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EMPATIA E ATTO ANALITICO

DOTT. ERRICO EGIDIO TOMMASO • dic 20, 2017


Molti analisti, soprattutto tra i post-freudiani e tra coloro che si riconoscono nell'ambito della cosiddetta psicoanalisi della intersoggettività , sostengono, con convinzione, l'importanza -nella loro pratica- sia della empatia che del " controtransfert ", vedendoli non tanto come manifestazioni possibili del "sentire" dell'analista, e quindi, come tali, anche importanti da riconoscere, ma piuttosto come veri e propri "strumenti tecnici" della pratica analitica, vale a dire come il modo più corretto, se non obbligatorio, attraverso cui l'analista è bene si ponga e operi nei confronti del suo paziente.

Ora, come detto, non è che si voglia certo negare l'importanza del riconoscimento di questi aspetti in analisi: come potrebbe, infatti, un analista essere freddo, anaffettivo , privo dunque di capacità empatiche, o anche cieco e sordo ai sentimenti e ai "vissuti emotivi" suscitati in lui dal suo paziente, sentimenti che vanno sotto il nome ambiguo di controtransfert?
Si tratta piuttosto del fatto che -francamente- si fa fatica a credere che tali aspetti possano essere considerati strumenti "tecnici", e anche privilegiati, di cui l'analista possa, anzi deve, servirsi per intervenire analiticamente con il suo paziente. Non si capisce cioè come, tecnicamente, l'analista possa utilizzare, nel suo lavoro, i suoi sentimenti o le sue reazioni "controtransferali", senza mettere in mezzo, nello scenario analitico, se stesso, piuttosto che lasciare spazio alla parola del paziente, tanto più che siamo convinti -è la clinica che ci porta a tale convinzione- che si possa ragionevolmente parlare di analisi -si sia cioè in presenza di quella dimensione che possiamo riconoscere come analitica- soltanto laddove l'analista sappia farsi da parte per non ostacolare la messa in parola del desiderio del paziente, piuttosto che mettersi in mezzo con il suo.

Lacan è molto chiaro nel mettere in guardia l'analista nei confronti del suo stesso controtransfert, dal momento che -fa notare- essendo l'analisi una pratica che procede sotto transfert , l'analista è costantemente investito dall' " amore " del suo paziente, amore che però è sempre rivolto ad un altro e non veramente all'analista, per cui rispondere al paziente attraverso il proprio controtransfert significa, né più né meno, rispondere all'amore del paziente come se fosse un amore davvero rivolto all'analista e non invece un amore effetto del transfert.
L'analista non può dunque rispondere all'amore con l'amore, amore su cui invece egli deve tacere. L'analista non può rispondere dunque con il proprio controtransfert, rischio che invece andrebbe per l'appunto sempre evitato: " Per il solo fatto che c’è il transfert, noi siamo implicati nella posizione di colui che contiene l’ agalma , l’oggetto fondamentale di cui si tratta nell’analisi del soggetto, in quanto legato, condizionato da quel rapporto di vacillazione del soggetto che noi caratterizziamo come ciò che costituisce il fantasma fondamentale, come ciò che instaura luogo in cui il soggetto può fissarsi come desiderio. È un effetto legittimo del transfert. Non c’è quindi bisogno di fare intervenire il controtransfert come se si trattasse di qualcosa che sarebbe la parte propria e, per di più, la parte erronea dell’analista. Solo che, per riconoscerlo bisogna che l’analista sappia certe cose. Bisogna che sappia, in particolare, che il criterio della sua posizione corretta non è dato dal fatto che egli comprenda o non comprenda. Non è assolutamente essenziale che egli comprenda. Direi addirittura che, rispetto un’eccessiva fiducia nella propria capacità di comprendere, può essere, fino a un certo punto, preferibile che egli non comprenda. In altre parole, egli deve sempre mettere in dubbio ciò che comprende e dirsi che quello che cerca di raggiungere è proprio ciò che in linea di principio egli non comprende. È soltanto in quanto egli sa, certo, che cos’è il desiderio, ma non sa che cosa desidera quel soggetto con cui si è imbarcato nell’avventura analitica, e soltanto così che è in condizioni di avere in sé l’oggetto di questo desiderio" (J. Lacan, Il Seminario - Libro VIII, il transfert 1960-61, pag. 212).

Bion sembra pensarla non tanto diversamente: " Le interpretazioni analitiche che sono stimolate dal controtransfert hanno certamente molto a che fare con l’analista. Se poi il paziente è fortunato hanno qualcosa a che fare anche con lui.
Prima o poi un’analisi basata sul controtransfert finisce in un disastr o o comunque fallisce, perché tutte le interpretazioni hanno molto a che vedere con l’analista e poco a che vedere con il paziente "
(W. R. Bion, Seminari Brasiliani, San Paolo, 1983).

L'intervento analitico, la parola cioè dell'analista, il suo dire, non può dunque appartenere all'ordine di una parola che parta dal rispecchiamento empatico con il proprio paziente, né dal suo comprenderlo -dando al comprendere la sua più ampia accezione, e mantenendo nel termine tutta la sua ambiguità- e neanche dal vissuto di controtransfert dell'analista. La parola dell'analista non può scaturire dal suo "sentire" emotivo, dai suoi sentimenti, neanche da quelli apparentemente positivi, i quali, come avverte Lacan, sono poi anche i più erronei .

Il corretto intervento analitico non è una questione di buoni sentimenti che, dispiegandosi nella loro percezione cosciente, possano informare il dire dell'analista . Perché quello che parte dai sentimenti sarebbe un dire che si organizzerebbe lungo l' asse immaginario : l'empatia infatti altro non è che una questione di rispecchiamento intersoggettivo , reciproco e speculare, tant'è che gli stessi neurofisiologici ne hanno individuato la base neurologica nei cosiddetti " neuroni specchio ".
L'intervento dell'analista non può dunque appartenere al registro dell'immaginario e collocarsi dunque nell'ordine della dualità intersoggettiva.

L'analista deve invece rispondere da un altro luogo , quel luogo terz o che è il luogo non dell' altro speculare (quello con la a piccola), ma il luogo dell' Altro come terzo (quello con la A maiuscola), il luogo dell'Altro come l'Altro del codice , come l'Altro della parola , l'Altro che si colloca non nel registro dell' Immaginario , ma in quello del Simbolico . Solo in questo modo al paziente può giungere, non la parola che gli rimanderebbe lo specchio, quella che egli vorrebbe sentirsi dire, la parola confermativa , ma la parola altra, quella che egli non si aspetta, la parola performativa .
Il dire dell'analista appartiene dunque al registro del Simbolico, e non a quello dell'Immaginario, per questo è un dire che è dell'ordine dell'atto . Dell' atto analitico .

Affinché dunque l'analista possa in questo modo costituirsi nel suo atto, se da una parte può anche inciampare nel suo controtransfert , dovrebbe proprio per questo saperlo riconoscere, al fine di poterlo mettere da parte, come da parte dovrebbe anche saper mettere i suoi buoni sentimenti. e la empatia di cui è -si spera- anche dotato.

Deve, in altri termini l'analista, sapersi distaccare da tutto questo, in quanto non è da queste posizioni -dell'empatia o del controtransfert- che un analista opera, ma da una posizione che è, al contrario, quella di una precisa funzione etica , una funzione che Lacan ha chiamato il desiderio dell'analista , e che sarebbe quella particolare funzione attraverso la quale l'analista sa ridursi a mero strumento d'uso del suo paziente, a sembiante di una mancanza e di un vuoto radicali, unica posizione dalla quale un analista possa arrivare a essere causa -non oggetto - del desiderio del suo paziente, a mettere in movimento il suo inconscio e ad attivare il transfert entro cui si implica, a costituirsi dunque attraverso il suo atto analitico, assumendo in tal modo la responsabilità della direzione della cura e a dar luogo all'analisi vera e propria, piuttosto che -senza saperlo- farvi ostacolo inciampando nei buoni sentimenti e nel suo controtransfert, e credendo, in tal modo, che l'idillio cui darebbe inizio con il suo paziente possa chiamarsi analisi.

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Ma cos'è questo Fantasma di cui tanto si parla in psicoanalisi e non solo - anche se in altri ambiti per lo più declinato al plurale? Per dirla nella maniera più semplice possibile, il Fantasma, il Fantasma fondamentale per meglio dire, può essere immaginato come una sorta di griglia, di "schema" articolato, per lo più inconscio, attraverso cui affrontiamo, viviamo, interpretiamo la realtà che ci circonda, in particolare le nostre relazioni con l'Altro (e con noi stessi). Possiamo dire che il Fantasma è il modo attraverso cui il soggetto si suppone per l'Altro e come ritiene che l'Altro a sua volta lo supponga : una sorta di lente che interponiamo tra noi e il mondo e attraverso la quale filtriamo l'esperienza che ne facciamo. In altre parole, il Fantasma - che ognuno si costruisce a modo suo a partire sin dalle su più precoci esperienze di vita - è ciò che condiziona il modo attraverso cui ognuno di noi vive la propria vita, da quando è piccolo, fino a quando muore. Per Lacan, però, il Fantasma è almeno altre due cose: 1) una sorta di piattaforma "girevole" entro cui circola, si muove, "corre come un furetto", il desiderio , cercando continuamente dove collocarsi e soprattutto come uscirne; 2) una struttura che conferisce consistenza al soggetto , soprattutto quando deve affrontare ciò che non conosce, ciò di fronte a cui può sentirsi solo e perso, vale a dire il Reale , il reale soprattutto del proprio desiderio. Il Fantasma è dunque non solo ciò che ci condiziona e ci imbriglia, ma anche ciò che ci sostiene nei momenti decisivi. Lacan collega dunque il Fantasma al desiderio in quanto è attraverso di esso che il soggetto si illude di intravedere e acciuffare l'oggetto del proprio desiderio: " E' nelle maglie dell'articolazione del fantasma soggettivo che il desiderio compie i suoi giri senza trovarvi mai un punto di arresto: se è nel fantasma che il soggetto cerca da una parte l'aggancio del suo desiderio verso l'Altro, è nel fantasma stesso che vi trova dall'altra la difesa nei confronti dell'angoscia di precipitarvi del tutto ." (Lacan) Vuole dire che, se, da una parte, il Fantasma ci permette di tendere verso l'Altro , l'Altro del nostro desiderio, dall'altra, esso è anche ciò che ci permette di non "precipitarvi del tutto", per questo, nella famosa formula del fantasma ($◇⍺) , Lacan, tra il Soggetto ($) e l'oggetto del desidero (⍺) sceglie il "punzone" (◇) che indica una relazione di attrazione e di respingimento al tempo stesso. Ora, in conseguenza dell'esistenza del Fantasma soggettivo, il rapporto col mondo non può essere mai del tutto obiettivo e mai diretto, ma è sempre mediato, e dunque un po' "distorto" e "interferito" dal Fantasma stesso. E' soltanto attraverso l'esperienza psicoanalitica che si viene prima o poi a sapere di questo fantasma, e a riconoscerlo come proprio. Ed è soltanto in analisi che arrivare a riconoscere il proprio Fantasma, il poterci fare i conti, il poterlo "attraversare", come dice Lacan, ci aiutano a farci capire -e anche cambiare- molte cose di noi, il nostro modo di vivere, il nostro modo di amare e di godere, il nostro modo di stare al mondo, con i nostri simili, in maniera più sopportabile. #fantasmasoggettivo #fantasmafondamentale #desiderio #reale #esperienzasoggettiva
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