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L'efficacia della psicoanalisi

DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO • ott 01, 2017

Intervista a Eric Laurent realizzata da Araceli Fuentes.

Araceli Fuentes. In un articolo intitolato “L’efficacia della psicoanalisi” pubblicato dalla rivista Actes della Ecole de la Cause freudienne, volume XV, lei scrive: “…l’efficacia appartiene interamente alla questione della tecnica, nel senso che Heidegger dà a questo termine. Se la psicoanalisi ha a che fare con il soggetto in quanto soffre, è perfettamente legittimo, dal punto di vista della tecnica, chiederle di rendere conto della sua efficacia sulla sofferenza". Come si fa a valutare l'efficacia della psicoanalisi?


Eric Laurent. L'efficacia della psicoanalisi si valuta in molti modi. Nel mondo anglosassone, con la sua smania per tutto ciò che sa tecnica, vengono misurate le trasformazioni sintomatiche in diversi campioni di pazienti provenienti da studi privati e da strutture ospedaliere, scelti con maggiore o minore profusione statistica, trattati con psicoterapie d’ispirazione analitica. Questo tipo di verifica si è imposto a partire dalle critiche di Eysenck negli anni Cinquanta. Va sottolineato che questa modalità d’inclusione in un campione costituisce già una segregazione preliminare: le normali condizioni di una psicoanalisi implicano che chi richiede un’analisi non sia considerato riducibile a una sintomatologia di natura medica., Gli psicoanalisti che hanno partecipato a questo tipo di trattamento, erano inoltre generalmente analisti in formazione.
La Fondazione Menninger, con una sovvenzione da parte del NIMH ( National Institute of Mental Health, l’Istituto Nazionale di Salute Mentale) a partire dal ’54, ha condotto lo studio più dettagliato che esiste di questo tipo, seguendo quarantadue persone per trent’anni, e un certo numero di psicoanalisti di spicco, da O. Kenrnberg a R.S. Wallerstein, hanno pubblicato sull'argomento. Tutti questi studi hanno permesso di verificare l'efficacia della psicoanalisi in base a una lunga categoria di indicazioni sintomatiche. Il problema si è poi trasformato nel tentativo di definire le condizioni del processo terapeutico, più che la sintomatologia. Il Penn Psychotherapy Project, negli Stati Uniti, con Luborsky, si è concentrato sulla definizione di una variabile individuale, al di là dell’universale del sintomo. In Inghilterra, D. Malan, della Tavistock Clinic, ha cercato di chiarire le differenze nell’efficacia delle terapie a breve o lungo termine, e in quali casi alcuni pazienti possano trarre beneficio dal breve termine e altri no. In Germania, Kächele cerca di definire un modo di valutare il cambiamento psichico partendo dalle trascrizioni dei colloqui. In Francia, l'interesse per la ricerca clinica "programmata" in psicoterapia, mobilita anche l’INSERM, che ha pubblicato un lungo studio sul tema nel ’92.
L'orientamento lacaniano in materia va in senso contrario rispetto a questi modi di procedere. Si tratta di valutare i risultati ottenuti nell’analisi non attraverso una selezione effettuata da un punto di vista sintomatico, ma a partire da coloro che vogliono impegnarsi nella psicoanalisi. Essi non sono valutati attraverso le risposte a un rigido questionario, ma è il soggetto stesso che valuta la propria analisi, ciò che da essa ha appreso, testimoniando così dell’effetto didattico di fronte a una commissione mista, composta da analisti esperti e da altri in formazione. Non si cerca la quantificazione, ma la serializzazione e la graduazione degli effetti. Questo tipo di valutazione della psicoanalisi si chiama passe (abbreviazione di "passe dell'analista"). Questo dispositivo sta funzionando in tutte le Scuole di psicoanalisi di orientamento lacaniano riconosciute dall'AMP (Associazione Mondiale di Psicoanalisi). I risultati sono pubblicati ogni due anni.

A.F. Jacques Lacan, in un articolo del 1955 “Varianti della cura tipo”, pone la specificità della psicoanalisi rispetto ad altre terapie, in relazione a un rigore etico, al di fuori del quale ogni cura, anche inzeppata di conoscenze psicoanalitiche, sarebbe solo psicoterapia. Qual è il rigore etico che fa la differenza tra il trattamento psicoanalitico, la psicoterapia e qualsiasi altra terapia?

E. L. Le terapie in generale non si curano del posto che occupano nella civiltà. Considerano la loro efficacia e verificano che chi le applica rispetti un codice deontologico più o meno adeguato alla deontologia medica. Al cuore della psicoanalisi c’è, invece, un rapporto con il disagio nella civiltà e una teoria della civiltà. La psicoanalisi non si limita a un punto di vista tecnico, e pensa ai suoi effetti al livello più profondo, considerando come i discorsi stabiliti producono effetti sulla sessualità. In questa prospettiva, Lacan ha detto che, limitandosi alla tecnica, l'intervento psicoterapeutico porta al peggio.

A. F. A differenza della medicina o della psicologia, non esiste un titolo di psicanalista che si possa ottenere attraverso l'insegnamento universitario. A partire da Freud, per la formazione dello psicoanalista è essenziale che si abbia attraversato l'esperienza di un'analisi; questo non è tuttavia sufficiente per avere la garanzia che il risultato sia la produzione di uno psicoanalista. Cosa aggiunge l'invenzione di Jacques Lacan della procedura di "passe" come garanzia per la formazione dello psicoanalista?

E. L. In ogni paese si è insediata la psicoanalisi, ottenendo le approvazioni sociali per quanto riguarda il desiderio di guarire. Freud si era mostrato disposto a trattare con le autorità la possibilità di omologare il titolo di psicoanalista, a condizione di non sacrificare le peculiarità del suo discorso, che non può essere riassorbito nell’universale dell’Università. Per insegnare la psicoanalisi propone, in un testo del ’26, di analizzare uno per uno gli universitari delle varie discipline interessati alla psicoanalisi.
In questa prospettiva, l’essenziale è la psicoanalisi di ciascuno, è l’introduzione alla particolarità delle formazioni dell'inconscio. La passe, come ho già spiegato in risposta alla prima domanda, verifica la sostanza dell’introduzione di ciascuno alla psicoanalisi, vale a dire, verifica la realizzazione della propria analisi. Ma non è tutto nella formazione dell'analista. È richiesto all’analista che possa rispondere a domande relative alla psicoanalisi pura, che è, la fine della psicoanalisi, la necessità di un controllo, l’adeguatezza del trattamento al caso, ecc. L’analista deve anche, che sia medico o no, avere una formazione nella psicoanalisi applicata alla clinica, conoscere le indicazioni della psicoanalisi, i suoi limiti, formarsi nella disciplina del colloquio clinico, essere orientato verso la diagnosi clinica contemporanea e definire un progetto terapeutico. Deve inoltre poter rispondere all’etica dell’atto analitico, e del posto che ha nelle azioni e nelle istituzioni umane. Deve esistere un equilibrio nella formazione tra psicoanalisi pura, psicoanalisi applicata e il luogo dell'atto analitico.
Vi è altrimenti una perdita di orientamento nei diversi compiti dell'azione analitica nel campo aperto da Freud. Formarsi implica familiarizzarsi con il progetto freudiano riformulato da Lacan, fino ad assumersene la responsabilità e partecipare al lavoro comune. Per verificare queste dimensioni, l'Università non è sufficiente. C'è bisogno di una istituzione ad hoc, la Scuola di Psicoanalisi. Questo è lo strumento inventato da Freud, rimasto però agganciato a un ideale burocratico che ha creato un cortocircuito. Alla domanda: “Cos’è un analista?” si rispondeva: è quel che è omologato dalla International Psychoanalytical Association (IPA), e poi si perdeva la strada inseguendo criteri impossibili. Lacan ha proposto la Scuola di Psicoanalisi definita partendo da una verifica realistica. Alla domanda: “Che cos’è uno psicoanalista?” Lacan risponde : il prodotto di un’ analisi portata fino in fondo.
Chi può sapere quando un’analisi è portata fino in fondo? Chi vuole assumersi la responsabilità di questa domanda, gli analisti formati e quelli ancora in formazione, discutendo in modo razionale a partire dai fatti che è possibile constatare. La passe non ha lo scopo di definire criteri, punta, al di là di qualsiasi criterio, alla certezza che possono avere alcuni analisti di fronte a un altro analista, per poi discuterne.
La passe non dà nessun altra garanzia che quella del dibattito democratico e razionale stabilito in base a un’esperienza comune. Niente di più e niente di meno.

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Ma cos'è questo Fantasma di cui tanto si parla in psicoanalisi e non solo - anche se in altri ambiti per lo più declinato al plurale? Per dirla nella maniera più semplice possibile, il Fantasma, il Fantasma fondamentale per meglio dire, può essere immaginato come una sorta di griglia, di "schema" articolato, per lo più inconscio, attraverso cui affrontiamo, viviamo, interpretiamo la realtà che ci circonda, in particolare le nostre relazioni con l'Altro (e con noi stessi). Possiamo dire che il Fantasma è il modo attraverso cui il soggetto si suppone per l'Altro e come ritiene che l'Altro a sua volta lo supponga : una sorta di lente che interponiamo tra noi e il mondo e attraverso la quale filtriamo l'esperienza che ne facciamo. In altre parole, il Fantasma - che ognuno si costruisce a modo suo a partire sin dalle su più precoci esperienze di vita - è ciò che condiziona il modo attraverso cui ognuno di noi vive la propria vita, da quando è piccolo, fino a quando muore. Per Lacan, però, il Fantasma è almeno altre due cose: 1) una sorta di piattaforma "girevole" entro cui circola, si muove, "corre come un furetto", il desiderio , cercando continuamente dove collocarsi e soprattutto come uscirne; 2) una struttura che conferisce consistenza al soggetto , soprattutto quando deve affrontare ciò che non conosce, ciò di fronte a cui può sentirsi solo e perso, vale a dire il Reale , il reale soprattutto del proprio desiderio. Il Fantasma è dunque non solo ciò che ci condiziona e ci imbriglia, ma anche ciò che ci sostiene nei momenti decisivi. Lacan collega dunque il Fantasma al desiderio in quanto è attraverso di esso che il soggetto si illude di intravedere e acciuffare l'oggetto del proprio desiderio: " E' nelle maglie dell'articolazione del fantasma soggettivo che il desiderio compie i suoi giri senza trovarvi mai un punto di arresto: se è nel fantasma che il soggetto cerca da una parte l'aggancio del suo desiderio verso l'Altro, è nel fantasma stesso che vi trova dall'altra la difesa nei confronti dell'angoscia di precipitarvi del tutto ." (Lacan) Vuole dire che, se, da una parte, il Fantasma ci permette di tendere verso l'Altro , l'Altro del nostro desiderio, dall'altra, esso è anche ciò che ci permette di non "precipitarvi del tutto", per questo, nella famosa formula del fantasma ($◇⍺) , Lacan, tra il Soggetto ($) e l'oggetto del desidero (⍺) sceglie il "punzone" (◇) che indica una relazione di attrazione e di respingimento al tempo stesso. Ora, in conseguenza dell'esistenza del Fantasma soggettivo, il rapporto col mondo non può essere mai del tutto obiettivo e mai diretto, ma è sempre mediato, e dunque un po' "distorto" e "interferito" dal Fantasma stesso. E' soltanto attraverso l'esperienza psicoanalitica che si viene prima o poi a sapere di questo fantasma, e a riconoscerlo come proprio. Ed è soltanto in analisi che arrivare a riconoscere il proprio Fantasma, il poterci fare i conti, il poterlo "attraversare", come dice Lacan, ci aiutano a farci capire -e anche cambiare- molte cose di noi, il nostro modo di vivere, il nostro modo di amare e di godere, il nostro modo di stare al mondo, con i nostri simili, in maniera più sopportabile. #fantasmasoggettivo #fantasmafondamentale #desiderio #reale #esperienzasoggettiva
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