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Cosa la psicoanalisi ha da dire sull’amore e sul sesso

Egidio T. Errico • apr 19, 2021

CONVERSAZIONI PSICOANALITICHE: WEBINAR  17/04/2021       

Cosa la psicoanalisi ha da dire sull’amore e sul sesso.

Oggi affronteremo un argomento che da sempre non smette d’essere al centro dell’interesse, anzi dell’apprensione, di tutti: parleremo infatti dell’amore, del sesso, ma anche dell’uomo, della donna, di cosa significa essere uomo, di cosa significa essere donna, di cosa significa il rapporto tra un uomo e una donna e perché, come sembra, si tratta di un rapporto che non sempre, anzi, quasi mai, possiamo dire, funzioni come ci aspetteremmo.
   La psicoanalisi può dir molto sull’amore e sul sesso perché i pazienti, che in analisi vengono per curarsi, quale che sia il sintomo che li affligge finiscono sempre per parlare di amore, di sesso, delle difficoltà che possono incontrare con l’Altro, in particolare con l’Altro dell’amore, con l’Altro amato. Parlar d’amore, infatti non si fa che questo nel discorso analitico, dice Lacan, aggiungendo: parlar d’amore è in sé un godimento[1]. L’analisi è dunque un non finir di parlar d’amore, evidentemente perché la salute mentale dipende soprattutto dalla possibilità di amare e di essere amati: "io sono qui perché non so amare e sento di non poter essere amato", mi diceva un analizzante, in analisi perché convinto della sua impossibilità di dare e ricevere amore.
   Del resto, non a caso, la psicoanalisi, come dice Lacan, è una erotologia, con ciò intendendo che al centro del suo interesse, e della sua pratica, vi è proprio l’amore, poiché il soggetto soffre nel suo desiderio, anzi il soggetto è il suo stesso desiderio e dunque la salute mentale non è, come si crede e come promettono molte terapie, una questione legata alla possibilità di ritrovare una felicità perduta, ma qualcosa che ha a che fare con la possibilità di desiderare, e dunque di amare e di essere amati.
    E infatti, l’amore di cui parliamo suppone, dal nostro punto di vista, quella particolare posizione del soggetto nei confronti dell’Altro che, con Sergio Benvenuto, potremmo definire di apertura erotica verso il mondo, vale a dire quella posizione senza la quale l’amore tra un uomo e una donna non sarebbe possibile, non sarebbe possibile il discorso d’amore, e cioè quel legame causato dal desiderio e complicato dalla sessualità, perché, come vedremo, la sessualità è in effetti l’inevitabile complicazione tra due persone che, desiderandosi, sentono di amarsi.
   Possiamo dire, infatti, che l’amore tra un uomo e una donna è quel particolare legame sociale messo in causa dal desiderio e complicato dalla sessualità, il che significa, per dirla in altri termini, che l’amore può finanche costituirsi come una gioiosa esperienza dell’essere verso se stesso e verso l’Altro, a patto che sappia sopravvivere all’urto ineludibile della sessualità - del reale del sesso - vale a dire alla spinta del godimento, che è il tentativo di fare Uno con l’Altro, il che, come vedremo, è impossibile. È impossibile fare di due un Uno: che due possano fondere i rispettivi godimenti in uno, è dell’ordine solo dell’immaginario, cioè è solo nel fantasma degli amanti.
 
È proprio in quanto, necessariamente, i partner restano due, che è completamente falso considerare questo «rapporto sessuale» come incluso in un eros, che sarebbe caratterizzato da non so quale appetito universale di fusione in uno (…) Se c'è qualcosa che non fa uno, è evidentemente la stretta sessuale.[2]
 
Desiderio e domanda d’amore.
   Non esiste amore che non sia causato e sostenuto dal desiderio. Un amore senza desiderio è un amore morto dice Lacan, il che significa che non è possibile amare se prima non si è soggetti di desiderio, se non ci si riconosce nel proprio desiderio. Cosa significa? Lacan dice che il desiderio è la metonimia della mancanza, che desiderare significa cioè essere mancanti, e dunque non si può desiderare se non si è disposti a riconoscere la propria mancanza, che ci manca sempre qualcosa, che siamo, come dice Lacan, soggetti mancanti-a-essere. Se non sappiamo renderci mancanti non possiamo amare, e dunque si può amare solo attraverso la propria castrazione.
   Capite allora perché, in un’epoca, come la nostra, sottomessa all’imperativo che bisogna avere tutto, che bisogna non essere mancanti di nulla, che si deve godere piuttosto che desiderare, sia tanto difficile amare, tanto difficile, ma anche tanto desiderato, poiché, come dicevamo, per l’essere umano è impossibile rinunciare all’amore senza soffrirne, dal momento che il godimento può dare la felicità dell’attimo, ma è solo il desiderio che condurrà ad un amore che duri nel tempo.
   L’essere umano, nelle questioni che lo riguardano, soprattutto in quanto essere sociale, in quanto soggetto - aperto cioè al rapporto con l’Altro - deve dunque riconoscere di essere afflitto da una mancanza fondamentale, una mancanza che deve saper coltivare, piuttosto che riempire con tutto ciò che può, con i gadget - come si dice - vale a dire con gli oggetti di consumo illusoriamente ritenuti oggetti del soddisfacimento del desiderio. Il desiderio che serve all’amore non è un desiderio che possa essere soddisfatto, ma, al contrario, deve essere continuamente causato, ed è l’amore stesso che  continuamente lo causa, poiché il desiderio è ciò che mette in causa il soggetto in quel discorso rivolto all’Altro che è l’amore.
 
L’analisi dimostra che nella sua essenza l’amore è narcisistico, e denuncia che la sostanza del preteso oggettuale - tutte ciance - è di fatto quel che, nel desiderio, è resto, cioè causa, e lo sostiene con la sua insoddisfazione, anzi con la sua impossibilità.[3]
 
  Ma perché l'essere umano si costituisce come tale solo nella sua mancanza radicale e perché questa va protetta e addirittura coltivata - mi viene da dire - come un giardino fiorito?
   Per effetto della parola dell’Altro, che ci raggiunge separandoci dal corpo della madre per introdurci nell'ordine sociale e nel linguaggio, siamo irrimediabilmente destinati a perdere qualcosa del legame originariamente narcisistico con la madre e, dunque, a essere radicalmente e strutturalmente mancanti. Per questo saremo, di conseguenza, alla continua ricerca di ciò che abbiamo perduto, di quell'oggetto prezioso originariamente condiviso tra noi e la madre, cui Lacan darà il nome di oggetto piccolo (a).
   Ora, il desiderio è proprio questa tensione di continua ricerca di ciò di cui ci sentiamo mancanti a causa della perdita originaria, è ciò che va alla ricerca dell’oggetto perduto per sempre e che mai più potrà essere ritrovato - per questo il desiderio è sempre insoddisfatto -, e dunque, il desiderio è struttura di mancanza, che, in quanto tale, sarà la base, anzi - come dice Lacan - la faglia da cui partirà la domanda d'amore.
   Senza desiderio non può esserci domanda d’amore e senza domanda d’amore nessun amore potrà mai essere possibile, perché l’amore è ciò che si domanda. Cosa si domanda? Niente altro che amore, l’amore non domanda che amore, amore in quanto segno di mancanza. Lacan dice che l’amore non domanda quello che l’Altro ha, ma il segno della sua mancanza. La domanda d’amore scaturisce quindi da una mancanza, ed è domanda di mancare all’Altro. Amare è donare la propria mancanza, amare è mancare l’Altro: ti manco? Mi manchi!
 
…l’amore domanda l’amore. Non cessa di domandarlo. Lo domanda… ancora. Ancora è il nome proprio della faglia da cui nell’Altro parte la domanda d’amore.[4]
 
   La domanda d’amore è una domanda infinita, e sono soprattutto le donne a fare dell’amore una domanda infinita: Ancora. Ancora scandisce anche le analisi di molte donne, analisi che infatti tendono all’infinito e che perciò dovrebbero far sì che la domanda d’amore trovi anche un suo limite, quando diventa un troppo, trovi un Basta in sostituzione dell’Ancora. Negli uomini, invece, è spesso il Basta e non l’Ancora che vorrebbe contrassegnare la loro domanda d’amore, per questo, contrariamente a molte analisi femminili, quelle degli uomini dovrebbero invece puntare all’apertura della domanda d’amore, a far accadere un Ancora, piuttosto che a chiudersi in un Basta

   Ora, se la domanda d’amore, da una parte, è resa possibile dalla parola che ci ha raggiunti e separati dal corpo incestuoso della madre, introducendoci nel linguaggio che ci imbriglia e fa “muro” poiché è soprattutto circolazione della parola tra i simili, dall’altra, essendo rivolta all’Altro che in quanto mancante si ritrova solo al di là del muro del linguaggio, incontra non l’Altro, ma il muro del linguaggio. L’amour incontra l’a-mur, dice Lacan, il che significa che l’amore incontra il linguaggio, non come modo per comunicare e intendersi, ma come struttura di separazione, poiché il linguaggio separa il soggetto dal corpo da cui proviene, cioè dal luogo del godimento incestuoso. L’esperienza dell’amore implica dunque sempre una separazione, anzi un tradimento, il tradimento dell’amore per il corpo materno, cui il narcisista invece vorrebbe mantenersi fedele. Il narcisismo è la vera fedeltà, assoluta, all’amore materno, laddove l’amore non narcisistico né è il tradimento, ne segnala la separazione.

   Per questo, quando ci innamoriamo vorremmo poter fare Uno con l’Altro, vale a dire, vorremmo evitare un tradimento e, anzi, ci illudiamo di ritrovare nell'Altro quello che abbiamo originariamente perduto per sempre, il legame con il corpo materno, che l'Altro però non può darci se non in "sostituzione", e dunque in maniera sempre insoddisfacente.
 
L’amore è impotente, benché reciproco, perché ignora di non essere altro che il desiderio di essere Uno, il che ci conduce all’impossibilità di stabilire la loro, “d’eux”, relazione: “d’eux” di chi? – loro due, due sessi.[5]

   In altre parole, noi ci innamoriamo dell'Altro quando, per qualche ragione (puramente immaginaria) e per come ci appare, pensiamo - immaginiamo appunto - che egli possegga proprio quello che abbiamo perduto, quello che non abbiamo più, quello di cui manchiamo: per questo possiamo dire che l'innamoramento avviene sempre lungo la via del narcisismo.
   Solo che, dopo questa iniziale illusione narcisistica, siamo destinati ad accorgerci, prima o poi, che anche l'Altro è a sua volta mancante, e proprio di quello che noi cerchiamo: lì dove pensiamo egli serbi per noi quello che a noi manca, il prezioso oggetto perduto, lì invece troviamo un... buco! Cosa che farà dire a Lacan che l'amore è dare quello che non si ha e che non esiste Altro dell'Altro.
  Questa scoperta mette a dura prova l'amore, perché apre all'esperienza della delusione: "ecco, non sei quello che mi aspettavo", "mi deludi", "non mi soddisfi veramente", "non mi capisci veramente" eccetera, tutte frasi che vogliono dire: "in fondo non mi dai quello che da te mi aspettavo e di cui ho bisogno". Frasi che sono dell'ordine dell'appello: le frasi che frequentemente si ripetono i partner dopo l'idillio iniziale della luna di miele dell'innamoramento.
   A questo punto, al punto della delusione, le vie possibili sono due: o quella di continuare a pretendere che l'Altro debba comunque darci quello che ci manca, costringendolo a soddisfare tutti i nostri desideri così come ce lo siamo aspettato: "devi cambiare!" (amore narcisistico), oppure, quella di innamorarci proprio del fatto che l'Altro è diverso da noi, ha altro di cui possiamo godere, di innamorarci cioè proprio del fatto che non può darci quello che vorremmo, di innamorarci della sua mancanza appunto, e di voler essere amati per la mancanza che anche noi offriamo al nostro partner, in quanto altro non abbiamo da dargli.
   Per Freud, però, non esiste amore che non sia narcisistico, come ci dice in Introduzione al narcisismo (1914). Freud è molto pessimista: non c’è speranza che esista amore non narcisistico, e dunque per Freud l’amore è sempre una ripetizione dell’amore narcisistico originariamente indirizzato alla propria madre. Non esistono, per Freud, amori nuovi, ma solo amori che sono riedizioni, fotocopie di amori precedenti. L’essere umano, in amore, è destinato, per Freud, a ripetere sempre lo stesso copione.
   Lacan, invece, nel Seminario XX, pur considerando ineludibile la posizione freudiana sulla natura fondamentalmente narcisistica dell’amore (nella sua essenza l’amore è narcisistico, dice), va oltre Freud, è più ottimista, ritenendo invece, in uno con il poeta Rimbaud, che siano possibili anche amori nuovi:
 
C’è un testo di Rimbaud che ho considerato l’anno scorso, che si chiama “A une raison”, ed è scandito da una replica che chiude ogni versetto: “Un nouvel amour.” (…) L’amore in questo testo è il segno, contrassegnato come tale, del fatto che si cambia ragione, ed è per questo che il poeta si rivolge a codesta ragione. Si cambia ragione, cioè si cambia discorso.[6]
 
   Amori nuovi in quanto cambiamenti del discorso, amori anti-narcisistici in quanto amori possibili e anzi, sarà proprio questo il fine di un’analisi: rendere possibile un amore emancipato dalla trappola del narcisismo, dalla trappola del fare Uno con l’Altro.
   Insomma, l'amore può darsi solo nella logica dell'essere e non in quella dell'avere, e dunque, se l'innamoramento non può che seguire la via del narcisismo, l'amore può continuare solo lungo quella della sua rinuncia.
   Del resto già Freud in Contributi alla psicologia della vita amorosa (1910 - 1917) e in Introduzione al Narcisismo (1914), si rese conto che l’essere umano non vuole perdere l’amore: l’amore lo mette in una condizione di dipendenza da una parte e di angoscia dell’abbandono dall’altra, per cui è per evitare la perdita, e solo per questo, che, dice Freud, siamo disposti finanche a rinunciare al nostro godimento, pur di non perdere la persona amata, facendo l’esempio, ormai fin troppo noto, del bambino che, intento a rubare la marmellata, venendo scoperto e rimproverato dalla mamma, rinuncerà a rubarla di nuovo per la paura di perdere il suo amore.
   È dunque anche lungo questa via che l’amore per la persona amata farà sì, come dice Lacan, che il godimento acconsenta al desiderio: solo l’amore può mettere il soggetto nella condizione di poter rinunciare ad un po’ del proprio godimento narcisistico pur di mantenere vivo il desiderio per la persona amata. È il desiderio, ancora una volta, a sostenere l’amore e a far sì che esso, in quanto segno, in quanto aperto all’infinito, possa tuttavia annodarsi anche al godimento che invece è corpo, è del corpo, è nel corpo e per questo chiuso e non aperto all’infinito.
 
Non c’è rapporto sessuale.
   Se l’amore, da una parte, è messo in causa dal desiderio, il che significa che si sostiene su una perdita, su una struttura vuota, dall’altra non sfugge alla presa del significante, poiché l’amore è reso possibile proprio dal fatto che la pulsione entra nella catena significante del discorso, e dunque tutto ciò che attiene al desiderio può concretizzarsi nell’amore soltanto sotto la legge della parola significante: il primo effetto della presa del linguaggio è che la sessualità umana passa dalla giurisdizione dell’istinto a quella del linguaggio, passa cioè sotto l’insegna del significante e di quella particolare attività dell’essere umano in quanto parlante, che Freud chiamò la libido, dove per libido si intende ciò che organizza le pulsioni, cioè la parte visibile, e dicibile, delle pulsioni.
   Per questo amore e sessualità non sono scritti, ma attengono all’ordine del detto: non sono dell’ordine del necessario, come l’istinto, ma dell’ordine della contingenza.
   È proprio l’effetto del significante sulla sessualità umana che, come vedremo, porterà Lacan alla famosa affermazione: non c’è rapporto sessuale, nel senso che nulla di ciò che attiene al sesso e all’amore, negli umani, è scritto da qualche parte.
   Pensate dunque al dramma di coloro che si amano: costruire il loro amore, stabilire un legame, da una parte su quella struttura vuota che è il desiderio e che l’amore stesso causa continuamente in termini di mancanza e, dall’altra, sull’assenza di una scrittura che li garantisca sul piano del desiderio e della sessualità, ma anche su un vuoto di sapere, perché l’amore è ciò di cui, per quanto se ne dica tanto, non se ne sa poi quasi nulla. Per questo l’amore non è altro che un discorso, il discorso d’amore, che gli amanti si illudono possa non cessare di scriversi, dopo che l’innamoramento li ha messi di fronte all’illusione che il rapporto sessuale, in quanto ciò che non cessa di non scriversi, abbia pure cessato di non scriversi nell’atto del loro incontro in quanto parlanti, e ciascuno recante - come dice Lacan - la traccia dell’esilio dell’altro dal rapporto sessuale, l’illusione cioè che il rapporto sessuale sia passato da un impossibile (ciò che non cessa di non scriversi) ad una contingenza (ciò che cessa di non scriversi), e che dunque possa finalmente tradursi in una necessità, in un per sempre (ciò che non cessa di scriversi)[7]. L’amore è dunque ciò che si costituisce intorno ad un buco che si sostiene su di un vuoto e che suppone un impossibile. Eppure, esiste e… insiste. (fig. 1)
Il godimento e i suoi effetti.
   Dunque, non c’è rapporto sessuale! Prima di tutto perché il rapporto sessuale, negli esseri umani, non è scritto nella biologia, non è scritto da nessuna parte, neanche nell’inconscio, semplicemente non c’è.
   Questo non significa che non ci siano atti sessuali: di atti sessuali ce ne sono eccome e di quanti se ne voglia, ma gli atti sessuali, pur consentendo uno scambio, una condivisione delle rispettive esperienze di godimento dei corpi, tuttavia non consentono che essi entrino in rapporto tra di loro, dando origine a un godimento comune. Il godimento di ciascuno resta il proprio per ognuno dei partner e ciascuno gode del proprio godimento uno, gode da solo: il godimento sessuale è sempre dell’Uno, essendo ciò che divide la coppia, e non ciò che la unisce, e dunque c’è dell’Uno, come dice Lacan, ma non c’è rapporto sessuale. Ritenere allora che in due, o in tre, o in gruppo si acceda a godimenti diversi rispetto al godimento dell’uno, al godimento autoerotico, è solo del fantasma, è solo dell’ordine dell’immaginario del soggetto e non del reale del godimento.
   Il nostro compito di analisti è di aiutare il soggetto, uomo o donna che sia, a sostenersi nell’amore anche se non c’è rapporto sessuale, vale a dire a sopportare il fatto che, per quanto coinvolto in un discorso d’amore, ci saranno sempre dei momenti in cui egli si ritroverà solo, Uno tutto solo nel godimento del proprio corpo, a letto col proprio partner, come in tante altre occasioni della vita di coppia.
   Quindi, tra gli esseri umani, tra un uomo e una donna, ci può essere relazione d’amore, ci può essere relazione di desiderio, ma non può esserci relazione di godimento. Se non c’è rapporto sessuale, c’è però l’amore: l’amore è l’invenzione degli esseri parlanti per supplire alla mancanza di rapporto sessuale.
 
La castrazione e il fallo simbolico.
   Un’ulteriore complicazione della vita sessuale e del rapporto tra i sessi deriva dal fatto che per effetto della castrazione perdiamo la condizione privilegiata ed esclusiva di essere il fallo immaginario della madre, per entrare in quell’ordine simbolico che è l’ordine del legame sociale e del linguaggio condiviso, e nel quale possiamo essere riconosciuti come soggetti di diritti e di parola.
   Se infatti, per effetto della castrazione, perdiamo il “privilegio” di essere il fallo immaginario, riceviamo come contropartita, ad opera della funzione paterna, il fallo simbolico, vale a dire l’accesso a quel Significante grazie al quale, tanto l’uomo che la donna, possono orientarsi sia nel proprio modo di costituirsi come soggetti nell’ordine sociale, sia come disporsi sul lato sessuale. Ora, il punto è che il Fallo è un significante unico, tanto per l’uomo quanto per la donna, e dunque, anche per questo, non può esservi rapporto tra i sessi, poiché tra due Uno non vi può essere rapporto.
   Il Fallo simbolico è dunque un organizzatore logico che funziona sia come significante del desiderio, sia come significante del godimento, sia anche come insegna, un’insegna che indica al soggetto, uomo o donna che sia, che da qualche parte qualcosa manca: da qualche parte, dove mi aspetto che ci sia un… fallo, lì proprio scopro la sua mancanza, lì mi accorgo che non c’è quello che mi aspetto.
   Per l’uomo la donna non ha quello che cerca, il fallo, perché, non avendolo ella lo è, ma anche la donna non trova nell’uomo quello che cerca, e cioè non trova che l’uomo è quello che ella vorrebbe che egli sia, il fallo, perché l’uomo, per poterlo avere, non può esserlo.
 
La sessuazione.
   Quello che avviene nel nostro corpo, il modo attraverso cui noi lo viviamo, il modo attraverso cui lo abitiamo, il modo attraverso cui ce ne serviamo, ecc., non sono effetti della sua biologia, né dell’istinto, ma effetti della pulsione. È la pulsione che assume una centralità nel fatto che noi facciamo del nostro organismo un corpo. La pulsione non ha niente a che vedere con l’istinto perché, anche se è un effetto di corpo, non è, come l’istinto, scritta nel codice genetico, in quanto essa è, piuttosto, il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo, più precisamente - farà notare Lacan - dalle zone di confine esterno/interno del corpo, come gli orifizi corporei. Dal bordo degli orifizi del corpo si originano gli stimoli che pervengono alla psiche e che Freud chiamò pulsioni, stimoli sollecitati dalle cure e dalle manipolazioni materne mediate dalla parola e che costituiscono nel loro insieme l’atto della seduzione materna (teoria dell’appoggio: gli stimoli somatici che esprimono i bisogni fondamentali del bambino costituiscono i punti di appoggio della seduzione materna, per cui sono inevitabilmente erotizzati). Per questo, possiamo dire che la pulsione è ciò che ci dice che il corpo è sempre un corpo erotizzato, un corpo che oltre che essere un corpo parlante è anche un corpo godente. A che cosa serve un corpo? - chiesero a Lacan - a niente altro che a godere! – rispose. La pulsione, quindi, è la misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea, di conseguenza, le pulsioni costituiscono quell’apparato, quell’architrave che permette anche che la parola sia un effetto di corpo. Di conseguenza, il nostro corpo non è un corpo in quanto organismo, ma un corpo in quanto vi si incorpora il significante, cosa che permetterà a Lacan di definire il soggetto umano un parlessere, proprio perché è attraverso il corpo che egli parla. Il che significa che, se il corpo non può entrare nell’amore, nel discorso amoroso, in quanto il linguaggio di cui l’amore si serve è, come abbiamo visto, struttura di separazione - infatti l’amore incontra l’ a-mur, il muro del linguaggio -, è l’amore che, grazie alla pulsione, entra in un corpo, vi si incorpora, facendo di un corpo un corpo che sa parlar d’amore. L’amore implica, dunque, il corpo, e infatti, se la domanda dell’amore, come abbiamo visto, si reitera continuamente, è ancora, Lacan giocherà sull’assonanza tra encore ed en-corps[1] . L’amore si incarna ed è sempre per un nome incarnato in un corpo.
   La pulsione gioca allora un ruolo fondamentale in questa incarnazione dell’amore che si incorpora, ma lo gioca anche nel modo attraverso cui un soggetto disporrà il proprio corpo sul piano della identità sessuale, a prescindere dalla sua anatomia, vale a dire che gioca un ruolo fondamentale anche nel processo della sessuazione, che non è un destino dell’anatomia.
   Naturalmente tutti abbiamo un codice genetico che organizza il nostro corpo come organismo e tante cose del nostro corpo sono scritte nel codice genetico, e dunque anche la differenza anatomica tra un uomo e una donna è scritta nel codice genetico e nei cromosomi, e sappiamo cosa succede se c’è un disordine a quel livello, però la differenza anatomica tra un uomo e una donna non ha nulla a che vedere con quella che sarà poi la loro sessualità. Vale a dire: la sessuazione, cioè il modo attraverso cui un soggetto, maschio o femmina che sia dal punto di vista anatomico, si disporrà poi in maniera tale da riconoscersi come uomo o come donna, non è un destino obbligato dell’anatomia, tanto è vero che, come sappiamo dalla clinica, esistono soggetti di sesso biologico maschile che, disponendosi però sul piano della loro sessuazione dal lato femminile, si riconosceranno, non come uomini, ma come donne, e viceversa, al punto tale che molti desiderano che anche i rispettivi corpi si adeguino alla loro sessuazione.
   Quindi, come vedete, è il corpo che viene sollecitato - anche grazie alla chirurgia - a seguire la sessuazione, non viceversa.
   È chiaro che però, nella maggior parte dei casi, sapendo che un bambino è di sesso femminile e un altro è di sesso maschile, i genitori li orienteranno naturalmente: le femminucce verso una sessuazione femminile e i maschietti verso una sessuazione maschile.
   Se dunque il sesso anatomico, in quanto biologico, è scritto nel codice genetico, la sessuazione, vale a dire la disposizione dal lato maschile o da quello femminile indipendentemente dal sesso biologico, in quanto effetto dell’iscrizione nel corpo del significante ad opera del linguaggio - ad opera cioè di come il genitore indicherà al bambino di disporsi - non è scritta nella biologia del soggetto; di conseguenza, anche la sessualità umana - che della sessuazione e non della biologia è un effetto -   non è scritta nel codice genetico, anzi, non è scritta neanche nell’inconscio, non è scritta da nessuna parte, per cui non esiste di per sé, non c’è: la sessualità umana è un’attività inventata dagli essere umani a seconda della loro disposizione da una parte o dall’altra della sessuazione, e regolata da quello che, come vedremo, in psicoanalisi è chiamato il fantasma, vale a dire, quell’articolazione pulsionale che fonda il modo attraverso cui il soggetto collega il proprio desiderio a come egli suppone che l’Altro vorrebbe che egli sia.
   Per inciso, dobbiamo tener presente un assioma fondamentale in psicoanalisi, un assioma che dovrebbe valere anche per chi segue altri orientamenti, e cioè che nell’essere umano non esiste mai un rapporto diretto tra il soggetto e l’Altro, tra il soggetto e il mondo in cui vive, e quindi non esiste mai neanche un rapporto diretto tra i genitori e il figlio, essendo, anche il discorso educativo, mediato dal fantasma, per cui un figlio sarà, il più delle volte, l’incarnazione del fantasma genitoriale.
   Se la sessuazione non è un destino dell’anatomia, è però un effetto di quello che Lacan definisce la significazione del Fallo in quanto è in rapporto al Fallo che ci si dispone o dal lato maschile o da quello femminile, laddove il soggetto, uomo o donna che sia, vale a dire, comunque si disponga nella propria sessuazione, in quanto soggetto può essere tale solo sotto l’insegna del Fallo.
   Lacan sintetizza la differente sessuazione in uno schema: come è suo solito mette in formula quello che non si può scrivere (Fig. 2).


   Il soggetto è questo perché il soggetto è diviso dal linguaggio. Lacan chiama isterizzazione la divisione del soggetto: l’isterica è infatti proprio la barra che divide il soggetto, che presume un sapere su di sé e che si colloca sopra la barra, dall' altro soggetto, quello che non sa di sapere, cioè il soggetto dell’inconscio poiché l’inconscio è quel sapere che non si sa di sapere, e che si colloca sotto la barra. 
   Ora, sia l’uomo che la donna sono soggetti poiché entrambi sono raggiunti dal linguaggio, parlano la stessa lingua, pur senza capirsi, e sono entrambi effetto della castrazione, cioè della separazione, e quindi entrambi tendono a collocarsi - dice Lacan - sotto l’insegna del Fallo, in quanto l’organizzatore del soggetto nella collettività è il Fallo.
   Per comprendere l’ordine fallico bisogna prendere in considerazione la teoria di Frege sugli insiemi. Frege ci dice che, per costituirsi, una comunità deve essere fatta da individui simili, accomunati da una stessa caratteristica (Ɐ x) tranne uno (Ǝ x). Ci deve essere l’eccezione: questo è il totem, il tabù di Freud, l’orda freudiana è fatta da soggetti che sono tutti castrati tranne uno, il padre, che non lo è.
   Perché ci sia una classe, una comunità, una categoria di individui, occorre che si riconoscano sotto uno stesso significante: gli uomini sono tali perché si costituiscono come classe, classe di individui che si riuniscono sotto l’insegna del significante fallico. 
   Sia ben chiaro, anche le donne però, poiché anche le donne sono soggetti, quindi anche le donne, in quanto soggetti, rientrano sotto l’insegna del Fallo (Φ x): anche loro entrano a far parte di quell’insieme di tutti (Ɐ x) tranne uno, dove l’uno che fa eccezione (Ǝ x) è il padre, il padre simbolico, in quanto l’unico a non essere castrato.
    Lacan designa l’eccezione paterna con la formula Ǝ x: una comunità di insiemi simili deve avere un’eccezione altrimenti non reggerebbe, e qui l’eccezione è il padre in quanto il solo a non essere castrato, dunque il significante fallico. Sotto l’eccezione Ǝ x, che si pone al di fuori della castrazione (a fianco, infatti, vi è Φ x con la barra della negazione sopra per indicare che manca del significante della castrazione) vi è  x per indicare che tutti gli altri sono invece castrati (a fianco vediamo infatti Φ x senza la barra della negazione).
   Nel riquadro sinistro, ritroviamo l’assetto sociale costituito dall’insieme dei soggetti, uomini e donne, accomunati dal fatto che si riconoscono nell’ordine fallico (Φ x), nella struttura sociale di appartenenza. L’uomo fa il suo lavoro, le donne fanno il loro lavoro; il matrimonio, la ripartizione dei ruoli e anche le pari opportunità e tutte queste belle cose stanno qui, in questo riquadro, qui vi acquistano senso e qui, sia gli uomini che le donne, possono sentirsi normali e al loro posto: tutto ciò che rientra nel quadro sinistro, sotto l’egida del significante fallico, è ciò che viene avvertito come normale: il significante fallico dà anche il senso che tutto è a posto, permette di sentirsi a posto, di sentirsi in ordine, di sentirsi normali. Questa è la significazione maschile per eccellenza.
   Come vedete, nel riquadro di sinistra vi sono il Soggetto barrato (Ꞩ) e il Fallo (Φ): tutti i soggetti che si dispongono da questo lato sono sessuati in senso maschile, quindi l’uomo, gli uomini sono tutti, e del tutto da questo lato.
   Per le donne le cose stanno diversamente perché le donne rientrano nel riquadro di sinistra, quindi nel lato maschile, solo in quanto soggetti, ma nella loro sessuazione non possono rientrarvi del tutto in quanto esse non sono del tutto assoggettabili all’ordine fallico: Ɐ x con sopra il tratto della negazione e a fianco il significante fallico Φ x vuol dire che non tutte le donne - e non del tutto ciascuna donna - ricadono sotto la funzione fallica. Per questo Lacan dirà che la donna è non tutta, per dire che non è tutta sotto l’insegna del Fallo. Ma se la donna non è tutta sotto il significante fallico, allora la donna, a differenza degli uomini, non potrà mai costituirsi in una classe. Non esiste la classe delle donne perché le donne non sono accomunabili sotto l’eccezione del “tutte tranne una”, in quanto sono ciascuna una, sono ciascuna l’eccezione. Se le donne, in quanto non del tutto sotto il significante fallico, sono insignificanti, sono al tempo stesso eccezionali. Se la classe delle donne non esiste, esiste però la serie delle donne, in quanto ognuna vale per sé, ognuna è l’unica. Per questo Lacan dirà, con il suo solito stile provocatorio, che la donna non esiste, intendendo che non esiste la classe della donna, non esiste Ƚa donna (Ƚ sta ad indicare la classe).
   Non tutta significa anche: non sei tutta qui, sei qui, ma sei anche altrove. Gli uomini dovrebbero capirlo: una donna non può essere mai tutta per il proprio uomo, anche se lo dice, anche se lo crede, anche se lo desidera perché lo ama. Lo dice e lo ripete, all'uomo che ama, per rassicurarlo, ma soprattutto per rassicurare se stessa perché avverte, senza poterlo dire, che invece qualcosa di lei - qualcosa che non può essere messo in parola, qualcosa che non può dirsi perché non è dell'ordine del linguaggio, e neanche dell’ordine dell’inconscio, ma che è nell'ordine del corpo - sfugge a quel "tutto" di se stessa che pure vorrebbe rendere disponibile al proprio uomo. C'è sempre un che di sfuggente in una donna, un che di "infedele", che non può appartenere ad un uomo. Un uomo, per questo - deve saperlo - non potrà mai avere il possesso pieno della propria donna, non potrà mai disporre interamente di lei, del suo corpo e del suo godimento. Per questo - nella Storia - gli uomini hanno sempre tentato di controllare e di avere il pieno possesso delle proprie donne, nei vari modi e nelle varie misure, anche le più terribili, a seconda delle diverse epoche. Un uomo non potrà avere mai il pieno controllo del corpo di una donna, non potrà disporne mai del tutto, anche se fosse lei stessa a offrirsi tutta, perché esiste una parte del suo corpo che ella senza saperlo sottrae a chiunque, anche a se stessa: è quella parte che sarà destinata al bambino di cui ella potrà essere un giorno madre, una parte che appartiene alla madre e non alla donna, alla madre che ogni donna potrà diventare anche se dovesse scegliere di non esserlo mai. Ed esiste, nella donna, anche un godimento di cui ella non sa e non può dire niente, se non, come dice Lacan, che lo prova, e che, se pur causato dal desiderio, sfugge e si sottrae ad ogni argine di certezza prevedibile: si tratta di un godimento supplementare che apre la donna all'infinito, e che ne fa, appunto, ancora, una non tutta in quel godimento che si inscrive e circoscrive, come quello dell'uomo, tutto quanto sotto l'insegna del significante fallico.
   La donna allora, come vedete, non può stare tutta quanta nel riquadro che rassicura, il quadro della normalità, il riquadro di sinistra che, come abbiamo visto, è quello che si ordina sotto l’insegna normalizzatrice del Fallo. La donna non è del tutto inquadrabile nel regime del Fallo, come magari la vorrebbe, senza saperlo, ogni uomo: la donna non è normale, poiché presenta una parte di sé che sfugge all’idea di normalità cui l’uomo è abituato.
   Come convive l’uomo con una donna? Non ci convive! Le donne spaventano gli uomini, perciò spesso vengono maltrattate e finanche uccise. Jacque-Alain Miller sostiene che gli uomini hanno inventato la guerra per scappare dalle loro donne! La convivenza di un uomo e di una donna insieme è molto complicata perché significa convivenza di due godimenti diversi. L’uomo percepisce una parte della donna che sfugge, anche se quella che sfugge è la parte che permetterà ad una donna di dargli un figlio. Nulla apre alla terzeità, come una donna, come il desiderio di maternità di una donna. Nulla apre al terzo, ad altro, come il godimento femminile. Per questo la donna spaventa gli uomini: non è circoscrivibile in un tutto, del tutto certificabile dal significante.
   Nel riquadro di destra vediamo ora la sessuazione della donna. In quest’area non vige più la logica degli insiemi, perché gli insiemi riguardano il soggetto, i soggetti, uomini o donne che siano, se soggetti. La donna, invece, come abbiamo visto, non è solo soggetto perché, disponendosi, rispetto all’uomo, oltre il soggetto, ella va al di là del significante e dunque non entra del tutto nel linguaggio, per cui esiste nella donna una parte che ella non capisce e di cui non sa dire, ma di cui sa solo che c’è. È proprio questa parte che non entra nel linguaggio a rendere le donne uniche, ma anche sole: una donna è sempre unica, unica e sola. Non è una posizione molto comoda questa: è una posizione che apre potenzialità enormi, ma che crea anche enormi disagi.
   Non vi possono essere rapporti di desiderio sessuale, rapporti d’amore dunque, tra soggetti di sesso maschile e femminile se solo soggetti, non vi può essere rapporto di desiderio e discorso d’amore tra un uomo e una donna che si collochino del tutto nello stesso riquadro di sinistra: fin quando un uomo e una donna resteranno accomunati dallo stesso significante fallico si ritroveranno essere talmente equivalenti che non potranno entrare in rapporto tra di loro, poiché, se vi è equivalenza, difficilmente potrà esser messo in causa un desiderio. Il rischio del matrimonio è proprio quello di rendere nel tempo i coniugi equivalenti tra di loro, e quindi di favorire la perdita del desiderio, giacché il matrimonio è un significante che ricade tutto quanto nell’ordine fallico, tutto quanto nel riquadro di sinistra.
   Per poter entrare in rapporto tra di loro un uomo e una donna devono invece evitare di diventare equivalenti. Soltanto se non vi è equivalenza può esserci rapporto, ed è la donna a rendersi non equivalente perché è lei che si pone dal lato femminile, nella parte destra della tavola della sessuazione: è solo da questo lato, infatti, che il soggetto, uomo o donna che sia, può incontrare il sesso opposto al proprio che, per entrambi, è … la donna, anzi l’altra donna. Lacan lo dice chiaramente nel Seminario XXIII, Il Sinthomo, e lo dice in questo modo:
 
È nella misura in cui non c’è equivalenza che si ha il rapporto. (…) Laddove c’è il rapporto - specifica - c’è nella misura in cui c’è sinthomo, vale a dire in cui l’altro sesso è supportato dal sinthomo[8].
 
   Introducendo la nozione di sinthomo - che preleva dalla topologia dei nodi, vale a dire dalla clinica cosiddetta borromea - Lacan vuole significare che ciò che permette ad un uomo e ad una donna di essere non equivalenti, quindi di potersi desiderare, è che il modo attraverso cui essi si annodano, il modo attraverso cui essi fanno nodo, legame quindi, tra di loro, non deve essere perfetto, nel senso cioè di non essere stabile, scontato, simmetrico, come il nodo che verrebbe a formarsi se le cordicelle fossero soltanto due e, appunto, equivalenti l’una all’altra. Occorre invece che il nodo non sia stabilizzato, non sia simmetrico, e perché questo possa avvenire serve una terza cordicella che faccia del nodo tra i due partner un nodo borromeo, vale a dire un nodo a tre cordicelle, dove la terza è ciò che Lacan chiama sinthomo, poiché è il sintomo ciò che fa da nodo, da tenuta nella clinica. Per questo il nodo che si forma in una coppia deve essere borromeo, deve prevedere una terza cordicella, vale a dire un elemento terzo che renda il nodo imperfetto e al tempo stesso ne faccia tenuta. Occorre dunque che un uomo e una donna facciano sinthomo tra loro, e in particolare che sia la donna il sinthomo per l’uomo, in quanto, come vedremo, l’uomo per la donna è piuttosto una devastazione[9].
   Ecco, dunque, perché Lacan dice, a pag. 97 del Seminario XXIII, intitolato proprio Il Sinthomo: laddove c’è il rapporto, c’è nella misura in cui c’è sinthomo. E cioè che solo se il rapporto tra un uomo e una donna è supportato dal sinthomo può esserci desiderio.
   E cosa è che nella coppia funge da terza cordicella? Cosa è che nella coppia si pone in funzione di sinthomo? Penso che Lacan qui sia proprio straordinario: “mi sono permesso di dire che il sinthomo è precisamente il sesso a cui non appartengo, uomo o donna, cioè una donna”[10]. L’altro sesso, sia per l’uomo che per la donna - anzi il sesso opposto sia all’uomo sia alla donna - è esattamente una donna. Vale a dire una donna che da soggetto barrato riesca qui a costituirsi anche come una donna che sappia collocarsi nel riquadro di destra, come altro sesso. Ecco perché le donne pensano sempre all’altra donna: è l’altra donna che si offre come sinthomo. Un uomo può amare una donna solo nella misura in cui la coglie come l’altra donna e viceversa.
   Dunque, nel momento in cui la donna si colloca nel versante extra fallico ella è l’altra donna, è l’altro sesso, ma nello stesso tempo ella non è più garantita dall’appartenere al significante, e dunque è sola, ritrovandosi sola con le altre, non più unite, uniformate in maniera conforme dal significante. Questo spiega il bisogno che la donna ha di amare un uomo, perché è nell’amore di un uomo che può ritrovare ciò che la faccia sentire non più perduta in quanto altrove, in quanto oltre il significante che la significhi come soggetto. Come adesso andiamo a vedere.
 
 
L’anima e l’amore: l’alma amour.
   Dunque, un uomo e una donna possono amarsi solo collocandosi - entrambi - dal lato femminile, poiché è solo qui, da questo lato, che entrambi possono incontrare il sesso opposto, l’altra donna, il sinthomo, il terzo che faccia da tenuta e garantisca la non equivalenza. Il lato sinistro è il lato delle equivalenze, laddove la non equivalenza che serve all’amore la potete trovare solo nel versante di destra, nel versante femminile. Ed è nella misura in cui si è non equivalenti che si sperimenta l’amore come ciò che mette in causa il desiderio, vale a dire come ciò che causa mancanza. Non vi è amore possibile se non ci si sappia rendere mancanti. Le donne sono facilitate in questo, per l’uomo invece è più difficile perché avere un fallo non facilita sentirsi mancante, cioè non facilita il riconoscimento della propria castrazione.
   Molti uomini, infatti, pur desiderandolo, hanno paura di amare perché, a differenza di quanto avviene più spesso nelle donne, avvertono la mancanza che serve all’amore come una minaccia insostenibile alla loro "integrità virile". Niente come l'amore - non ci stancheremo di ripeterlo - mette di fronte al sentimento della mancanza, dell'incompletezza, ma anche al “rischio” della dipendenza dall'Altro dell’amore. Per questo, spesso, gli uomini innamorati sono anche aggressivi, sprezzanti, sarcastici con le donne che amano: è il solo modo di cui dispongono per recuperare su quella mancanza cui il desiderio li espone. Per questo, spesso, gli uomini resistono all'amore preferendo sentirsi amati, piuttosto che amanti. Per questo, spesso, gli uomini scelgono donne che non amano, invece di quelle che amano: se possono frequentare l'amore solo in superficie, tenendosene ai bordi, ricevendone piuttosto che darne, possono maggiormente sentirsi garantiti, e confermati, sul piano della loro virilità.
   Freud chiamava questa condizione, tutta maschile, Degradazione della vita amorosa[11], in quanto effetto della scissione tra il desiderio di amare e il desiderio sessuale.
   Non è possibile, dunque, amare mantenendosi dal lato maschile, senza riconoscere cioè la propria mancanza.
   La donna invece, dal suo lato, dal versante femminile, di destra nella tavola della sessuazione, si annulla come soggetto, non esiste come categoria, come Ƚa donna, ma si costituisce nella serie delle donne. Da questa posizione la donna guarda, da una parte il fallo, che è nel lato maschile, e dall’altra S Ⱥ, il godimento femminile, il che significa che per accedere al suo godimento, al godimento femminile altro, supplementare¸ deve necessariamente raccordarsi al godimento fallico, deve cioè servirsi dell’uomo, nei confronti del quale si pone come l’altro sesso, come sinthomo dunque, come abbiamo visto, e l’uomo di conseguenza deve sapersi costituire - fa notare Lacan - piuttosto come un relais, vale a dire come congiunzione della donna con il proprio godimento. La difficoltà consiste però nel fatto che l’uomo, come vedete dalla direzione della freccia, che indica la linea del godimento maschile, non riesce a cogliere la donna nella sua interezza e nella sua unicità perché interferito dal proprio fantasma femminile, che nell’uomo non è l’Altro in quanto altro sesso, ma l’oggetto, l’oggetto parziale, l’oggetto feticistico, in altri termini l’oggetto piccolo (a), oggetto dunque asessuato, per cui gli viene impedito di godere del corpo femminile nella sua interezza. Dal lato maschile, dunque, la donna offre allo sguardo solo l’oggetto piccolo a, l’oggetto del desiderio. L’uomo cerca nella donna l’oggetto del proprio desiderio, cerca dunque il pezzo, il pezzo anatomico. Un mio paziente che si vanta di essere stato un grande seduttore e di aver avuto tante amanti, tutte bellissime, e che ha finito per sposare - pensate un po’ - l’unica donna che non l’attraeva sessualmente, una volta mi disse: "dottore, se dovessi dirle i nomi delle amanti che ho avuto, non li ricorderei, ma posso facilmente descriverle i culi di ognuna, quelli li ricordo benissimo, e comunque non riesco a collegare i culi con i nomi delle diverse donne".
   Per questo, Lacan dice che il desiderio maschile giunge ad una donna come una devastazione, a meno che l’uomo non sappia rendersi disponibile alla donna appunto come quel relais che permetta alla donna di congiungersi al proprio godimento altro.
   Questo relais è importante in quanto il godimento femminile tenderebbe altrimenti all’infinito, senza limiti verso Dio - dice Lacan - e infatti è anche il godimento di certi mistici, come Santa Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce, o la beghina di Anversa. Anche gli uomini possono avvertire questo godimento del corpo, di cui la donna non sa dire, un godimento di cui non si può dire perché non è scritto nel linguaggio, è fuori linguaggio, e fuori significante, poiché non dispone di un significante che permetta di nominarlo. È un godimento del corpo che tuttavia, essendo fuori significante, non ha forma, non ha linguaggio ed è proprio per questo, per cercare di dargli forma e contenimento, che la donna deve cercare l’amore di un uomo, e servirsene proprio come un relais.
   Per la donna l’amore deve dunque diventare il mezzo per tentare di mettere in parola questo godimento di cui non si può dire, affinché non si traduca appunto in una devastazione.
   Una donna, nel suo modo di amare, oscilla sempre tra un godimento fallico e un godimento altro, extra fallico e fuori significante, ed è per questo che certe volte parla in maniera incomprensibile.
   La donna accetta che il luogo della femminilità sia il luogo di un sapere forcluso, di un vuoto di sapere sul proprio godimento che è interdetto e che può solo essere bordato, arginato dalla parola d’amore. Per questo, per bordare la sua forclusione, la donna si seve dell’amore dandogli, dice Lacan, un’anima. Lacan condensa il termine di alma con quello di amore e ne fa un neologismo âmour, una lettera, una lettera d’amore.[12] In altri termini, la donna deve poter dare al godimento, di cui non può dire, la forma dell’amore, e l’amore è allora l’anima, l’anima in senso del De anima di Aristotele, nel senso cioè che laddove non vi è né causa, né sostanza, né forma, per dare forma alla materia, bisogna animarla.
   Bisogna metterci l’anima nell’amore, un nome, una sostanza. Bisogna dare forma all’amore dandogli un’anima. La donna vuole animare il buco dell’amore, la donna non ama, anima, anima l’amore: vuole l’anima amore, l’almamore, l’âmour e solo questo può permettere, come infatti fortunatamente spesso avviene, che l’amore unisca un uomo e una donna anche molto profondamente, anche molto proficuamente, con l’anima, nell’anima. Grazie alle donne!
 
 
E l’isterica?

   Anche l’isterica è una donna perché, come la donna, s’interroga sull’altra donna, e su quel godimento supplementare dal quale si sente esclusa, ma mentre la donna è attraverso l’amore di un uomo che cerca di saperne sul proprio godimento, collocandosi dunque dal lato femminile, l’isterica cerca di scoprirne il segreto non attraverso l’amore di un uomo rivolto a lei, ma attraverso l’amore che l’uomo destina all’altra donna, e dunque l’isterica ritiene che può saperne sul godimento collocandosi dal lato maschile, attribuendo sempre all’uomo di cui si infatua l’esistenza di un’altra donna. L’isterica pensa infatti che solo l’uomo che sia impegnato con un’altra donna possa scoprire il segreto del godimento femminile, come dimostra il caso di Dora di Freud nella rilettura lacaniana. Dora non era innamorata del Signor K, come erroneamente credette Freud causando per questo l’interruzione del trattamento da parte di Dora, ma era attratta dal Signor K non perché lo amasse, ma perché pensava che egli possedesse il segreto di cosa fosse una donna, in quanto marito della Signora K. Era la Signora K, non il Signor K, che interessava veramente a Dora, perché ai suoi occhi ella incarnava l’altra donna del cui godimento Dora voleva sapere. Dora era attratta dalla Signora K e credeva di poter arrivare a lei attraverso il Signor K, ma voleva arrivarvi non perché il suo interesse per la Signora K fosse di natura omosessuale, non perché Dora fosse omosessuale – l’isterica non è omosessuale – ma perché era omosessuale l’oggetto del suo interesse: il godimento femminile, l’altra donna, cosa vuole una donna. Solo che Dora, come tutte le isteriche, non pensava di poterne sapere, come pensano le donne, attraverso l’amore per un uomo, e dunque collocandosi dal lato femminile, bensì, al contrario, disponendosi dal lato maschile, poiché l’isterica presume che siano gli uomini a saperne sul segreto del godimento femminile, e non le donne. Per questo le isteriche cercano di amare allo stesso modo di come amano gli uomini: le isteriche sanno fare l’uomo, sono uomosessuali, come dice Lacan, giocando sull’omofonia con omosessuali, per dire che se possono sembrare omosessuali, in effetti non lo sono. Le isteriche, piuttosto, diventano complici e al tempo stesso competitive con gli uomini, fanno cose da uomini e parlano delle donne come ne parlano gli uomini tra di loro. Le isteriche devono causare il desiderio di un uomo non per amarlo, ma per estrarne un sapere. Non a caso sono le isteriche ad aver inventato la psicoanalisi: per sapere attraverso il transfert sull’analista il segreto del godimento femminile, dell’altra donna. Per questo, a differenza della donna, l’isterica non accetta di essere il sinthomo del proprio uomo, in quanto non può esserne il desiderio che ha causato, non può accettare di offrire il proprio corpo al godimento di un uomo: a quello ci pensa l’altra donna, dal cui godimento l’isterica deve tenersi sempre esclusa. L’isterica deve causare il desiderio dell’uomo non per amarlo, ma per sapere, per un sapere che le serve per esistere, non per amare. L’isterica deve essere sempre lo scarto di quello stesso desiderio che provoca: potevo desiderare l’uomo di prima perché tanto lui non mi voleva perché lui voleva un’altra, Così mi diceva Anna, una mia analizzante. 

   L’isterica, dunque, punta a farsi desiderare ma non ad amare, mentre la donna punta a farsi desiderare, ma solo per amare ed essere amata.



 
[1] J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora 1972-1973, Einaudi, Torino 1983, pag. 82
[2] J. Lacan, «Excursus», Milano, 3-4 febbraio 1973, Lacan in Italia, a cura di G.B. Contri, La Salamandra, Milano 1976,   pag. 87.
[3] J. Lacan, Il Seminario, Libro XX, Ancora 1972-1973, Einaudi, Torino 1983, pag. 7
[4] J. Lacan, op. cit. pag. 6
[5] J. Lacan, op. cit. pag. 7
[6] J. Lacan, op. cit. pag. 16
[7] J. Lacan, op. cit. pag. 145
[8] J. Lacan, Il Seminario, Libro XXIII, Il Sinthomo 1975-197, Astrolabio-Ubaldini, Roma 2006, pag. 97
[9] J. Lacan, op. cit. pag. 97
[10] J. Lacan, op. cit. pag. 97
[11] S. Freud, Contributi alla psicologia della vita amorosa, in Opere, vol. 6, Bollati Boringhieri Torino 1974, pag. 421 – 432.
[12] Lettera d’amore è il titolo del cap. VII del Seminario XX, Ancora; il capitolo dedicato proprio alla sessuazione


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Ma cos'è questo Fantasma di cui tanto si parla in psicoanalisi e non solo - anche se in altri ambiti per lo più declinato al plurale? Per dirla nella maniera più semplice possibile, il Fantasma, il Fantasma fondamentale per meglio dire, può essere immaginato come una sorta di griglia, di "schema" articolato, per lo più inconscio, attraverso cui affrontiamo, viviamo, interpretiamo la realtà che ci circonda, in particolare le nostre relazioni con l'Altro (e con noi stessi). Possiamo dire che il Fantasma è il modo attraverso cui il soggetto si suppone per l'Altro e come ritiene che l'Altro a sua volta lo supponga : una sorta di lente che interponiamo tra noi e il mondo e attraverso la quale filtriamo l'esperienza che ne facciamo. In altre parole, il Fantasma - che ognuno si costruisce a modo suo a partire sin dalle su più precoci esperienze di vita - è ciò che condiziona il modo attraverso cui ognuno di noi vive la propria vita, da quando è piccolo, fino a quando muore. Per Lacan, però, il Fantasma è almeno altre due cose: 1) una sorta di piattaforma "girevole" entro cui circola, si muove, "corre come un furetto", il desiderio , cercando continuamente dove collocarsi e soprattutto come uscirne; 2) una struttura che conferisce consistenza al soggetto , soprattutto quando deve affrontare ciò che non conosce, ciò di fronte a cui può sentirsi solo e perso, vale a dire il Reale , il reale soprattutto del proprio desiderio. Il Fantasma è dunque non solo ciò che ci condiziona e ci imbriglia, ma anche ciò che ci sostiene nei momenti decisivi. Lacan collega dunque il Fantasma al desiderio in quanto è attraverso di esso che il soggetto si illude di intravedere e acciuffare l'oggetto del proprio desiderio: " E' nelle maglie dell'articolazione del fantasma soggettivo che il desiderio compie i suoi giri senza trovarvi mai un punto di arresto: se è nel fantasma che il soggetto cerca da una parte l'aggancio del suo desiderio verso l'Altro, è nel fantasma stesso che vi trova dall'altra la difesa nei confronti dell'angoscia di precipitarvi del tutto ." (Lacan) Vuole dire che, se, da una parte, il Fantasma ci permette di tendere verso l'Altro , l'Altro del nostro desiderio, dall'altra, esso è anche ciò che ci permette di non "precipitarvi del tutto", per questo, nella famosa formula del fantasma ($◇⍺) , Lacan, tra il Soggetto ($) e l'oggetto del desidero (⍺) sceglie il "punzone" (◇) che indica una relazione di attrazione e di respingimento al tempo stesso. Ora, in conseguenza dell'esistenza del Fantasma soggettivo, il rapporto col mondo non può essere mai del tutto obiettivo e mai diretto, ma è sempre mediato, e dunque un po' "distorto" e "interferito" dal Fantasma stesso. E' soltanto attraverso l'esperienza psicoanalitica che si viene prima o poi a sapere di questo fantasma, e a riconoscerlo come proprio. Ed è soltanto in analisi che arrivare a riconoscere il proprio Fantasma, il poterci fare i conti, il poterlo "attraversare", come dice Lacan, ci aiutano a farci capire -e anche cambiare- molte cose di noi, il nostro modo di vivere, il nostro modo di amare e di godere, il nostro modo di stare al mondo, con i nostri simili, in maniera più sopportabile. #fantasmasoggettivo #fantasmafondamentale #desiderio #reale #esperienzasoggettiva
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