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L'ATTACCO DI PANICO

DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO • gen 19, 2018

Una malattia del Significante


Spesso sentiamo dai nostri pazienti in analisi descrivere l' attacco di panico , non solo come una situazione avvertita di morte imminente con intense e drammatiche manifestazioni somatiche (sudorazione, tachicardia, nausea ecc.), ma anche come uno stato soggettivo di perplessità, di senso di smarrimento nel mondo, di perdita acuta di senso: "chi sono?", "che sta succedendo?", "che ci faccio qui?", "dove mi trovo?" eccetera.

Sembra dunque che il soggetto si ritrovi, all'improvviso, nella drammatica condizione di una acuta perdita di senso, in quanto egli sembra non riuscire più a dare una significazione all'esperienza che sta vivendo in quel momento.
Come possiamo allora spiegarci questo fenomeno?

Personalmente trovo estremamente utile, per la clinica e anche per la corretta posizione dell'analista, considerare la questione degli attacchi di panico, i cosiddetti DAP , dal punto di vista del Significante o, per meglio dire, dal lato del Nome-del-Padre , vale a dire di quella funzione simbolica, collegata al Padre -alla figura paterna- che consiste proprio nella possibilità di disporre dei codici simbolici che, più o meno come se fossero delle password , ci permettono di poter entrare nella esperienza nuova di quel momento, e di poterla significare.
Chi soffre di DAP è come se non disponesse delle password adeguate, delle credenziali per comprendere l'esperienza, di quei titoli per affrontare il mondo, per sapersela sbrogliare da soli nelle situazioni nuove e impreviste, e che il padre al momento giusto dovrebbe aver messo "nelle nostre tasche".

Se cioè vediamo la cosa dal punto di vista strutturale , e non da quello esistenziale-fenomenologico , possiamo renderci conto -ascoltando il paziente- che quello che sta avvenendo durante il DAP non è altro che una battuta d'arresto della catena significante presso il soggetto: di fronte ad una esperienza soggettiva che richiede una significazione nuova, sembra venire a mancare il significante adatto, di conseguenza il soggetto è come acutamente attraversato dalla improvvisa perdita di senso di ciò che sta vivendo in quel momento. "Che significa questo?", "Che ci faccio qui?" sono appunto gli interrogativi drammatici che testimoniano della perdita del senso, e dove vi è perdita di senso ci si ritrova dolorosamente esposti al reale , avvertito in tutta la sua angosciosa incomprensibilità e che sembra risucchiare il soggetto stesso come in un buco nero.

Siccome, però, il significante non serve solo a simbolizzare il reale, ma anche ad annodare a sé il godimento (vedi il secondo paradigma del godimento d J. A. Miller ), ecco che quando non si dispone più del significante ci si ritrova anche in preda ad un godimento che sembra andarsene per conto suo. Venendo meno quella significazione che può fare da argine al godimento, esso, di conseguenza, subisce un vero e proprio "collassare" nel corpo: le manifestazioni psicosomatiche tipiche dei DAP (sudorazione, nodo alla gola, tachicardia, fino alla sensazione acuta di morire) altro non sono che i tentativi del soggetto -non disponendo più del significante- di delocalizzare e annodare il godimento nel corpo. Il corpo infatti, durante un DAP, è come erotizzato e i sintomi riproducono, se pur in modo altamente drammatico, le stesse manifestazioni somatiche che si accompagnano al godimento sessuale.
Analogamente, i tentativi di richiamarsi a ciò che è familiare, di evocare punti di riferimento noti e sicuri, o di convocare l'Altro come punto di appoggio, rappresentano gli sforzi del panicato di ricucire e avviare la catena significante interrotta, affinché possa ritrovarvi un effetto di senso.
L'Attacco di Panico può dunque esser visto come una "malattia del Significante" conseguente alla venuta meno del Nome-del-Padre. In altri termini, l'assenza di un significante, di quel Significante (di un S1), che viene meno proprio quando serve, e dunque, in linea con quello che dice Lacan -che del padre se ne può fare a meno a patto di sapersene servire- nel caso del panicato, invece, assistiamo piuttosto alla impossibilità di servirsene quando esso manca.

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Ma cos'è questo Fantasma di cui tanto si parla in psicoanalisi e non solo - anche se in altri ambiti per lo più declinato al plurale? Per dirla nella maniera più semplice possibile, il Fantasma, il Fantasma fondamentale per meglio dire, può essere immaginato come una sorta di griglia, di "schema" articolato, per lo più inconscio, attraverso cui affrontiamo, viviamo, interpretiamo la realtà che ci circonda, in particolare le nostre relazioni con l'Altro (e con noi stessi). Possiamo dire che il Fantasma è il modo attraverso cui il soggetto si suppone per l'Altro e come ritiene che l'Altro a sua volta lo supponga : una sorta di lente che interponiamo tra noi e il mondo e attraverso la quale filtriamo l'esperienza che ne facciamo. In altre parole, il Fantasma - che ognuno si costruisce a modo suo a partire sin dalle su più precoci esperienze di vita - è ciò che condiziona il modo attraverso cui ognuno di noi vive la propria vita, da quando è piccolo, fino a quando muore. Per Lacan, però, il Fantasma è almeno altre due cose: 1) una sorta di piattaforma "girevole" entro cui circola, si muove, "corre come un furetto", il desiderio , cercando continuamente dove collocarsi e soprattutto come uscirne; 2) una struttura che conferisce consistenza al soggetto , soprattutto quando deve affrontare ciò che non conosce, ciò di fronte a cui può sentirsi solo e perso, vale a dire il Reale , il reale soprattutto del proprio desiderio. Il Fantasma è dunque non solo ciò che ci condiziona e ci imbriglia, ma anche ciò che ci sostiene nei momenti decisivi. Lacan collega dunque il Fantasma al desiderio in quanto è attraverso di esso che il soggetto si illude di intravedere e acciuffare l'oggetto del proprio desiderio: " E' nelle maglie dell'articolazione del fantasma soggettivo che il desiderio compie i suoi giri senza trovarvi mai un punto di arresto: se è nel fantasma che il soggetto cerca da una parte l'aggancio del suo desiderio verso l'Altro, è nel fantasma stesso che vi trova dall'altra la difesa nei confronti dell'angoscia di precipitarvi del tutto ." (Lacan) Vuole dire che, se, da una parte, il Fantasma ci permette di tendere verso l'Altro , l'Altro del nostro desiderio, dall'altra, esso è anche ciò che ci permette di non "precipitarvi del tutto", per questo, nella famosa formula del fantasma ($◇⍺) , Lacan, tra il Soggetto ($) e l'oggetto del desidero (⍺) sceglie il "punzone" (◇) che indica una relazione di attrazione e di respingimento al tempo stesso. Ora, in conseguenza dell'esistenza del Fantasma soggettivo, il rapporto col mondo non può essere mai del tutto obiettivo e mai diretto, ma è sempre mediato, e dunque un po' "distorto" e "interferito" dal Fantasma stesso. E' soltanto attraverso l'esperienza psicoanalitica che si viene prima o poi a sapere di questo fantasma, e a riconoscerlo come proprio. Ed è soltanto in analisi che arrivare a riconoscere il proprio Fantasma, il poterci fare i conti, il poterlo "attraversare", come dice Lacan, ci aiutano a farci capire -e anche cambiare- molte cose di noi, il nostro modo di vivere, il nostro modo di amare e di godere, il nostro modo di stare al mondo, con i nostri simili, in maniera più sopportabile. #fantasmasoggettivo #fantasmafondamentale #desiderio #reale #esperienzasoggettiva
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