorso.[9]



È proprio a questo punto che Lacan chiarisce, ancora una volta, la famosa e controversa frase di Freud: Wo Es war, soll Ich werden che traduce così: dove Es era, il soggetto deve avvenire, intendendo che il soggetto può arrivare ad essere solo a partire da un taglio, il taglio che, abolendo il dove un istante prima era in quanto Es, può ora venire ad essere in quanto un Io, in quanto cioè soggetto: “Io posso venire all’essere con lo sparire del mio detto.”[10]


Il desiderio


Tutto quello di cui abbiamo detto finora, ciò di cui si tratta quando parliamo di soggetto, di significante e di desiderio e di come in psicoanalisi[11] - soprattutto nella psicoanalisi lacaniana[12] - entrano in rapporto tra di loro, lo ritroviamo nel famoso Grafo del desiderio, attraverso il quale Lacan ci mostra infatti come si articola l’esperienza umana della soggettività, come si costituisce il soggetto umano, come i bisogni si alienano nel desiderio per effetto della domanda, e quindi cosa succede tra il soggetto e l’Altro sul piano dei tre registri del reale, dell’immaginario, del simbolico, ma anche in che modo la linguistica entra in relazione con la psicoanalisi.

Lacan si serve della teoria del grafo perché, in quanto figura topologica, permette di rendersi conto, quasi a colpo d’occhio, di ciò che avrebbe bisogno di molte parole per essere descritto, dal momento che il grafo raffigura percorsi di congiunzione e di direzioni tra gli elementi considerati.

Nondimeno il grafo del desiderio, oltre che descrivere come si articola la soggettività umana, la sua struttura, ci dice anche come funziona la pratica analitica, permettendo all’analista di rendersi conto del luogo da cui egli, in un dato momento, sta operando.

Possiamo dire perciò che il grafo permette di comprendere la struttura della psicoanalisi in quanto prassi. In questo senso possiamo considerare il grafo del desiderio una sorta di mappa etica¸ tanto dell’esperienza umana, quanto dell’esperienza psicoanalitica.

Per comprendere il grafo nella sua articolazione completa (Figura 4) bisogna partire da quella che Lacan indica come la cellula elementare del grafo, vale a dire dal grafo II (Figura 2), in quanto - proprio come avviene per le cellule vere e proprie - non solo ne rappresenta l’architrave fondamentale, ma anche la sua origine.           

La cellula elementare è quella del livello dei bisogni che, come vediamo, possono soddisfarsi solo se l’Altro (A) occupa, sul piano simbolico, il luogo di dominio A, in modo tale da stabilire, sul piano immaginario, una relazione di padronanza con l’io (moi) del soggetto.

Questo vuol dire che esiste una relazione tra il livello dei bisogni, cioè lo stato di necessità, e la relazione immaginaria, la quale però, come si vede, può sussistere solo nella misura in cui è supportata da una cornice simbolica i cui vertici sono quelli che si vedono nella figura, e cioè: $ (il soggetto diviso, barrato, da cui parte la domanda), A (l’Altro destinatario della domanda), s (A) (il significante dell’Altro che si produce) e I (A) (l’identificazione conclusiva con l’Altro).

In questo schema è possibile rendersi conto della struttura della domanda del bisogno e della relazione immaginaria, non solo nell’esperienza umana, ma anche in quelle pratiche terapeutiche che operano sotto suggestione e che per questo sono dell’ordine delle psicoterapie: il soggetto si rivolge all’Altro riconoscendolo in posizione di “padrone”, con un effetto di significazione dell’Altro, s(A), che va a concludersi con l’identificazione con esso I(A).

Nella misura in cui riconosciamo all’Altro cui ci rivolgiamo la posizione di “padrone” - vale a dire di grande Altro (come lo designa Lacan) - l’effetto di significazione dell’Altro che si produce è sempre quello della identificazione con esso, in quanto ritenuto l’Io ideale, cioè l’Uno, che costituisce quello che Lacan definisce il “tratto unario”, vale a dire ciò che va a colmare il marchio lasciato dalla divisione soggettiva.

Ora, finché le cose girano in questo modo, finché l’Altro risponde assumendo su di sé la funzione di dominio che il soggetto gli attribuisce, vale a dire, finché risponde da una posizione di padronanza, eserciterà sempre un’azione di suggestione sul soggetto con l’effetto di una significazione idealizzante verso sé stesso.

Quest'azione di padronanza si produce come effetto del “privilegio” che il grande Altro si assume in quanto colui che risponde al bisogno del soggetto per soddisfarlo: si tratta dunque del fatto che egli opera sul piano del soddisfacimento del bisogno.

 E infatti, è qui, a questo livello, che la madre può assicurare al proprio bambino il primo accudimento, di fatto assumendo il “privilegio” di soddisfare i suoi bisogni poiché gli dà quello che ella ha (il buon latte). Ma questo è anche il livello delle psicoterapie in cui il terapeuta parimenti dà al suo paziente quello che ha (il Sapere). È quello che succede quando lo psicoanalista si identifica con il Sapere che il paziente gli suppone.

Un bambino deve diventare un soggetto, per questo non può permanere per sempre nel regime dei bisogni: la madre li frustrerà attraverso la domanda, poiché ella non vi risponderà più dando al bambino l’oggetto particolare del bisogno, ma gli domanderà cosa vuole, mettendolo in questo modo di fronte, non più al bisogno, ma ad un desiderio.

Se infatti, invece di sodisfare il bisogno che la madre ritiene di aver compreso (“so io di cosa ha bisogno mio figlio”), lo interpella domandandogli: “cosa vuoi?”, sta di fatto riconoscendogli un desiderio, sta riconoscendolo soggetto di desiderio e non più di bisogno, lo sta portando, attraverso la domanda, dal registro passivo dei bisogni a quello attivo del desiderio: bisogno-domanda-desiderio.

 La domanda, dunque, è la funzione chiave del desiderio, è la chiave che apre la porta al cammino da compiere per diventare un soggetto, un soggetto di desiderio, un  soggetto, anzi, che coincide con il proprio desiderio, e non più con i propri bisogni, grazie alla loro frustrazione ad opera della domanda: “il desiderio si abbozza nel margine in cui la domanda si strappa dal bisogno”.[13]

Il desiderio nasce dunque come effetto strutturale della domanda sul bisogno, ragion per cui, come ellitticamente fa notare Lacan, “il desiderio è articolato per questo non è articolabile” [14],  per dire che, dal momento che il desiderio, benché determinato dalla domanda, dalla domanda non potrà più essere riacciuffato perché si colloca, vale la pena ripeterlo, sempre nel campo dell’al dilà della domanda.

Ora, se è determinato dalla domanda dell’Altro, allora il desiderio umano è il desiderio dell’Altro, dove il “del”, come chiarisce Lacan, va inteso in senso genitivo[15], il che vuol dire che il desiderio si articola sempre nel luogo dell’Altro.

Per questo la psicoanalisi è una cura che include, implica, sottintende sempre che si svolga nel luogo dell’Altro, per questo non è possibile analizzarsi da soli, per questo, se il desiderio umano è il desiderio dell’Altro, per questo è impossibile conoscere del tutto il proprio desiderio e per questo, infine, che esso ci sfugge continuamente al punto che dire “io desidero” è assume piuttosto il carattere della finzione.

Se non possiamo mai arrivare a sapere cosa veramente desideriamo, nondimeno abbiamo bisogno di causare il desiderio nell’Altro, quanto che l’Altro ci riconosca come desideranti, come cioè soggetti di desiderio. Per questo Il desiderio è la struttura che costituisce la nostra soggettività, una struttura di mancanza che sta alla base del legame sociale e dello scambio simbolico tra le persone: il desiderio è cura, è linfa, è vita, è la matrice stessa dell’amore. La vita umana non sarebbe possibile senza il desiderio. 


Se invece il bisogno non riceve la sua frustrazione ad opera della domanda proveniente dall’Altro, vale a dire se l'Altro risponde alla domanda del bisogno piuttosto che frustrarla, continuerà, in funzione di padrone, a dominare sull’asse immaginario i(a)-moi, che assumerà la prevalenza del funzionamento soggettivo, nella parte bassa del grafo.

L'Altro non si costituirà dunque nella sua finzione terza, facendo così mancare l'azione di punteggiatura, di taglio, di capitonaggio della ripetizione infinita dei soliti significanti, con l’effetto di prodursi quella circolazione infinita della domanda, che Lacan chiama il cerchio infernale della domanda, un giro senza via di uscita, poiché l’Altro, decaduto dal luogo del simbolico (A), non potrà più più incarnare quel potere discrezionale di ascoltatore, di cui parla Lacan e in virtù del quale potrà, come abbiamo detto, punteggiare il discorso del soggetto, dandovi la sua battuta d’arresto, perché è sempre colui che ascolta, non colui che parla, che stabilisce la punteggiatura al discorso del soggetto.

In questa prima raffigurazione del grafo, A possiede dunque il potere di comandare e di decidere sulla direzione della significazione: se mantiene l’apertura sul livello dei bisogni favorirà la suggestione immaginaria e il giro senza uscita della domanda, lo slittamento metonimico senza fine della significazione dell'Altro o, al contrario, le identificazioni "solide" all'Uno dell'Ideale dell'Io, vale a dire la fissazione del soggetto al suo tratto unario, se invece chiuderà la porta del bisogno per aprire quella del desiderio, allora potrà far pervenire al soggetto il suo messaggio e dunque l’accesso al simbolico.

Per questo, per Lacan, il luogo dell’Altro è il luogo del tesoro dei significanti, vale a dire il luogo da cui l’Altro emette il messaggio, punteggia il discorso che si produce in s(A), fornisce i significanti di cui dispone, e di conseguenza anche il luogo da cui opera lo psicoanalista, il luogo dove si producono l’inconscio, il sintomo e anche la domanda d’analisi. È questo il luogo da cui si origina il discorso dell’isterica.


Il fantasma


Ritorniamo al desiderio, per seguirne la via che Lacan ci mostra nel grafo 3.

Vediamo che il desiderio non segue la via dell’asse immaginario, della ripetizione infinita, dello slittamento metonimico della significazione, o delle identificazioni pietrificate, ma si incammina verso altro e verso l’alto, verso il nuovo, verso la metafora, verso il simbolico, per terminare, come vediamo dalla figura, nel fantasma.

Se, come abbiamo visto, il desiderio è l’effetto strutturale della domanda sul bisogno, che è effetto di perdita, allora - come dice Lacan - il desiderio è la metonimia della mancanza ed è esso stesso metonimico, ma, a differenza del bisogno che, anche se nell’apparente veste del nuovo, si sposta sempre verso l’uguale, verso il medesimo, , il desiderio cerca sempre altro, cerca e produce sempre l’inedito.

Ora, se il soggetto è dunque soggetto di desiderio, vale a dire, come abbiamo visto, soggetto mancante-ad-essere poiché il desiderio è struttura di mancanza, è la metonimia della mancanza,  allora dobbiamo evidentemente porci la questione: come fa il soggetto a sostenersi su una struttura di mancanza quale è il desiderio, su questo abisso di cui non sa nulla e che per giunta si articola nel luogo dell’Altro?

Lacan ci dimostra che il soggetto si sostiene nel proprio desiderio attraverso il Fantasma, attraverso il fantasma fondamentale, anzi - precisa Lacan - attraverso l'uso fondamentale che il soggetto fa del proprio fantasma, volendo intendere che il modo attraverso cui ci serviamo del nostro fantasma prevale sulla struttura e sui contenuti che lo costituiscono.

Nel grafo 3 (figura 3), che non a caso ha la forma di un punto interrogativo, potete notare, in alto a destra, che Lacan colloca il desiderio (indicandolo con la lettera d minuscola) in posizione intermedio tra le due linee che designano rispettivamente il soggetto e l’Altro nella loro reciproca relazione di domanda (che vuoi?). Possiamo inoltre notare che le due linee prendono il loro avvio dal luogo dell’Altro (A), il luogo in cui si articola il desiderio. Il desiderio è dunque intermedio tra il soggetto e l’Altro.

Sempre nel grafo vediamo che le due linee vanno a congiungersi, a terminare in una formula:

In questa formula, che è precisamente la formula del fantasma, nel fantasma dunque, il Soggetto, ormai barrato, cerca (desidera) il proprio oggetto. Ecco perché è il fantasma che sostiene il soggetto nel proprio desiderio, perché è solo in esso che il soggetto lo ritrova.

Solo nel fantasma, non nella realtà. Come del resto aveva capito anche Freud quando ci dice che il sogno è l’appagamento allucinatorio del desiderio, dove appagamento allucinatorio significa appunto appagamento fantasmatico. E infatti, quando nel sogno si sta per raggiungere il nocciole, il reale del desiderio, ecco che il soggetto si sveglia, perché il desiderio è come se presentasse due facce, una immaginaria, l’altra reale, e il reale del desiderio non entra nel sogno, non può entrarvi.

Il fantasma è dunque collocato, nel grafo, in alto a sinistra, a conclusione del giro ad uncino della domanda, a mo’ di chiusura, di tappo, in funzione di annodamento, delle due linee, tra le quali corre il desiderio in relazione alla domanda.

Per poter comprendere, in psicoanalisi, oltre che la nozione di fantasma, anche perché Lacan lo colloca, nel grafo, a chiusura delle due linee della domanda, e cioè perché, per Lacan, è il fantasma che sostiene il soggetto nel proprio desiderio ,e perché ne articola la formula in quel modo (il Soggetto barrato che insiste su a piccolo attraverso il punzone) dobbiamo fare un passo indietro e riprendere il passaggio dove abbiamo detto che il desiderio è quell’effetto strutturale della domanda sul bisogno, che è effetto di mancanza.

Dunque, se il desiderio è struttura di mancanza è perché il soggetto, per costituirsi come desiderante, anzi come desiderio, ha perso qualcosa, ha perso l’oggetto particolare del bisogno.

Il che vuol dire che il soggetto, per poter guadagnare lo statuto di soggetto di desiderio deve perdere l’oggetto particolare del bisogno.

Di conseguenza, l’oggetto del bisogno, in quanto perduto per sempre, resta ormai alle spalle del soggetto assumendo la funzione di oggetto causa del desiderio.

Il fantasma può essere allora visto come il tentativo di rimediare alla perdita dell’oggetto, restaurandolo come oggetto del soddisfacimento, e dunque riposizionandolo dalle spalle di nuovo di di fronte al soggetto, da oggetto causa del desiderio a oggetto del suo soddisfacimento, da oggetto perduto a oggetto ritrovato:

 Nel fantasma, l’oggetto causa diventa dunque, illusoriamente, nuovamente oggetto di soddisfacimento del desiderio, ma solo nel fantasma, in quanto, nella realtà, l'oggetto, esattamente come si dilegua un miraggio, scompare come oggetto di soddisfacimento per riassumere la funzione di oggetto causa, ed è per questo che il desiderio assume il carattere dell'evanescenza: perché gli viene continuamente sottratto il suo oggetto.

È grazie a questa manovra di spostamento dell’oggetto che il fantasma può fare da supporto al soggetto nel suo desiderio:


Diciamo che il fantasma, nel suo uso fondamentale[16], è ciò grazie a cui il soggetto si regge a livello del proprio desiderio evanescente, evanescente perché la stessa soddisfazione della domanda gli sottrae il suo oggetto.[17]


Il fantasma così articolato può allora assumere anche la funzione che permette al soggetto di immaginare come l’Altro lo suppone: il fantasma è ciò che supporta il soggetto sia come desiderante che come desiderato, ma è anche il modo attraverso cui il soggetto ritiene di poter entrare in relazione con l’Altro, in quanto riconosciuto come mancante. Per questo, nel grafo, Lacan colloca il fantasma tra il Soggetto mancante e la significazione dell'Altro, sulla quale il fantasma esercita la sua azione di interferenza: il fantasma interferisce con il significato dell’Atro, e del mondo attraverso cui il soggetto vive, per cui, tra gli umani, non è possibile alcuna relazione diretta con il mondo se non quella mediata dal fantasma.

In conclusione, la formula del fantasma si può tradurre con la seguente affermazione: il Soggetto desidera l’altro, dunque il rapporto del soggetto con l’altro e con il mondo in cui vive è un rapporto di desiderio tramite il fantasma, tramite l’uso fondamentale che il soggetto fa del proprio fantasma.

L’esperienza del soggetto in analisi è allora essenzialmente quella di poter essere condotto ad una relazione di desiderio con l’Altro, nuova, inedita, in quanto al di là del proprio fantasma.

[1]J. Lacan, La significazione del fallo, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino, 1966, pag. 687

[2] Ivi, pag. 688

[3] Ibid. 

[4] Appare dunque superata la formula filosofica della Verità in quanto adaequatio rei et intellectus, vale a dire in quanto «corrispondenza tra realtà ed intelletto», secondo Tommaso d'Aquino: non è alla realtà che si aggancia la Verità alla Prola, ma la Parola, per questo, siccome la parola mente, ecco che la Verità mente.

[5] Lacan definisce oscura questa autorità poiché si tratta di un Uno, di un Significante Padrone, di unS1 che non può avvalersi di un S2 che lo chiarisca, altrimenti non potrebbe più essere un Uno, vale a dire quel tratto unario da cui deriva l’autorità che il soggetto gli conferisce, e che serve a colmare l’invisibile marchio che il soggetto riceve dal significante, alienandolo nella prima identificazione, quella che forma l’Ideale dell’io, vale a dire per supporsi, attraverso di essa, anche lui un Uno come l’Uno dell’Altro I(A).

[6] J. Lacan, la sovversione del soggetto e la dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino, 1966, pag. 810. 

[7]. Lacan J., Una questione preliminare ad ogni possibile trattamento della psicosi in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino, 1966, pag. 545.

[8] Lacan J., la sovversione del soggetto e la dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, in Scritti, vol. II, Einaudi, Torino, 1966, pag. 803

[9] Ibid. 

[10] Ivi, pag. 804

[11] Più che capire cosa sia il desiderio”, possiamo forse capire di cosa si tratta quando parliamo di desiderio, dal momento che il desiderio ha la caratteristica della ineffabilità in quanto ciò che non entra nella parola, ciò di cui non si può dire. Non esiste una parola per definire il desiderio, e, dunque, per definirlo occorrerebbe una parola che non sia dell’ordine della parola, il che è impossibile.

[12] In effetti basterebbe in psicoanalisi in quanto il concetto di desiderio è quello, a prescindere da Lacan e dunque valido per ogni orientamento psicoanalitico. Questo vale anche per altri concetti richiamati da Lacan, avendoli egli solo messi in chiaro, e collocati al loro posto, ricordandone l’uso corretto che ogni psicoanalista che si richiami a Freud dovrebbe farne nella propria pratica.

[13] Ivi, pag. 816

[14] Ivi, pag. 807

[15] Ivi, pag. 817

[16] Per Lacan più che un fantasma fondamentale in ragione del testo che vi è iscritto, conta l’uso fondamentale che ne fa il soggetto.

[17] Lacan J. La direzione della cura e i principi del suo potere in Scritti, vol. II, Einaudi, pag. 633.

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