LA PROSPETTIVA DELLA PSICOANALISI
Contrariamente a quanto ancora -insistentemente- sostenuto dalla psichiatria 
medica, dalle teorie cognitiviste 
e dalle neuroscienze 
, non dovremmo mai dimenticare che le manifestazioni psicopatologiche degli esseri umani non sono per la psicoanalisi conseguenza di un cattivo funzionamento neuro cognitivo, di un deficit biologico o di un "guasto" di sistema, ma indice di quella divisione soggettiva 
che separa il sapere che un soggetto ritiene di avere su di sé dalla sua verità.
Per questo, possiamo dire che la psicoanalisi 
opera nel campo del vuoto di sapere 
, mentre tutte le altre terapie in quello della "riparazione" di funzioni.
E dunque, qual è la prospettiva della psicoanalisi come clinica?
Certo non quella di favorire integrazioni 
di funzioni a livello di un Io 
concepito come istanza da rafforzare sul piano di quell' efficientismo funzionale 
alle aspettative dell' Altro immaginario 
, né quella di provvedere all' aggiustamento 
di "errori" o di "guasti" nel "sistema basilare del Sé 
", come si dice, e neanche di provvedere alla " riparazione 
" soccorrevole di carenze affettive 
primarie, o di favorire armoniose integrazioni emozionali 
, che neanche sarebbe possibile.
Il fine ultimo della psicoanalis è piuttosto quello di restituire il soggetto alla radicalità appunto della sua divisione soggettiva tra il sapere 
che suppone di sé e la singolarità della sua verità soggettiva 
, "rivelandogli" che è proprio in questo scarto 
tra verità e sapere che egli può ritrovarsi come soggetto 
, e di conseguenza arrivare a costituire il suo discorso rivolto, non all'altro immaginario, all' altro di sé 
, ma  all' Altro della domanda 
, all'Altro del riconoscimento 
, all' Altro da sé 
.
In tale prospettiva ciò che muta non sono allora le funzioni dell'Io, ma le funzioni e l'uso che il soggetto può fare del suo sintomo 
, il quale, da essere all'inizio la via d'ingresso in analisi in quanto ciò che, nel reale 
, non funziona e fa "difetto", finisce per diventare, alla fine della stessa, l'unica cosa che invece funziona 
, in quanto strumento, utensile, di cui il soggetto, piuttosto che soffrirne -e goderne-  può servirsi, per ponteggiare 
, per bordare 
proprio lo scarto tra sapere e verità, scarto da cui trarre, piuttosto che sofferenza, quella spinta a vivere, a desiderare, ad amare, e che invece, le tecniche terapeutiche pensano di dovere saturare.
La fine dell'analisi è dunque la restituzione 
di un sintomo -di cui si credeva di doversene liberare- come risorsa 
, come qualcosa di cui poterne e saperne fare invece buon uso.














